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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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ECOMAFIE

Cenni sulle organizzazioni criminali e sulla normativa ambientale

di Fabrizio Carta 

 

Negli ultimi anni parlando di gestione dei rifiuti non si è potuto fare a meno di associare anche il nome Ecomafie, ovvero il coinvolgimento di associazioni  criminali nelle attività economiche connesse con l’ambiente e la salute.

Nello specifico, i settori che interessano dette organizzazioni, riguardano: 

gestione dei rifiuti , dell’ abusivismo edilizio; in misura marginale anche il traffico di beni artistici ed archeologici .

Per quanto attiene il settore di nostro interesse, ovvero quello dei rifiuti, occorre rilevare che si tratta di un business molto redditizio, soprattutto se la sua gestione non è conforme alle normative sull’ambiente.

Capita spesso che dette organizzazioni non gestiscano in maniera diretta gli appalti, ma grazie ad imprese c.d. “controllate”  che partecipano alle gare d’appalto. L’intervento della criminalità avviene, purtroppo, anche nel nella fase di assegnazione degli appalti e questo fa capire la ramificazione ed il potere che queste esercitano.

Tuttavia, non è corretto pensare che tutti gli appalti o comunque tutte le società che operano nel settore gestione rifiuti, siano riconducibili alla criminalità organizzata. Esistono numerose realtà societarie che da anni lavorano nello smaltimento dei rifiuti, in maniera assolutamente legale e nel pieno rispetto delle norme sull’ambiente.

Ritornando al tema del presente lavoro, l’Italia rappresenta, in negativo, un mondo a parte nel contesto europeo e l’emergenza rifiuti venutasi a creare in quest’ultimo decennio, ne è un esempio.

In una situazione di necessità, come la nostra, le soluzioni facili sono sempre dietro la porta ed il punto di confine è sempre molto labile.

Le soluzioni, soprattutto per quanto attiene i rifiuti pericolosi, sono sfortunatamente note ma anche difficilmente arginabili: trasferimento dei rifiuti in paesi del terzo mondo; affondamento in mare aperto delle navi che trasportano i rifiuti; interramento dei rifiuti. In quest’ultimo caso il problema riveste un duplice aspetto: il primo quello già indicato; il secondo riguarda il successivo inquinamento dei terreni e delle falde freatiche, che deriva dall’interramento di detti rifiuti.

Interessante risulta la lettura dei dati (fonte Ministero dell’Interno) che riguardano i proventi delle associazioni criminali relativamente al traffico illecito dei rifiuti:

·  Nel 2009 il giro di affari relativo alla gestione illecita dei rifiuti è di circa 1/3 dei rifiuti prodotti ( pari a circa 50/70 milioni di tonnellate l’ anno ) con un fatturato stimato in circa 7 miliardi di euro!

·  Il 51% degli illeciti accertati in materia ambientale si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa .

 

I dati su indicati rendono molto chiaro e significato il motivo per cui organizzazioni criminali abbiano trovato nell’affare rifiuti una fonte di reddito pari a poche altre. Come accennato, l’accertamento degli illeciti è compito assai arduo anche perché, in alcuni casi, le normative non sono così chiare e precise, poiché lasciano molti spazi interpretativi.

Una delle tecniche più utilizzate per “ripulire” i rifiuti è quella c..d. della declassificazione fittizia, consiste nell’identificare i rifiuti con altri codici,  aventi il costo di lavorazione particolarmente contenuto e notevolmente inferiore rispetto ai rifiuti pericolosi.

È naturale che da questa operazione illegale, grazie alle mancate spese dovuto al mancato trattamento a cui dovrebbero essere sottoposti detti rifiuti, il guadagno risulterà essere molto elevato.

Si aggiunga poi che il guadagno aumenta ancora di più quando i rifiuti, pur con il nuovo codice di classificazione, non vengono comunque scaricati negli  appositi impianti, ma scaricati abusivamente lungo le strade, in mare o nelle condotte fognarie. Da precisare che quest’ultima tecnica viene utilizza prescindendo dalla declassificazione, ma  utilizzata molto spesso per lo smaltimento dei rifiuti in generale.

Per tentare di arginare il fenomeno la Commissione Ecomafia istituita presso il Ministero dell’Ambiente (1996 – 2001), elaborò una serie di modifiche al codice penale, successivamente approvate, che prevedevano nuovi reati finalizzati al contrasto della criminalità organizzata in materia ambientale.

La novità consisteva nel classificare i reati in argomenti, quali veri e propri delitti e non più delle semplici ipotesi contravvenzionali. Il concetto essenziale era di tipo tecnico, poiché oltre ad un aumento delle pene si creava un meccanismo che evitava la prescrizione dei reati, proprio  grazie al fatto che questi venivano classificati come delitti e con un aumento dei termini prescrittivi.

Il Governo dell’epoca fece proprie le proposte della Commissione e, dopo il previsto iter parlamentare, vennero alla luce due nuove fattispecie criminose, poi successivamente estese: 452 bis e 452 ter, detti articoli venero poi, nel tempo,  implementati fino al sexiesdecies.

Nonostante una nuova visione interpretativa ed un inasprimento delle pene, tutto a vantaggio dell’ambiente, le reazioni non furono tutte positive. Alcuni sostenevano che si trattava di un miglioramento; altri che le nuove ipotesi delittuose, per quanto innovative, evidenziavano dei limiti strutturali ed applicativi. Tutti, comunque, condivisero la bontà dei provvedimenti ed il fatto che fosse un punto di partenza sul quale poter poi successivamente apportare delle modifiche e dei miglioramenti.

Vi è da dire che il Codice Penale, prevedeva già alcune ipotesi delittuose in materia, nello specifico gli articoli 434[1] e 439[2],  che nel passato erano stati adottati a carico di alcune associazioni criminale e di singoli individui.

L’applicazione di questi articoli ha creato non pochi problemi interpretativi e probatori perché gli stessi nascono sulla base di presupposti che non erano certamente legati alla difesa dell’ambiente.

La questione giuridica, e per certi versi anche dottrinale, trovava motivo nel percorso attraverso il quale si giungeva a trovare un compromesso logico tra il pericolo creato all’ambiente dall’uomo e il concetto di pubblica incolumità, sancito dal disposto normativo su indicato.

Quest’ultimo, inoltre, per il modo in cui era/è costituito non rappresentava di certo un punto di riferimento, poiché  risulta essere assolutamente generico ed interpretabile. A trovare una soluzione è stata la Suprema Corte di Cassazione  che in diverse sentenze a definito il perimetro entro il quale ci si può riferire al concetto di incolumità pubblica : “ un evento particolarmente grave e complesso che colpisca persone e cose , sia suscettibile di mettere in pericolo e realizzare il danno di un certo numero di persone , indipendentemente dalla loro più o meno intensa esposizione al rischio e di diffondere , altresì , un esteso senso di commozione e di allarme [3]

Le organizzazioni criminali nel mentre, grazie al clima di incertezza giuridica che si era creato, hanno continuato ad allargare il loro raggio di azione, passando poi al controllo finale dei rifiuti e dunque la gestione diretta( o tramite società di comodo) degli impianti di smaltimento in genere.

A questo si aggiunga una mancanza di controlli dovuti ai più disparati motivi, tutti validi, che dunque apre spazi a società che operano senza alcuna autorizzazione o, peggio, competenza nel settore.

 

Quanto sopra evidenzia una doppia velocità che veda da una parte burocratico-giudiziario, dall’altro organizzazioni criminali che riescono ad insinuarsi proprio tra quegli spazi lasciati vuoti dalle normative.

Si sente l’esigenza, oggi più che mai, dell’adozione di un Teso Unico che racchiuda a se l’apparato  tra le normative in materia ambientale, così  che possa dare un valido contributo agli operatori del settore ed ai giudici che poi devono emettere sentenze non sempre facili.

Riuscire a sconfiggere definitivamente le Ecomafie è un utopia, ma lo è ancora di più se non si predispongono le strutture giuridiche più idonee e versatili, capaci di adattarsi alle emergenze che di volta in volta vengono a crearsi.


[1] Disastro innominato. 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro (1) (2) è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene [449, 676, 677].

[2] Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari.

[I]. Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il  consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.

[II]. Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l'ergastolo.

[3]  Cassazione Sezione IV sentenza n. 1686 del 8.2.90.

 

Fabrizio Carta

 


 

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