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Anno XV num.2
Mar./Apr. 2016

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AMAT VICTORIA CURAM: IL DERBY DEL CUORE

di Ferdinando Garau

Nel 1990 a Roma nasceva il Derby del Cuore, una manifestazione di calcio spettacolo tra attori, cantanti, tifosi e simpatizzanti della Roma e della Lazio che scendevano in campo per solidarietà vestendo i colori della propria squadra del cuore. Ventisei anni dopo si scende in campo per un altro match particolarmente importante, il quale vede opporsi due schieramenti su tutto il territorio italiano: i "Pro Trivelle" contro i "No Triv".

Le rivali si sono preparate mesi prima alla battaglia (chi più e chi meno), si sono scontrate apertamente sui social e sui canali di trasmissione televisiva (soprattutto sulla rete), hanno provato a spiegare i pro e i contro derivanti dalle future scelte dei cittadini e cosi via. Tutti contro tutti, non importa lo schieramento politico, due sono le scelte e due sono le possibilità di schierarsi o meno da una parte o dall’altra: SI o NO. Il match si è giocato il 17 Aprile 2016 con una vittoria netta del Quorum, il quale non è stato raggiunto poiché sono andati a votare solamente il 32% degli italiani aventi diritto, annullando così la voce di quella percentuale di popolazione che si è espressa con convinzione grazie alla sua scelta. Chi ha vinto dunque questo Derby del Quorum?

Occorre fare qualche passo indietro per comprendere la reale natura di questo Referendum. I cittadini italiani, infatti, si sono trovati di fronte ad un quesito referendario che riguarda le concessioni per le estrazioni di idrocarburi in mare entro le 12 miglia per quanto concerne le concessioni già esistenti. In questo caso la domanda che viene posta verte sulla possibilità di abrogare la norma che ne limita la durata della scadenza delle concessioni, consentendo (col "NO") o meno (col "SI") di sfruttare le stesse fino all’esaurimento dei giacimenti sotto esame. Come ha fatto un quesito referendario di questo tipo a creare una bufera tale sia in ambito sociale sia in quello politico-istituzionale? Non esistevano forse altre problematiche o altri scontri celati dal frastuono e dalle urla di coloro che pensano di avere la verità in tasca?

Evitando ogni tipologia di tecnicismo per quanto riguarda le piattaforme e le trivelle per l’estrazione di idrocarburi sotto esame, con questo elaborato si vuole ampliare la visione del lettore sulle tematiche entrate in gioco dal momento in cui è stato richiesto, poi in seguito indetto, il Referendum del 17 Aprile 2016. Un breve excursus politico-sociale per comprendere le tematiche di fondo, gli scontri, le motivazioni a sostegno delle parti, le alleanze e la movimentazione sociale che ne sono seguiti.

Un salto temporale di qualche mese aiuterà il lettore a focalizzare il quadro completo delle scelte attuate dalle parti entrate in gioco. Il titolo Amat Victoria Curam (La Vittoria Ama La Cura/Preparazione) si collega perfettamente a questa introduzione storica nella quale si citerà Giuseppe Civati, ex esponente del PD che in seguito si è opposto alle scelte di Renzi dopo le primarie del 2013 fondando il partito Possibile. Opponendosi alle scelte del vincitore delle primarie, infatti, nel 2015 l’ex PD decide di creare un movimento di centrosinistra che si potesse opporre alle leggi considerate fondamentali nell’agenda del Governo Renzi.

Evitando digressioni del testo particolarmente ampie, ciò che interessa particolarmente in questo caso sono le proposte avanzate da Civati il 16 Luglio 2015 tramite la raccolta di firme per la richiesta di 8 referendum abrogativi, le quali dovevano pervenire entro il 30 Settembre. Il tempo a disposizione per educare i cittadini e per poter promuovere i propri ideali era troppo poco, questa "sponda opposta" del centrosinistra non era pronta e non si era preparata, o non si era potuta preparare, allo scontro. Il risultato era già scritto.

Scaduto il tempo utile per Civati e per il suo movimento di opposizione, non avendo raggiunto le 500.000 firme necessarie entro la fine di Settembre (secondo l’articolo 75 della Costituzione) per richiedere un referendum popolare, dieci consigli regionali capeggiati prevalentemente dal PD (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna,Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) decisero di proporre 6 degli 8 quesiti referendari di Possibile, tra i quali rientra anche quello di maggiore interesse ai fini di questo elaborato, ovvero quello riguardante la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in Italia (l’Abruzzo, in seguito, si è ritirato dalla lista dei promotori). Il referendum in questione risulta particolarmente importante nella storia italiana in quanto risulta essere il primo derivante non dalla raccolta di 500.000 firme, come già detto, bensì dalla diretta richiesta di almeno 5 consigli regionali.

Nel Dicembre del 2015 uno "sgambetto" del Governo Renzi, il quale ha apportato delle modifiche alla legge di stabilità proprio sui temi affrontati dai quesiti referendari richiesti precedentemente, ha portato la Cassazione al riesame degli stessi dalla quale ne è scaturita l’ammissibilità per uno soltanto di quelli proposti, quello che in seguito verrà indetto per il 17 Aprile e che verrà ricordato come Referendum Abrogativo "No-Triv". I dissensi verso la politica energetica attuata dal PD nazionale erano forti già da questo momento, ma dopo il dietrofront senza scuse attuato da Renzi i consigli regionali decisero di rendere ancora più aspri gli scontri. Cosa accadde all’interno del partito?

In breve. Il Governo tramite lo Sblocca Italia ha delineato un piano energetico nazionale che si scontra pienamente con i poteri, le ideologie e le libertà di scelta dei consigli regionali, per di più senza prendere in considerazione le loro richieste e le loro rimostranze. Il governo portando avanti i suoi piani senza consentire a questi ultimi di esporre le proprie problematiche e le proprie lamentele ha creato ulteriori fratture interne al partito. Questo ha portato in seguito ad uno scontro che si espande più sul piano politico che su quello ambientale. Le regioni decisero così di unirsi nella lotta contro il piano energetico espresso e portato avanti sul piano nazionale (si ricordi che la maggioranza dei consigli regionali in questione è di maggioranza PD), arrivando così a richiedere un Referendum Abrogativo per la prima volta nella storia d’Italia.

La paura del partito nazionale si nota quando il Governo attua un dietrofront non dichiarato apportando diverse modifiche sulla legge di stabilità, cercando così di farsi spazio tra il caos che si era creato ed evitando il rischio di un possibile voto negativo al referendum (evitando, inoltre, di eliminare tutte le aspettative inserite nello Sblocca Italia e quelle procedure in corso che consentivano le trivellazioni entro le 12 miglia, per di più senza confrontarsi nuovamente con i consigli regionali che si opponevano al loro operato). Con questo "colpo gobbo" il Governo riuscì ad eliminare 5 dei quesiti richiesti, ma ne rimase uno sul quale tutto il fronte di opposizione, partitica e non, decise di puntare per far comprendere a Renzi quali fossero realmente le richieste degli italiani per quanto concerne la politica energetica nazionale.

Da questo scenario, incentrato prevalentemente su logiche politiche, si apre un mondo di interessi e di scontri che ha coinvolto l’Italia intera. Movimenti politici, ambientalisti e sociali di ogni tipo si sono mobilitati per fare propaganda, chi per il Si e chi per il No in base al proprio pensiero, spinti da interessi particolaristici o più generali. Si sono dette molte bugie e troppe poche verità, come avviene spesso in ambito politico per farsi pubblicità, per far tendere l’ago della bilancia verso una parte o verso l’altra. Tutto questo non poteva che provocare un enorme caos, una disinformazione pazzesca che di riflesso rendeva il cittadino sempre più insicuro e diffidente verso l’utilità del referendum e verso la politica stessa.

Una lotta per l’ambiente si stava lentamente trasformando in una lotta semi-politica, purtroppo la maggioranza degli italiani non comprendeva quali fossero realmente tutte le questioni che rientravano nella sfera della votazione referendaria. Ma come mai una votazione abrogativa di questo tipo (si ricordi la sua importanza visto che per la prima volta nella storia viene richiesta da più di 5 Consigli Regionali) viene pubblicizzata poco o niente dai maggiori quotidiani e canali di informazione nazionali?

Si sa che l’italiano medio tra lavoro, impegni e problematiche generali non trova il tempo (o forse non gli interessa proprio trovarlo) per informarsi adeguatamente, nonché per comprendere il motivo per il quale è stata indetta una votazione simile e quali siano gli interessi in gioco (perché le trivelle, cari signori, non erano l’unico problema che è stato sottolineato e per il quale una parte dello stesso PD si è schierato contro l’asse partitico nazionale). Non essendo pubblicizzato nel dovuto modo si è persino detto che tale quesito referendario non aveva nessuna importanza, così i cittadini sminuivano se stessi e il proprio diritto fondamentale di poter esprimere il loro pensiero una volta che veniva richiesto (e di questi tempi, dopo cinque anni di governi nazionali non eletti bensì nominati, mi pare un toccasana poter affermare la propria opinione).

La poca informazione unita ad un elevato tasso di disinformazione strumentale alla causa dell’astensionismo (perché era preferibile non raggiungere il Quorum, invitare i cittadini al voto e spiegargli i benefici del No pareva uno sforzo troppo elevato per qualcuno) hanno fatto si che la confusione regnasse sovrana sui cittadini. Ma qualche segnale chiaro e forte si poteva scorgere dietro il muro della disinformazione, infatti anche l’occhio più pigro e meno affamato di cultura si sarebbe posto qualche domanda se avesse mostrato un minimo di attenzione agli avvenimenti e agli scandali politici e sociali nei mesi prima della votazione indetta.

Di quali segnali si parla? In primis il fatto che siano stati 10 Consigli Regionali di maggioranza PD a richiedere il Referendum Abrogativo, scontrandosi così contro le logiche nazionali del partito capeggiato da Renzi, sarebbe potuto bastare ad un occhio vigile per comprendere che una determinata politica energetica a livello nazionale poteva comportare diversi problemi. In secundis, sponsorizzata su tutte le piattaforme d’informazione nazionale, pareva alquanto compromettente la situazione dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e il suo coinvolgimento (compreso quello di suo marito Gianluca Gemelli, il quale operava con la sua società subappaltatrice in Basilicata nel progetto Tempa Rossa, senza dimenticare che nelle intercettazioni veniva nominato anche il Ministro Maria Elena Boschi) in fase di modifica allo Sblocca Italia per rendere più facili i lavori della Total in fase di stoccaggio, trasporto e carico nei porti nonché per trasferire il petrolio estratto e i suoi rifiuti. Se questi non vengono valutati dalla popolazione come segnali di rilevante importanza ai fini del Referendum, si può allora confermare la forza della disinformazione o della mancata informazione in ambito sociale.

Non si dimentichi, inoltre, lo scontro interno al PD tra Michele Emiliano e il Segretario del Partito Nazionale Matteo Renzi. Una lotta combattuta non solo sul piano politico, bensì anche su quello ideologico, sociale ed economico. Il Governatore Pugliese simile a Prometeo, simbolo di ribellione interno al partito, sfida le autorità più elevate per far breccia su quel piano energetico poco consono ai nuovi obiettivi strategici e ambientali che dall’Europa discendono fino all’Italia (per i quali la stessa maggioranza italiana si vanta di lavorare per importare ed implementare azioni sostenibili su tutto il territorio). Al tempo stesso il Presidente del Consiglio (nonché Segretario nazionale del PD) si presenta nelle vesti di Damocle, contrattacca cavalcando l’onda dell’astensionismo (vista l’improbabile vittoria del No) non accorgendosi che sopra di lui pende una spada e il rischio di una caduta del suo governo è particolarmente elevata.

Se neanche gli scontri interni fanno comprendere alla maggioranza degli italiani che il Referendum Abrogativo indetto per il 17 Aprile non "è uno spreco" di energie e di tempo, come affermato da Renzi, si deve a questo punto spulciare la norma e il quesito proposto con molta attenzione. Ognuno avrebbe dovuto farlo, chiunque si sarebbe potuto informare in forma privata senza dover dare peso per forza alle "chiacchiere da bar". Quali sarebbero state le novità derivanti dal Referendum abrogativo sulle trivelle nel caso in cui avesse vinto il Si?

Per comprendere i risvolti derivanti dalla votazione si parta dalle affermazioni del Presidente del Consiglio, il quale dopo aver definito uno spreco di soldi, di tempo e di energie lo stesso referendum, in seguito afferma che "ciascuno quando voterà si o no dovrà pensare se sia giusto che diecimila persone perderanno il posto di lavoro". Cavalcando l’onda buona delle problematiche lavorative si incita così l’astensionismo per evitare che la votazione abbia validità grazie al raggiungimento del quorum. Ma è questa la verità?

In realtà non sembrerebbe esattamente così. Con la vittoria del Si, infatti, non accadrebbe nulla di nuovo in quanto tornerebbe solamente in vigore l’articolo 9 comma 8 della legge 9/91, la quale cita testualmente:

"Al fine di completare lo sfruttamento del giacimento, decorsi ‘sette anni dal rilascio della proroga decennale’, al concessionario possono essere concesse, oltre alla proroga prevista dall'articolo 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613, una o più proroghe, di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe".

In pratica, in maniera del tutto semplificata, si afferma che dopo aver superato gli anni di concessione standard della piattaforma di estrazione devono attuarsi dei controlli per comprendere la reale potenzialità del giacimento, se conviene dunque concedere una o più proroghe di 5 anni ciascuna per proseguire l’estrazione e verranno confermati di volta in volta i rispettivi controlli per la messa in sicurezza del giacimento. Si vuole solamente tenere in vita questa precauzione legislativa con la quale i petrolieri saranno costretti a "cacciare i soldi", come dice Emiliano in una discussione di partito, per mettere in sicurezza i territori e i pozzi sfruttati dallo stabilimento di estrazione. Eliminando questa precauzione, inoltre, si potrebbe incorrere in una sanzione derivante dall’obbligatorietà imposta dalla direttiva europea sulle piattaforme di estrazione offshore.

Per quanto concerne la tematica dei posti di lavoro, dunque, si può facilmente affermare che all’alba del 18 Aprile nessuno dei lavoratori presenti nelle piattaforme ad oggi esistenti si ritroverà senza lavoro, anzi. Le prime concessioni termineranno tra 5 anni circa e potranno ottenere delle proroghe per proseguire nella fase di estrazione, se verrà ritenuto possibile e conveniente. Per di più, in seguito, gli stessi operatori potranno essere riqualificati (e il tempo per farlo non manca) per poter cambiare lavoro, ovviamente nel caso in cui un giacimento non presentasse più le caratteristiche di convenienza economica e di sicurezza per l’estrazione. A questo punto, comunque, la precauzione legislativa che si vuole tenere in vita impone ai petrolieri diverse fasi di controllo e messa in sicurezza per la chiusura del pozzo, azioni che costano parecchio e che non verrebbero effettuate nelle tempistiche giuste se venisse concessa loro la possibilità di estrarre idrocarburi fino a "esaurimento scorte" interne al giacimento.

Tutti i comitati nazionali per la difesa ambientale si sono mobilitati per sostenere la votazione a favore del Si, ovviamente tutti amano il nostro mare e vogliono difenderlo a spada tratta. Ma una questione così semplice è riuscita a movimentare un numero così elevato di persone e

di comitati o vi è qualcosa di non visibile che agli occhi di molti non appare molto nitida? La problematica principale non sono le trivelle in sè ma l’attuazione di una politica energetica nazionale del tutto sbagliata, fondata sull’estrazione di idrocarburi e non solo. Con lo Sblocca Italia, infatti, si torna alla preistoria in numerosi campi, tra i quali si può citare la problematica dei rifiuti. Si guardi l’insieme delle azioni di questo Governo e non i singoli fatti o le singole politiche attuate negli ultimi anni. Votare al Referendum del 17 Aprile non era poi così tanto "inutile" se si guardano tutti i dettagli e tutte le problematiche derivanti dallo Sblocca Italia.

Basti pensare che la pianificazione energetica organizzata da Renzi e dalla sua maggioranza impone come "strategica" la costruzione di nuovi impianti di termovalorizzazione (inceneritori con un nome più raffinato, in tutto ne verranno costruiti 12 in più sparsi per tutta l’Italia), scavalcando il potere delle Regioni di potersi opporre e velocizzando i tempi di costruzione e messa in opera. Per evitare di rimettere mano al progetto, infatti, il Ministro dell’Ambiente Galletti vuole evitare ulteriori studi di approfondimento sostenendo che non si possono stimare gli effetti derivanti dalla combustione del 30% in più circa dei rifiuti prodotti sul nostro territorio. Per di più, sempre grazie allo Sblocca Italia, i rifiuti possono essere trasferiti da un territorio all’altro per essere bruciati, incentivando così la non differenziazione e disincentivando, invece, la virtuosità che molti territori stavano pian piano acquisendo in fase di riciclo e riuso dei materiali.

Il Veneto, ad esempio, con il suo primato ottenuto negli anni da Ponte nelle Alpi, può avere molto da insegnare all’odierna politica energetica nazionale sponsorizzata da Renzi e Galletti, ecco perché ci si oppone con tanta veemenza e passione. Cosa dire inoltre di Capannori e di tutto il lavoro fatto da Rossano Ercolini, vincitore del Goldman Environmental Prize, nonché di tutti quei territori che da anni studiano, lavorano e si scambiano informazioni sulle nuove best practices per migliorare il proprio territorio e l’ambiente in generale. Uno schiaffo morale, quello dello Sblocca Italia, che rischia di tagliare quel sottile filo che tende la spada sulla testa di Damocle (Renzi).

Quali risultati derivano dopo il Referendum del 17 Aprile? Si può sicuramente affermare che ha vinto il Quorum, non si è di certo fatta valere la forza della democrazia e l’espressione di tutti quei cittadini che si sono movimentati per andare a votare. Ecco perché si può definire il Derby del Quorum. Una votazione indetta troppo presto, non fornendo le tempistiche di organizzazione e di informazione necessarie per poter far comprendere agli italiani quali fossero realmente i disegni dell’attuale Governo (per di più evitando che venisse accorpata alle amministrative di qualche mese dopo, così facendo si sarebbero risparmiati infatti migliaia di euro, potendo osteggiare il Referendum a mani basse sponsorizzando solamente l’astensionismo).

Una lotta senza quartiere, uno scontro con un avversario troppo forte, una preparazione alla lotta insufficiente, tutto questo ha portato ad un Referendum Abrogativo non valido, con un’affluenza generale del 31,2% (con l’85,8% dei voti favorevoli all’abrogazione contro il 14,2% dei contrari). Una vittoria del Quorum dovuta alla disinformazione e alla poca preparazione dei comitati ambientali e dei sostenitori del Si, per questo vige la regola dell’Amat Victoria Curam.

Ferdinando Garau

 


 

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