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L’Europa delle Nuove Generazioni

di Ebtehal Badawi Ali


Sono italiani a tutti gli effetti, hanno diritti e doveri come tutti i cittadini.
Sono nati sul territorio nazionale, hanno frequentato le nostre scuole, le nostre università, parlano i dialetti locali, lavorano al nostro fianco e il venerdì sera frequentano gli stessi locali, fra un drink e l’altro vivono la nostra stessa vita.
Hanno qualcosa in più, per qualcuno forse qualcosa in meno, hanno origini non autoctone:
I loro genitori sono immigrati.
Questo basta per non avere la cittadinanza italiana? Per non essere riconosciuti alla pari? Per dover attendere il compimento del 18° anno (il raggiungimento della maggior età) per non rinnovare più il permesso di soggiorno?
Sono nuovi cittadini, sono fin troppo integrati ed amalgamati nel tessuto societario da essere scambiati per italiani, ma per legge non lo sono.
Alcune volte conoscono solo questo mondo, parlano poco la loro lingua d’origine. Altre volte sono arricchiti da altre culture, ma non per questo devono essere esclusi dal diritto di dire: Si, sono italiano.
Lo Ius soli è il dibattito più affermato negli ultimi tempi, sia politicamente sia sul piano mediatico e dell’opinione pubblica.
L’espressione ius soli, in lingua latina significa il diritto di acquisire la cittadinanza con la nascita nel territorio di qualunque stato.
Insomma, il concetto è “se nasco in Svezia sono svedese, se nasco in Italia sono italiano”.
Ad alcuni il concetto pare semplice e logico, per altri pare pericoloso e rafforzante i flussi migratori nel nostro paese.
La critica allo ius soli contrapposto allo ius sanguinis (diritto ad acquisire la cittadinanza solo se uno dei genitori già la possiede) potrebbe essere significativa, se non fosse che già altri paesi e da molto tempo (un esempio significativo è la Francia) applicano lo ius soli accompagnandolo ad altri requisiti per arginare la problematica dell’aumento incontrollato dei flussi migratori.
La discussione è riesplosa con il nuovo ministro per l’integrazione Cecile Kyenge, che ha presentato una proposta di legge per uno ius soli temperato, così lo ha definito in quanto deve essere accompagnato dal fatto che uno dei genitori deve essere
residente sul territorio italiano da almeno 5 anni.
In pratica una famiglia può richiedere la cittadinanza al figlio appena nato, solo se la famiglia ha legami con il territorio e possiede una residenza di almeno cinque anni.
La proposta del ministro non è ne rara ne unica nel suo genere. Già da anni, più di 22 organizzazione ed associazioni promuovono la campagna “L’Italia sono anch’io ” per affermare il diritto alla cittadinanza, sempre temperato, sempre con regole e non arbitrario.
La differenza fra la proposta di legge del Ministro Kyenge e quella dell’Italia sono anch’io è la durata di residenza richiesta da uno dei genitori sul territorio italiano, l’Italia sono anch’io promuove un anno di residenza e non cinque come la proposta
del Ministro, nemmeno tre in base alla proposta del movimento 5 stelle.
Siamo alle seconde generazioni in Italia, in Europa.
Perché troviamo difficoltà ad accettare l’autenticità della multiculturalità, della globalizzazione, della confusione culturale fondata sul principio di sapere di più, di essere un unico mondo, ma allo stesso tempo bisognosi di appartenenza, identità e
soprattutto tolleranza. John Foot, su The Guardian, scrisse l’Italia non è un paese razzista, ma è un paese dove il razzismo viene tollerato. Il concetto può essere applicato al fatto che arrivati alla seconda generazione di immigrati, l’Italia ancora non provvede a commemorare la loro cittadinanza?
Appare ridicolo rivolgere la parola “straniero” a chi sul nostro territorio è nato, cresciuto e soprattutto mescolato e riconosciuto nella nostra cultura.
Ma del resto se in parlamento i toni sono caldi, anzi Calderoni, nei confronti del Ministro definito un ottimo ministro se solo fosse nel suo paese e per di più somigliante un orango, allora non meraviglia che l'Italia non riesca a percepire la necessità di affrontare la tematica in stratificazioni più complessa e non banalizzata alla paura dell'immigrazione irregolare. Quella stessa paura che ci porta ad istituire centri per identificazione ed espulsione contrari ad ogni principi di diritti umani.
Non è forse il momento di dare il benvenuto ai nuovi Italiani?

 

Ebtehal Badawi Ali

 


 

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