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Anno XIV num.4
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Sviluppo sostenibile ed ecologia urbana

 di Flavia Pollonio

 

Prima della nascita della parola “ecologia” a metà ottocento, molti hanno riflettuto su questioni, anticipato punti di vista che saranno caratteristici del pensiero ecologico vero e proprio.

Accanto all’invenzione del termine ecologia, un altro “fatto” segna lo spartiacque tra i primi studiosi ed i contemporanei: il progressivo esplicitarsi della crisi ecologica come problema specifico della modernità, ed in particolare della modernità occidentale ed industriale.

Etica dell'ambiente.

L’idea che il rispetto per la natura e per la vita degli animali abbiano un fondamento etico risale molto indietro nel tempo: dal pensiero francescano al romanticismo di Thoreau, all’ecocentrismo preservazionista di Leopold, fino alle concezioni proto animaliste di filosofi e pensatori come Voltaire, Michelet, Bentham. Ma solo a partire dagli anni ’70 del novecento in connessione con l’imporsi del tema della crisi ecologica e con la nascita dell’ambientalismo, nonché di un complessivo ritorno dell’etica pratica di derivazione kantiana, questa problematica ha cominciato a formare l’oggetto di uno specifico indirizzo filosofico, l’etica dell’ambiente, sviluppatosi soprattutto nel mondo anglosassone.

Pluralità di pensieri sintetizzabili nell’alternativa tra concezioni che riconducono la difesa dell’ambiente ad un interesse umano ed altre che l’affermano come un diritto intrinseco del mondo naturale.

Sviluppo sostenibile

In una fase più recente l’etica dell’ambiente ha allargato il proprio sguardo anche a temi non propriamente legati al rispetto della natura, per esempio alla questione dei doveri dei contemporanei verso le generazioni future-fondativa del concetto di sviluppo sostenibile- e alle riflessioni sul tema del limite alla libertà di manipolazione umana della natura.

Lo sviluppo sostenibile è il modello di sviluppo economico che si basa sull’obiettivo di rendere compatibile la crescita della ricchezza prodotta con la salvaguardia degli equilibri ecologici e dell’integrità degli ecosistemi, nonché con l’interesse delle generazioni future.

E’ il rapporto Brundtland (1987) che definisce lo sviluppo sostenibile come “la capacità di assicurare il soddisfacimento dei bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare il loro bisogni”.  Questo tema è trattato da ambientalisti ed economisti, secondo diverse interpretazioni e distinguendo tra “sviluppo” e crescita”. Un altro interessante punto di vista è quello di William Rees (1990) in cui si definisce sostenibile, da un punto di vista ambientale, uno sviluppo che non danneggia il sistema ecologico da cui dipendono le comunità. Il concetto di “capacità di carico” è quindi centrale alla definizione di sviluppo sostenibile.

Per la popolazione umana questa può essere misurata con i livelli massimi di uso delle risorse ed emissioni che possono essere sostenuti ed assorbiti in definitivamente in una data regione del pianeta, senza danneggiare progressivamente l’integrità funzionale e la produttività di importanti ecosistemi da cui dipende la vita del pianeta. Esiste inoltre una questione di equità infra e inter-generazionale: il 25% della popolazione mondiale che vive nei paesi sviluppati consuma circa l’85% delle risorse non rinnovabili e tra un terzo e la metà del cibo prodotto. Il progetto di una società sostenibile dal punto di vista ambientale implica una diversa distribuzione delle risorse ed una maggiore equità. L’idea di uno sviluppo sostenibile sottointende quindi che sviluppo e ambiente siano legati sia dalla capacità riproduttiva dell’ambiente che dalla necessità di soddisfare i bisogni della popolazione mondiale presente e futura.

Ecologia urbana

White e Whitney (1992) sostengono che la città per essere sostenibile non deve eccedere la capacità di carico delle regioni di supporto o hinterland. Oggi nessuna città è in grado di sostenere se stessa contando solo sulle risorse del suo hinterland. O, per meglio dire, i confini delle regioni di supporto dei centri urbani si sono estesi oltre quelli regionali e continentali.

Per questo motivo l’ International Institute for Environment and Development sottolinea che la città sostenibile non va intesa come improbabile progetto di città autonoma, quanto piuttosto come città che è in grado di soddisfare i bisogni dei suoi abitanti senza imporre una domanda insostenibile sulle risorse naturali ed i sistemi locali e globali. Secondo White e Whitney per passare da un modello insediativo insostenibile ad uno sostenibile bisogna considerare tre elementi. Il primo è che l’insediamento urbano minimizzi i livelli di entropia del sistema urbano adottando la migliore tecnologia disponibile.

Il secondo è che, supponendo che l’insediamento urbano abbia raggiunto i massimi livelli di capacità di carico del suo hinterland, si approvvigioni da altre regioni sulla base di un reale surplus ecologico di queste regioni. Il terzo elemento è un meccanismo di compensazione secondo cui l’insediamento restituisce sotto altra forma il valore sottratto agli altri insediamenti, includendo in questo il costo economico, sociale ed ambientale. In questo modello ci sono però difficoltà per stabilire le forme di compensazione e per misurare i benefici persi da parte degli insediamenti che li cedono all’insediamento che ne ha necessità. Inoltre gli scambi tra le regioni sviluppate e quelle in via di sviluppo creano forme di dipendenza da parte delle regioni più povere, le quali esportano surplus ecologico per accedere al mercato economico internazionale e per pagare i debiti accumulati, con la conseguenza di accelerare l’erosione del loro capitale naturale.

Molte città del mondo, notevoli per le dimensioni e per gli aspetti artistici e storici, come Lisbona, Los Angeles, San Francisco, Tokio, Catania e Venezia, sono state edificate in contesti soggetti a forti pericoli ambientali (compresi quelli igienico-sanitari), mentre altre sono diventate pericolose per il modo in cui erano state costruite.

Alcune malattie originate dalle nuove tecnologie o dai nuovi prodotti chimici, chiamate anche “tecnopatie”, quali la asbestosi ed il saturnismo, sono dei pericoli ambientali creati dall’uomo. Un incendio di vaste proporzioni che si verifica in una città rappresenta un pericolo antropogenico. Altri pericoli che minacciano le città, come i terremoti e gli uragani, sono invece di origine naturale.

Alcuni pericoli ambientali possono essere parzialmente previsti, almeno per quanto riguarda il “dove” e molto meno per il “quando”, come una’inondazione in una valle fluviale od un episodio di tipo “acuto” di inquinamento atmosferico da parte di uno stabilimento industriale.

Certi pericoli erano del tutto insospettati durante lo sviluppo della tecnologia relativa o dell’attività, come per esempio i possibili effetti dei CFC (clorofluorocarburi) sullo strato di ozono dell’alta atmosfera o dei fertilizzanti azotati sulla qualità delle acque sotterranee.

Tra i pericoli naturali si possono considerare quelli geologici (sismico, vulcanico, idrogeologico, anche se quest’ultimo è spesso innescato dall’uomo), quelli climatici (uragani, cicloni tropicali e tempeste, siccità, onde di calore, etc.) e quelli biologici (virus e parassiti).

La forma della città ed i materiali di cui è costituita possono aggravare sia la pericolosità naturale, sia quella antropogenica.

Gli strumenti di indagine, raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione delle informazioni inerenti agli aspetti fisici dell’ambiente urbano sono simili per tutte le città.

Un obiettivo importante, indirizzato al miglioramento della pianificazione urbanistica è lo sviluppo della consapevolezza ambientale.

A partire dalla riflessione sulla sostenibilità, la più recente generazione di piani urbanistici tende a ridefinire i propri obiettivi e contenuti, mettendo in campo questioni a lungo considerate marginali quali: minimizzazione dei consumi di risorse non rinnovabili; riduzioni delle immissioni inquinanti; riduzione dei consumi di risorse rinnovabili entro i limiti posti dalle capacità di rigenerazione delle risorse naturali; incremento della quantità e della qualità delle risorse naturali in ambito urbano; incremento della biodiversità e della biomassa; promozione di adeguate modalità di gestione dei cicli dell’energia, dei materiali, dell’acqua e dei rifiuti; contenimento dei processi di crescita urbana; promozione della partecipazione dei cittadini ai processi di trasformazione urbana.

I metodi e le tecniche per studiare e gestire l’ambiente urbano sono disponibili. Come fare perché tali metodi e tecniche siano accettati e/o utilizzati è una questione amministrativa, politica, sociale e normativa per ogni paese e nelle quali gli esperti delle scienze fisiche e biologiche hanno e dovranno giocare un ruolo crescente, se vogliono vedere la loro scienza usata per migliorare le città.

 

Bibliografia

  • Marina Alberti, Gianluca Solera, Vula Tsetsi “la Città sostenibile – analisi, scenari e proposte per un’ecologia urbana in Europa” Franco Angeli 1994

  • Roberto Della Seta, Daniele Guastini “Dizionario del pensiero ecologico da Pitagora ai no-global” Carocci editore 2007

  • Giuseppe Gisotti “Ambiente urbano – introduzione all’ecologia urbana” Dario Flaccovio editore 2007

  • Virginio Bettini “Ecologia urbana – L’uomo e la città” Utet 2004

Flavia Pollonio

 


 

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