ECOMAFIE
Cenni sulle
organizzazioni criminali e sulla normativa ambientale
di
Fabrizio Carta
Negli ultimi anni parlando di gestione dei
rifiuti non si è potuto fare a meno di associare anche il nome
Ecomafie, ovvero il coinvolgimento di associazioni criminali nelle
attività economiche connesse con l’ambiente e la salute.
Nello specifico, i settori che interessano
dette organizzazioni, riguardano:
gestione dei
rifiuti , dell’ abusivismo edilizio; in misura marginale anche il
traffico di beni artistici ed archeologici .
Per quanto attiene il settore di nostro
interesse, ovvero quello dei rifiuti, occorre rilevare che si tratta di
un business molto redditizio, soprattutto se la sua gestione non è
conforme alle normative sull’ambiente.
Capita spesso che
dette organizzazioni non gestiscano in maniera diretta gli appalti, ma
grazie ad imprese c.d. “controllate” che partecipano alle gare
d’appalto. L’intervento della criminalità avviene, purtroppo, anche nel
nella fase di assegnazione degli appalti e questo fa capire la
ramificazione ed il potere che queste esercitano.
Tuttavia, non è
corretto pensare che tutti gli appalti o comunque tutte le società che
operano nel settore gestione rifiuti, siano riconducibili alla
criminalità organizzata. Esistono numerose realtà societarie che da anni
lavorano nello smaltimento dei rifiuti, in maniera assolutamente legale
e nel pieno rispetto delle norme sull’ambiente.
Ritornando al
tema del presente lavoro, l’Italia rappresenta, in negativo, un mondo a
parte nel contesto europeo e l’emergenza rifiuti venutasi a creare in
quest’ultimo decennio, ne è un esempio.
In una situazione
di necessità, come la nostra, le soluzioni facili sono sempre
dietro la porta ed il punto di confine è sempre molto labile.
Le soluzioni,
soprattutto per quanto attiene i rifiuti pericolosi, sono
sfortunatamente note ma anche difficilmente arginabili: trasferimento
dei rifiuti in paesi del terzo mondo; affondamento in mare aperto delle
navi che trasportano i rifiuti; interramento dei rifiuti. In
quest’ultimo caso il problema riveste un duplice aspetto: il primo
quello già indicato; il secondo riguarda il successivo inquinamento dei
terreni e delle falde freatiche, che deriva dall’interramento di detti
rifiuti.
Interessante
risulta la lettura dei dati (fonte Ministero dell’Interno) che
riguardano i proventi delle associazioni criminali relativamente al
traffico illecito dei rifiuti:
· Nel
2009 il giro di affari relativo alla gestione illecita dei rifiuti è di
circa 1/3 dei rifiuti prodotti ( pari a circa 50/70 milioni di
tonnellate l’ anno ) con un fatturato stimato in circa 7 miliardi di
euro!
· Il
51% degli illeciti accertati in materia ambientale si concentra nelle
quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa .
I dati su
indicati rendono molto chiaro e significato il motivo per cui
organizzazioni criminali abbiano trovato nell’affare rifiuti una fonte
di reddito pari a poche altre. Come accennato, l’accertamento degli
illeciti è compito assai arduo anche perché, in alcuni casi, le
normative non sono così chiare e precise, poiché lasciano molti spazi
interpretativi.
Una delle
tecniche più utilizzate per “ripulire” i rifiuti è quella c..d. della
declassificazione fittizia, consiste nell’identificare i rifiuti con
altri codici, aventi il costo di lavorazione particolarmente contenuto
e notevolmente inferiore rispetto ai rifiuti pericolosi.
È naturale che da
questa operazione illegale, grazie alle mancate spese dovuto al mancato
trattamento a cui dovrebbero essere sottoposti detti rifiuti, il
guadagno risulterà essere molto elevato.
Si aggiunga poi
che il guadagno aumenta ancora di più quando i rifiuti, pur con il nuovo
codice di classificazione, non vengono comunque scaricati negli
appositi impianti, ma scaricati abusivamente lungo le strade, in mare o
nelle condotte fognarie. Da precisare che quest’ultima tecnica viene
utilizza prescindendo dalla declassificazione, ma utilizzata molto
spesso per lo smaltimento dei rifiuti in generale.
Per tentare di
arginare il fenomeno la Commissione Ecomafia istituita presso il
Ministero dell’Ambiente (1996 – 2001), elaborò una serie di modifiche al
codice penale, successivamente approvate, che prevedevano nuovi reati
finalizzati al contrasto della criminalità organizzata in materia
ambientale.
La novità
consisteva nel classificare i reati in argomenti, quali veri e propri
delitti e non più delle semplici ipotesi contravvenzionali. Il concetto
essenziale era di tipo tecnico, poiché oltre ad un aumento delle pene si
creava un meccanismo che evitava la prescrizione dei reati, proprio
grazie al fatto che questi venivano classificati come delitti e con un
aumento dei termini prescrittivi.
Il Governo
dell’epoca fece proprie le proposte della Commissione e, dopo il
previsto iter parlamentare, vennero alla luce due nuove fattispecie
criminose, poi successivamente estese: 452 bis e 452 ter, detti articoli
venero poi, nel tempo, implementati fino al
sexiesdecies.
Nonostante una
nuova visione interpretativa ed un inasprimento delle pene, tutto a
vantaggio dell’ambiente, le reazioni non furono tutte positive. Alcuni
sostenevano che si trattava di un miglioramento; altri che le nuove
ipotesi delittuose, per quanto innovative, evidenziavano dei limiti
strutturali ed applicativi. Tutti, comunque, condivisero la bontà dei
provvedimenti ed il fatto che fosse un punto di partenza sul quale poter
poi successivamente apportare delle modifiche e dei miglioramenti.
Vi è da dire che
il Codice Penale, prevedeva già alcune ipotesi delittuose in materia,
nello specifico gli articoli 434
e 439,
che nel passato erano stati adottati a carico di alcune associazioni
criminale e di singoli individui.
L’applicazione di
questi articoli ha creato non pochi problemi interpretativi e probatori
perché gli stessi nascono sulla base di presupposti che non erano
certamente legati alla difesa dell’ambiente.
La questione
giuridica, e per certi versi anche dottrinale, trovava motivo nel
percorso attraverso il quale si giungeva a trovare un compromesso logico
tra il pericolo creato all’ambiente dall’uomo e il concetto di
pubblica incolumità, sancito dal disposto normativo su indicato.
Quest’ultimo,
inoltre, per il modo in cui era/è costituito non rappresentava di certo
un punto di riferimento, poiché risulta essere assolutamente generico
ed interpretabile. A trovare una soluzione è stata la Suprema Corte di
Cassazione che in diverse sentenze a definito il perimetro entro il
quale ci si può riferire al concetto di incolumità pubblica :
“ un
evento particolarmente grave e complesso che colpisca persone e cose ,
sia suscettibile di mettere in pericolo e realizzare il danno di un
certo numero di persone , indipendentemente dalla loro più o meno
intensa esposizione al rischio e di diffondere , altresì , un esteso
senso di commozione e di allarme
“
Le organizzazioni criminali nel mentre,
grazie al clima di incertezza giuridica che si era creato, hanno
continuato ad allargare il loro raggio di azione, passando poi al
controllo finale dei rifiuti e dunque la gestione diretta( o tramite
società di comodo) degli impianti di smaltimento in genere.
A questo si aggiunga una mancanza di
controlli dovuti ai più disparati motivi, tutti validi, che dunque apre
spazi a società che operano senza alcuna autorizzazione o, peggio,
competenza nel settore.
Quanto sopra evidenzia una doppia velocità
che veda da una parte burocratico-giudiziario, dall’altro organizzazioni
criminali che riescono ad insinuarsi proprio tra quegli spazi lasciati
vuoti dalle normative.
Si sente l’esigenza, oggi più che mai,
dell’adozione di un Teso Unico che racchiuda a se l’apparato tra le
normative in materia ambientale, così che possa dare un valido
contributo agli operatori del settore ed ai giudici che poi devono
emettere sentenze non sempre facili.
Riuscire a sconfiggere definitivamente le
Ecomafie è un utopia, ma lo è ancora di più se non si predispongono le
strutture giuridiche più idonee e versatili, capaci di adattarsi alle
emergenze che di volta in volta vengono a crearsi.
Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari.
[I]. Chiunque avvelena acque o
sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o
distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non
inferiore a quindici anni.
Fabrizio Carta |