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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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La produzione di energia “pulita”. L’ Energia Nucleare 

di Luca Petrillo

 

Il nucleare, perché potrebbe essere l’alternativa pulita

L’assenza di una politica energetica nazionale volta al rinnovabile (il governo ha “svoltato” verso il nucleare) si sta creando forte una opinione pubblica volta al nucleare. In tal senso si registrano numerose posizioni contrastanti ; molti pensano che a livello ambientale la produzione di questo tipo sia un bene , altri un male. Eppure dal punto vista pratico il meccanismo di produzione dell’energia all’interno di una centrale nucleare, basato sulla scissione di nuclei atomici, non comporta emissioni di sostanze chimiche inquinanti come invece avviene per gli impianti di produzione che bruciano combustibili fossili (carbone, olio combustibile e gas naturale) e che emettono ossidi di azoto, biossido di zolfo e polveri sottili, seppure in minima quantità. In particolare una centrale nucleare non emette anidride carbonica (CO2), il gas che la grande maggioranza dei climatologi ritiene il principale responsabile del riscaldamento globale. In realtà anche il ciclo dell’uranio comporta piccole quantità di emissioni di CO2 nelle fasi di estrazione e del trasporto del minerale, e in quella di costruzione dell’impianto. Ma si tratta di quantità che, a parità di energia prodotta, risultano del 1,5% rispetto al carbone, del 2% rispetto all’olio combustibile e del 2,8% rispetto al gas naturale.

 

Il cambiamento climatico ed i combustibili fossili

Il cambiamento climatico della Terra, è un problema concreto per la quale molte organizzazioni mondiali hanno posto la loro l’attenzione .Tra queste, quella che ha prodotto moltissimi studi scientifici in tal senso , è l’ONU. Il continuo monitoraggio dell’ONU ha portato a conclusioni molti allarmanti , spesso messe in dubbio in quanto , incertezze come il complesso cambiamento dell’ecosistema terrestre , non rendono i risultati certi. Basandosi invece su dati assodati , si è accertato che :

La temperatura che la temperatura terrestre è in crescita da oltre un secolo. L’aumento medio è stimato in 0,4-0,7 gradi centigradi. Numerosi studi collegano questa variazione a cambiamenti già oggi misurabili nell’ecosistema.

La grande maggioranza dei climatologi ritiene che l’attività umana, in particolare i gas serra, siano i principali responsabili del riscaldamento globale. Un ruolo primario viene attribuito all’anidride carbonica (CO2), la cui concentrazione nell’atmosfera è in aumento perché per soddisfare la crescente richiesta di energia vengono bruciate quantità sempre maggiori di carbone, petrolio e gas naturale.

Molti scienziati temono che crescenti emissioni di gas serra possano indurre aumenti della temperatura e cambiamenti climatici così rapidi da rendere difficile l’adattamento da parte dell’ecosistema terrestre.

Per controbattere allo scetticismo di chi non ritiene scientificamente fondati questi scenari, molti esperti – specie all’interno del mondo ambientalista – hanno chiesto di applicare il principio di precauzione. Secondo loro, la probabilità che questi scenari si verifichino è così alta, e il loro effetto sarebbe così catastrofico, da suggerire l’adozione di misure atte a scongiurare il rischio.


In questo contesto, da quasi un ventennio va avanti la discussione sulla necessità di limitare l’uso dei combustibili fossili.
Nell’ambito del Protocollo di Kyoto, l’Unione europea si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra dell’8 per cento entro il 2012, rispetto ai valori del 1990. L’Italia ha scelto un obiettivo più limitato: -6,5 per cento. Per ottenere questo risultato è necessario avviare un processo per la riduzione dei consumi di combustibili fossili. L’Unione europea ha inoltre adottato un piano ambizioso che prevede tre obiettivi (definiti 20-20-20) da raggiungere entro il 2020: ridurre i gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990, coprire il 20% dei consumi energetici con fonti rinnovabili, diminuire del 20% il consumo di energia grazie al risparmio energetico;
Per raggiungere questi obiettivi la Commissione europea ha manifestato il suo sostegno allo sviluppo dell’energia nucleare sottolineando sia la sicurezza di questa tecnologia sia il suo positivo contributo alla riduzione dell’emissioni di CO2. Ma ha lasciato autonomia ai diversi paesi sulle scelte da compiere per raggiungere gli obiettivi di Kyoto, rispettando la sovranità di ogni Stato membro.

 

Per ridurre le emissioni di CO2 il Nucleare è indispensabile?

Sono diversi gli elementi che spingono a ritenere l’energia nucleare un elemento chiave per ridurre i consumi di combustibili fossili.
1. Tra il 1997 e il 2007, a livello mondiale, la produzione di energia elettrica è cresciuta del 35 per cento (dati EIA) e nel prossimo decennio si ipotizzano tassi di crescita ancora maggiori non solo perché la popolazione globale continuerà ad aumentare ben oltre i sette miliardi di individui ma perché nel mondo oltre 1,5 miliardi di persone sono ancora senza energia elettrica.
2. Secondo il Rapporto sul nucleare pubblicato nel 2003 (e aggiornato nel 2009) dal Mit (Massachusetts Institute of Technology), esistono solo quattro opzioni realistiche per ridurre le emissioni di CO2 nella produzione di energia elettrica.
a. Espandere l’uso delle energie rinnovabili;
b. Aumentare l’efficienza energetica;
c. Utilizzare tecnologie per sequestrare in modo permanente la CO2 e impedire che si liberi nell’atmosfera
d. Espandere la produzione di energia nucleare
Lo studio sostiene che è indispensabile perseguire tutte e quattro queste strade per diminuire i consumi di combustibili fossili limitando le emissioni di CO2.

Ai costi attuali dei diritti d’acquisto per le emissioni di anidride carbonica una sola centrale nucleare permette di risparmiare 177 milioni di euro all’anno.

Senza considerare che in un solo anno , una centrale nucleare può far risparmiare emissioni pari a 9 milioni di tonnellate di anidride carbonica ; è come togliere dalle strade 4,5 milioni di automobili.

 

Le energie pulite dopo il protocollo di Kyoto

Negli ultimi decenni, mentre nel mondo si diffondeva l’allarme per possibili effetti catastrofici del riscaldamento globale, si è assistito a un fenomeno paradossale: il ruolo globale delle fonti energetiche responsabili delle emissioni di CO2 è cresciuto, mentre quello del nucleare e delle rinnovabili è sceso. Nel decennio tra il 1997 e il 2007 l’energia elettrica prodotta nel mondo con carbone, olio e gas è salita dal 63,1 % al 68,2 % del totale. Al contrario il nucleare è sceso dal 17,2 al 13,8 per cento. Le energie rinnovabili (compreso l’idroelettrico) sono calate dal 20 al 18,4 % (dati EIA).
Tra le energie rinnovabili il ruolo dell’energia eolica e del solare è cresciuto ma resta ancora assai limitato: nel 2007 l’eolico contribuiva per lo 0,8 per cento alla produzione di energia elettrica mondiale, il solare per lo 0,4 per mille.

Partendo da valori così bassi, anche immaginando tassi di crescita elevati, è difficile ipotizzare che il problema del riscaldamento globale possa essere risolto puntando soltanto sullo sviluppo delle energie rinnovabili.
La quota di energia elettrica di fonte nucleare (13,8% a livello mondiale) è calata negli ultimi vent’anni, perché l’incidente di Chernobyl ha causato un forte danno di immagine al settore e un drastico rallentamento nell’ordinazione di nuovi centrali. Ma negli ultimi anni si assiste a un’inversione di tendenza. All’inizio del 2010 nel mondo c’erano in costruzione 55 reattori nucleari in 15 paesi diversi e in molti altri sono in corso le procedure per ottenere le licenze. Inoltre la convinzione che le vecchie centrali siano sicure e affidabili sta spingendo molti paesi a prorogare la licenza oltre il termine previsto quando l’impianto fu costruito. Le ragioni di questa inversione di tendenza sono svariate. Ogni paese fonda le proprie scelte energetiche su considerazioni tecniche, economiche, geopolitiche, ma il peso del problema ambientale sta crescendo.

 

Le scorie, come si risolve il problema?

Seppur i rifiuti radioattivi prodotti per dare elettricità ad un appartamento di 200 mq per 70 anni occupano lo spazio di una lattina, quello delle scorie nucleari è uno degli aspetti più delicati connessi alla produzione di energia nucleare. Un reattore con una potenza di 1000 megawatt produce in media ogni anno 80 metri cubi di materiale a bassa o media radioattività e circa 9 metri cubi di rifiuti ad alta radioattività . Sono questi ultimi il problema che più allarma i gruppi ambientalisti e l’opinione pubblica perché i rifiuti ad alta radioattività contengono sostanze pericolose, come il plutonio 239 e altri prodotti della fissione nucleare che restano altamente radioattivi per molte centinaia o migliaia di anni.

L’obiezione fondamentale avanzata dal movimento ambientalista è che non si debba lasciare una simile eredità alle future generazioni. In molti paesi del mondo – Italia compresa – è difficile convincere le popolazioni locali ad accettare che nella propria regione sia collocato un deposito di scorie di questo tipo. L’indicazione di siti geologici altamente stabili suscita opposizione in molti paesi del mondo, mentre in altri (Finlandia e Svezia) le soluzioni sono state trovate con il consenso della maggioranza.
I sostenitori del nucleare sostengono che ogni modo di produzione di energia presenta rischi e problemi. Nel caso delle scorie nucleari i rischi possono essere gestiti e minimizzati. Anche altre attività umane, come la medicina radiologica, producono rifiuti radioattivi in modo assai meno controllato e con una maggiore dispersione nel territorio. I reattori di tipo EPR oggi in costruzione in Finlandia e in Francia produrranno il 15 per cento di rifiuti radioattivi in meno rispetto alle generazioni precedenti.
Ma si tratta di un problema che la comunità scientifica internazionale considera ancora aperto. L’ultimo Rapporto sulle scorie nucleari pubblicato nel settembre 2010 da una commissione del Mit sostiene che vetrificare i rifiuti radioattivi per sistemarli definitivamente all’interno di depositi sotterranei potrebbe essere un errore. La commissione sostiene che non è ancora chiaro se le scorie radioattive debbano essere considerate ‘rifiuti o risorse per il futuro’. Gli esperti del Mit suggeriscono di mettere in sicurezza i residui radioattivi in depositi controllati e temporanei, magari nei pressi delle centrali, per qualche decina di anni. E propongono di finanziare nuove ricerche per capire se quelle sostanze solo parzialmente esauste potrebbero trasformarsi in una riserva strategica di energia per il futuro da utilizzare all’interno di centrali di nuova concezione.

 

Luca Petrillo

 


 

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