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Ripristino e mantenimento della fertilità dei suoli: la glomalina
di Luca Lombardo
Nel modello agricolo sostenibile,
il suolo viene considerato come una risorsa rinnovabile la cui fertilità
deve essere conservata e migliorata a vantaggio delle generazioni future
(Canali et al., 1997), ma bastano pochi dati per constatare
quanto la realtà sia effettivamente ben diversa:
-
secondo i calcoli del progetto
Desertification Information System for the Mediterranean (Dismed)
resi noti nel 2003, in Italia circa il 30 per cento del territorio è
a rischio di desertificazione (41,1% nel Centro e Sud Italia),
fenomeno che, a livello planetario, interessa circa il 47% delle
terre emerse e coinvolge indirettamente un miliardo di persone;
-
la degradazione del suolo
avvenuta negli ultimi 40 anni ha provocato una diminuzione di circa
il 30% della capacità di ritenzione idrica dei suoli italiani, con
un relativo accorciamento dei tempi di ritorno degli eventi
meteorici in grado di provocare attività calamitose (M. Pagliai,
2008);
-
circa un decimo delle terre
irrigate del mondo è stato danneggiato dal sale e sebbene
attualmente soltanto il 17 per cento di tutta la terra coltivata sia
irrigato (fornendo il 40 per cento del cibo prodotto in tutto il
pianeta), la salinizzazione ne sta riducendo la superficie a un
ritmo annuo dell'1-2 per cento (dati FAO, 2007).
E non stupisce la previsione
realizzata nel 2008 dall'International Institute for Applied Systems
Analysis, secondo cui fra 20 anni, la disponibilità di terreni per
forestazione, agricoltura e produzione di biomasse industriali ed
energetiche nel mondo, potrebbe essere pari a circa 250 Mha mentre il
fabbisogno della popolazione umana ammonterebbe ad almeno 500 Mha.
Appare evidente quindi come il
mantenimento ed il ripristino della fertilità del suolo, stiano
diventando sempre di più elementi centrali della ricerca scientifica e
delle agende politiche.
Il concetto di fertilità però,
risulta essere piuttosto ampio ed implica la conoscenza di una serie di
fattori limitanti o stimolanti “la crescita delle piante da ogni punto
di vista” (Sequi & Chéroux, 1998) e di come essi evolvono nel tempo e
nello spazio. Pertanto, avvalendoci di parametri multifattoriali
semplificati, possiamo genericamente affermare che la fertilità globale
(o integrale) di un terreno dipende dall'insieme della fertilità
chimica, fisica e biologica del suolo stesso e che per avere un quadro
esaustivo, tali indicatori devono necessariamente essere correlati alle
caratteristiche climatiche dell'area ed alle pratiche colturali
adottate.
All'interno di questo ambito si
vuole introdurre una molecola ancora non molto studiata (soprattutto in
Italia), ma, in base alla letteratura finora disponibile, dalle enormi
potenzialità applicative: la glomalina.
La glomalina è una glicoproteina
insolubile ed idrofobica nella sua forma nativa, di relativamente
recente scoperta (Wright & Upadhyaya, 1996), prodotta in grande quantità
(tipicamente, da 2 a 15 mg/g e fino ad oltre 60 mg/g) dai funghi
micorrizici arbuscolari (AM) (Nichols et al., 2004; Rillig et
al., 2001) che migliora la fertilità del suolo rallentando la
degradazione della sostanza organica e la perdita dei nutrienti
associati attraverso la formazione di aggregati, che riescono
fisicamente a proteggere la materia particolata dall'attività degli
enzimi (Rillig, 2004; Miller & Jastrow, 2000; Wright & Upadhyaya, 1998),
in questo sembra avere proprietà e funzioni simili alle idrofobine (Nichols
& Wright, 2004; Nichols, 2003; Wright & Upadhyaya, 1996), che sono
piccole proteine idrofobiche ed autoaggreganti trovate nelle ife di
diverse specie fungine, compresi i funghi ectomicorrizici e che
proteggono le ife dalla mancanza di soluti e permettono loro di crescere
attraverso il suolo e mantenere il turgore mentre attraversano i pori
pieni di aria o acqua (Wessels, 1997).
La sua concentrazione nei terreni
coltivati con piante micorrizzate è fortemente correlata positivamente
con gli aggregati stabili all'acqua (WSA) del suolo (Rillig et al.,
1999; Wright & Upadhyaya, 1998) -la cui percentuale è correlata con la
concentrazione della materia organica (Nichols et al., 2004)-
proprio a causa della sua natura idrofobica che aumenta la coesione e la
resistenza all’acqua delle particelle aggregate (Bedini et al.,
2004).
Secondo recenti ricerche, tale
proteina non viene essudata dalle ife AM, ma è invece contenuta nelle
pareti delle ife stesse (Driver et al., 2005) che una volta morte
e decomposte, rilasciano il loro contenuto di glomalina nel suolo (Treseder
& Allen, 2000). Fattori ambientali limitanti quali temperatura, pH del
suolo, livelli elevati di fosforo e di azoto, alte concentrazioni di
metalli pesanti (Daniels & Trappe, 1980), conducibilità elettrica,
valori di sostanza organica e di CaCO3, sono ovviamente da
mettere in relazione con l'influenza che questi parametri hanno sulla
crescita dei funghi AM (Pande & Tarafdar, 2004, Mohammad et al.,
2003). E' stata dimostrata l’inibizione dovuta ad elevati valori di
salinità nel suolo sia della crescita delle ife di alcuni funghi AM, nel
suolo ed all’interno delle radici della pianta ospite (McMillen et
al., 1998), sia della germinazione delle spore (Estaun, 1991; Hirrel,
1981) con conseguente influenza sulla formazione della simbiosi.
Sebbene il suo gene sia stato
completamente sequenziato dal fungo AM Glomus intraradices e
mostri omologia con proteine legate allo stress (in particolare una
proteina heat shock) (Gadkar & Rilling, 2006), non sono ancora molti i
dettagli noti sulle proprietà molecolari della glomalina, ma la proteina
appare essere un complesso di strutture monomeriche ripetute, tenute
assieme da interazioni idrofobiche (Nichols, 2003) che si attaccano al
suolo per aiutare a stabilizzare gli aggregati. E' certo che la molecola
contenga ferro (Nichols, 2003; Rillig et al., 2001; Wright &
Upadhyaya, 1998), ma non composti fenolici né tannini (Rillig et al.,
2001) e che presenta oligosaccaridi N-linked (legati al gruppo NH2
della catena laterale di un residuo di asparagina); proprio la
presenza di catene esterne di questi oligosaccaridi ha dato conferma che
si tratta di una glicoproteina (Wright et al., 1998). La
concentrazione del ferro da 0,8 a 8,8% (Wright & Upadhyaya, 1998), può
proteggere la glomalina dalla degradazione, come proposto in generale
per la materia organica (Hassink & Whitmore, 1997) e può aumentarne la
stabilità termica e le proprietà antimicrobiche (Paulsson et al.,
1993). Essendo essa stessa costituita da circa un 30-40% di carbonio,
contribuisce incisivamente al pool di questo elemento (Wright &
Upadhyaya, 1996) costituendone, acumulandosi, il 5% del C totale (Rillig
et al., 2003, 2001) ed addirittura fino al 35% del C della
frazione organica nel suolo (Nichols et al., 2004); inoltre è una
buona fonte di azoto, contenendo il 5% del N totale (Lovelock et al.,
2004). Si ipotizza che sia la sua attitudine ad implementare lo spazio
fisico di crescita per le ife, assicurata dalle capacità aggregante
della glomalina, a giustificare il costo in C ed N, necessari ai funghi
alla costruzione della glicoproteina (Rilling & Steinberg, 2002; Jones
et al., 1997).
Inoltre la glomalina può essere
utilizzata come bio-indicatore di funghi AM, in quanto l'ergosterolo,
come le chitine, non sono peculiari di tali funghi e le concentrazioni
di specifici acidi grassi sono altamente variabili (Wallender et al.,
2001).
Diversi studi confermano le
potenzialità dei funghi AM nel miglioramento di terreni sottoposti ad
intenso regime agronomico ed indicano che la glomalina è in grado di
chelare fortemente non solo il ferro (Wright & Upadhyaya, 1998; Rillig
et al., 2001), ma anche metalli pesanti, in particolare Cu ma
anche Pb, Cd, Mn e Zn, potenzialmente tossici (Bedini et al.,
2004; González-Chávez et al., 2004). L’immobilizzazione di
metalli nella glomalina, può avere notevole significato non solo nei
terreni agrari dove elementi nutrizionalmente importanti quali ferro e
rame possono in tal modo essere immagazzinati nel suolo e poi lentamente
ceduti alla pianta evitando fenomeni di perdita per dilavamento ma può
anche rappresentare un utile strumento per il miglioramento e il
recupero di suoli compromessi e per la biostabilizzazione di metalli
pesanti in suoli contaminati (Bedini et al., 2004) e si presta ad
integrare gli studi sull'utilizzo di acque non convenzionali come i
reflui civili od oleari (e.g. Palese et al., 2007; 2002;
Xyloiannis et al., 2003; Katyal & Vlek, 2000).
Un altro vantaggio è la facile
reperibilità, in quanto i funghi micorrizici arbuscolari (AM) vivono in
associazione con le radici di circa l’80% delle piante terrestri e sono
abbondanti in tutti i maggiori biomi terrestri (Treseder & Cross, 2006).
Le comunità fungine AM aumentano
l’assorbimento di acqua e nutrienti minerali della pianta ospite
attraverso la costituzione di un ulteriore apparato assorbente formato
dalle ife extraradicali. A tali vantaggi si uniscono la facilità e
praticità d’uso, la compatibilità con l’ambiente e la bassa invasività
della pratica stessa. La precoce introduzione delle micorrize in fase di
vivaio può risultare interessante anche in prospettiva della messa a
dimora in pieno campo, in quanto consente non solo di superare con
maggiore successo la fase di trapianto, ma risulta efficace nel caso il
terreno sia povero di tali funghi simbionti o nel caso le popolazioni
autoctone di funghi non siano sufficientemente efficaci nel colonizzare
le radici delle piante. Considerando che generalmente le piante
necessitano di essere inoculate una sola volta durante il loro ciclo
colturale, è auspicabile l’impiego di tale pratica sostenibile per la
produzione di piante di qualità (Tataranni et al., 2009;
Rapparini & Rotondi, 2006; Briccoli Bati & Godino, 2002).
Il migliorato vigore della pianta
si riflette nella diminuzione significativa non solo dell’incidenza ma
anche della gravità di alcune patologie, in quanto è stato dimostrato
che la simbiosi con i funghi micorrizici arbuscolari induce nelle radici
micorrizate della pianta ospite alterazioni del metabolismo dei fenoli,
i quali sono responsabili dell’attivazione del sistema di difesa della
pianta in reazione agli attacchi di funghi patogeni (Whipps, 2004;
Tullio et al., 2002, Whipps, 2001; Benhamou et al., 1994).
Per tale azione sono considerati dei “biofertilizzatori naturali” (Rea &
Tullio, 2001). I funghi AM migliorano la struttura del suolo sia
indirettamente stimolando e favorendo lo sviluppo della vegetazione (Giovannetti
& Avio, 2002) sia direttamente grazie alla estesa rete di ife
extraradicali che imbrigliano le particelle di terreno(Miller & Jastrow,
2000). Le piante ospiti traggono profitto dall'aumento del fosforo
fornito dai funghi AM ed in cambio forniscono carboidrati; perciò la
disponibilità di P nelle radici delle piante è un altro fattore critico
per il rifornimento di C dei funghi. Perciò la fertilizzazione con
fosfati, può portare alla riduzione dell'abbondanza dei funghi AM (Mäder
et al., 2000; Eom et al., 1999; Abbott et al.,
1984). In generale, i funghi AM risentono dei cambi di piante ospiti in
sistemi colturali rotazionali (Johnson & Pfleger, 1992), effetti
aumentati se tali sistemi comprendono periodi incolti, come ad esempio
in aree semiaride per il risparmio d'acqua durante le stagioni secche
(Kabir, 2005; Allen, 1989) e delle alterazioni meccaniche a cui è
sottoposto il suolo lavorato in cui si distrugge fisicamente la rete
delle ife; a conferma di ciò, la relazione tra aggregazione del suolo e
glomalina totale è risultata maggiore in suoli con copertura erbosa
continua e minore in campi sottoposti a lavorazioni (Wright et al.,
1999), per cui la conversione da lavorazioni tradizionali
(convenzionali) a pratiche di non lavorazione (no tillage) possono
aumentare lo sviluppo di funghi AM e quindi la fertilità del suolo
(Kabir, 2005, Wright & Anderson, 2000; Mader et al., 2000;
McGonigle et al., 1999; Miller et al., 1995; Douds et
al., 1995).
Nei suoli, la quantità di
glomalina è risultata essere correlata con i principali parametri di
fertilità in quanto, per le sue caratteristiche di abbondanza,
refrattarietà alla degradazione, è un’importante frazione della sostanza
organica dei suoli nonché un sink del carbonio atmosferico (Bedini et
al., 2004). Infatti le dinamiche della glomalina sembrano essere
strettamente collegate alle dinamiche del carbonio ed in più, elevati
tassi di CO2 atmosferica, frequentemente aumentano la
concentrazioni della proteina nel suolo (Treseder & Turner, 2007), come
d'altronde anche l'abbondanza di funghi AM (Treseder, 2004; Staddon &
Fitter, 1998; O’Neill et al., 1987) anche perchè è da considerare
l'investimento di C cui devono far fronte i funghi per la sua
produzione.
Se si considera inoltre che il
Protocollo di Kyoto -siglato nel dicembre 1997 ed entrato (?) in vigore
nel febbraio 2005- prevede che ogni Paese metta in atto un sistema di
monitoraggio del bilancio del carbonio della vegetazione, appare chiaro
come tale molecola possa rappresentare un’arma in più per il ripristino
della fertilità dei suoli ed il mantenimento del bilancio della CO2.
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Luca Lombardo |