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AnnoXVI num. 2
Mar./Apr. 2017

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Tesina finale Master gestione e sicurezza ambientale

IL DISSESTO IDROGEOLOGICO: CAUSE  E  SOLUZIONI

di Nicola Giovanni Ferri

 

E’ opinione  assai comune che il dissesto idrogeologico sia una delle piaghe più diffuse del pianeta, per cui dopo ogni evento disastroso (frane o alluvioni) si grida perché lo stato intervenga contro il dissesto idrogeologico.

Ma a ben guardare cos’è il dissesto idrogeologico?

Non possiamo chiamare dissesto idrogeologico il fenomeno dell’erosione ovvero la tendenza delle acque ad erodere il suolo e le rocce e a provocare frane, perché soprattutto in un Paese come in nostro, con montagne giovani che si sono formate circa 600 milioni di anni fa, si tratta di una condizione fisiologica naturale non una condizione patologica.

La geologia ci insegna che tutto ciò che è giovane è instabile, per cui è alla continua ricerca di un equilibrio.

Intervenire per fermare tale tendenza è semplicemente impossibile.

Quello che possiamo fare è  cercare  di adottare di adattarci il più possibile ad essa evitando di costruire in zone sbagliate,evitando di alterare il bilancio dei sedimenti dei bacini idrografici e cercare di contrastare i fenomeni naturali solo dove è proprio necessario concentrando gli sforzi su poche opere irrinunciabili che vanno attentamente progettate, realizzate e mantenute.

Ad aggravare la situazione sono intervenute opere antropiche che avendo lo scopo di prevenire e arginare il fenomeno altro non hanno fatto che aggravarlo ulteriormente.

A partire dalla fine dell’ottocento, le montagne alpine sono state interessate  da un gran numero di briglie, con lo scopo di limitare il dissesto, trattenendo i sedimenti che i corsi alpini portano naturalmente verso valle.

Studi recenti, mostrano che gli effetti di queste opere sono state molto spesso controproducenti, perché il mancato apporto di trasporto solido dai versanti alpini, ha provocato un deficit di sedimenti più a valle  che ha portato numerosi problemi( incisioni di alvei,accelerazione delle piene,scalzamento di ponti ecc.)

In seguito a studi molto recenti, in alcune aree si prevedono la demolizione delle vecchie briglie proprio per facilitare la movimentazione di sedimenti da monte a valle.

Altra pratica sbagliata posta sempre in essere dall’opera dell’uomo è L’ESCAVAZIONE, con la convinzione  che se si scava nel fiume l’alveo diventa più profondo e aumenta la sezione; quindi ci passa più acqua e aumenta l’efficienza idraulica.

Questa pratica può avere un effetto immediato positivo perché aumenta la portata  veicolabile del tronco fluviale, ma crea molti problemi che si manifestano in tempi lunghi.

L’escavazione altera il profilo longitudinale creando un aumento di pendenza che tende a migrare verso monte e verso valle.

L’escavazione crea una instabilità dell’alveo, perché l’incisione e spesso accompagnata da instabilità laterale e variazione di larghezza innescando erosioni delle sponde e migrazione laterale in tratti precedentemente stabili.

Gli interventi vengono fatti, con il convincimento di essere utilizzati come strumenti per la difesa del suolo, ma non essendo gli stessi supportati da adeguati studi che ne dimostrino la reale efficacia, portano più danni che benefici.

Per ridurre il numero degli interventi strutturali di difesa e messa in sicurezza dell’Habitat fluviale, favorendo lo sviluppo sostenibile del territorio e riducendo i costi è sufficiente prendere atto che la sicurezza, la fruibilità e la bellezza di un bacino idrografo dipendono dagli usi cui si destina.

La preponderanza delle opere di ingegneria idraulica sono state alla base di un modo di governare il territorio.

Si è andati ad occupare aree destinate all’espansione naturale del fiume.

Si continua ad illudere che con le grandi opere di ingegneria idraulica e di una maggiore sicurezza del territorio si possono strappare impunemente altri terreni ai nostri fiumi,già irrimediabilmente attaccati dall’urbanizzazione seguendo la logica del profitto e del cemento selvaggio.

Si assiste  ad una urbanizzazione scellerata dettata solo dalle regole dei profitti.

Non si rispettano i piani regolatori generali che dettano le linee guida su come coniugare  al meglio il verde pubblico e l’edilizia residenziale.

Le Pubbliche Amministrazioni ,invece di essere impegnate a far osservare rigorosamente questa normativa in materia edilizia , sono impegnate a sfamare la mai sazia volontà edificatoria dei padroni del cemento, è il dissesto ideologico  la maggiore causa del dissesto idrogeologico.

La maggior parte dei disastri sono annunciati e spesso si ripetono nelle stesse aree geografiche, ci sono in Italia zone come la Campania meridionale dove periodicamente si contano i morti. Ciò non è casuale.

Enormi straripamenti di fiumi nel passato più o meno recente non hanno provocato gli stessi danni e lo stesso numero di perdite di vite umane degli ultimi tempi, semplicemente perché le aree interessate dalle esondazioni non avevano insediamenti abitativi.

Quando si previene i disastri non avvengono.

La scelleratezza urbanistica permette di costruire dove i tecnici competenti sconsigliano di costruire trattandosi di zone a rischio di frana o di dissesto.

Questo comportamento denota una evidente stoltezza, non sarà forse il caso di smettere di maltrattare cosi il territorio?

L’uomo deve capire una volta per tutte che gli interessi economici devono cedere il passo alla salvaguardia del territorio, dell’ambiente in generale, perché è questo l’interesse primario da difendere, che consente a tutti gli esseri viventi del pianeta di vivere.

Se il territorio viene maltrattato chi ne subisce le conseguenze è colui il quale ha posto in essere comportamenti sbagliati in questo caso l’uomo il quale attaccato morbosamente  al denaro ,sottovaluta i bisogni del territorio.

Le conseguenze sono ,purtroppo sotto gli occhi di tutti:ci troviamo a confrontarci con un territorio  spesso saturo, di sicuro estremamente fragile e bisognoso di essere disintossicato.

IL consumo di suolo provoca vari e tragici effetti collaterali, come le alluvioni e i sismi che distruggono abitazioni realizzate con materiali scadenti in aree geomorfologicamente inadatte.

Il risultato di questa dissennata pianificazione territoriale è che la superficie coltivata è passata in 40 anni da 18 a 13 milioni di ettari.

Attualmente nel nostro Paese si consumano circa 100 ha al giorno di suolo agricolo.

Spesso sono proprio questi interventi fatti sotto il principio della difesa idraulica e di una maggiore sicurezza del territorio ad incrementare il rischio idrogeologico del nostro Paese.

D’altra parte non si può avere la pretesa di mettere in sicurezza  tutto il territorio, perché è un illusorio obiettivo.

Questo quindi comporta due  linee di azione diverse: una corretta gestione del territorio  e la capacità di convivere con il rischio  e quindi saper gestire le emergenze.

Per cui bisogna invertire la rotta nella gestione del territorio abbandonando quelle logiche di ingegneria naturalistica come le casse di espansione, escavazione, pulizia dell’alveo che non portano certamente i frutti sperati.

Si deve preferire di assecondare le dinamiche naturali del fiume e intervenire per ripristinare laddove queste sono state soppresse da interventi sbagliati.

Le buone pratiche ,invece, per arginare il rischio idrogeologico, vanno dalla delocalizzazione di beni esposti al rischio o al riequilibrio del ciclo sedimentario.

La scelta di de localizzare una industria posta in una area a rischio di esondazione,invece, che costruire ulteriori barriere per la messa in sicurezza, quella di modificare un tracciato stradale,invece che rinforzare le palizzate e le scogliere destinate comunque ad essere rovinate e rimosse dalla forza dell’acqua o quella di riequilibrare il ciclo sedimentario del fiume reinserendo i sedimenti in alveo,mentre normalmente non si fa che creare tutti i possibili escamotage con il solo obiettivo di prelevare la preziosa ghiaia e utilizzarla per cementificare altre porzioni di territorio, sono scelte coraggiose messe in pratica lungo i fiumi italiani ed europei.

Ci auguriamo che servano di esempio e che vengano imitati e adottati i principi che le hanno supportate con la certezza che restituire spazio e natura ai corsi d’acqua non è solo un pallino degli ambientalisti ma l’unico modo per coniugare sicurezza e qualità del territorio.

Quello che si vuole proporre è il carattere fortemente innovativo e in controtendenza che rappresenta il comune denominatore di tutti gli esempi illustrati rispetto a quanto si è fatto fino ad oggi e si continua a fare nella gestione del rischio idrogeologico.

Fatte queste considerazioni, il primo passo da compiere è quello di operare delle scelte precise per il futuro in termini di programmazione e utilizzo delle risorse.

Spostare i fondi delle grandi opere sul monitoraggio, la gestione e la manutenzione del  territorio.

Coinvolgere direttamente le autonomie  locali, investendo in prevenzione e sviluppo.

Finalizzare parte del fondo rotativo del DECRETO CRESCITA e delle3 risorse provenienti  dai fondi strutturali alla difesa dell’ambiente.

Migliorare la capacità di spesa dei fondi U.E.

Adottare strumenti di semplificazione amministrativa già ampiamente sperimentati nel resto d’Europa, come ad esempio CONTRATTI DI FIUME, DI FOCI E DI LAGO.

I contratti di fiume sono uno strumento di programmazione strategica partecipata per la pianificazione e gestione dei beni collettivi.

I contratti di fiume non sono una novità, sono stati già utilizzati a partire dagli anni 80, attraverso questi contratti si rende più efficiente e funzionale la pianificazione e la gestione degli alvei fluviali, ambientali e paesaggistici nei distretti idrografici.

Ma qualcosa si muove anche in Italia, perché il 4 settembre 2014 l’Italia ha avviato un primo importante passaggio verso il riconoscimento dei contratti fiume, poiché è stato approvato un emendamento nella commissione ambiente della Camera dei Deputati al TESTO UNICO AMBIENTALE 152/2006 che introduce in Italia i CONTRATTI  FIUME, con il seguente testo: I contratti fiume concorrono alla definizione e all’attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a scala di bacino e sotto-bacino idrografico,quali strumenti volontari di  programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia del rischio idraulico contribuendo  allo sviluppo locale di tali aree.

                                                                                                    Nicola Giovanni Ferri

 


 

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