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		LA NASCITA DI UNA GRANDE INDUSTRIA E LA PRESA DI 
		COSCIENZA DEI PROBLEMI AMBIENTALI 
		di Ciro 
		Todisco    
		
		PREMESSA 
		La città di 
		Taranto è situata nell'omonimo 
		Golfo sul
		
		Mar Ionio, 
		si estende tra due mari: il Mar Grande ed il Mar Piccolo, è sede di un 
		grande
		
		porto 
		industriale e commerciale e di un
		
		arsenale 
		della
		
		Marina Militare 
		Italiana, nonché della maggiore stazione navale.  A causa di 
		un grande indotto industriale, la città di Taranto risulta essere una 
		delle città più inquinanti d’Italia ma presenta, da una decina d’anni, 
		una forte coscienza ecologista. La città dei due mari ospita numerose 
		realtà industriali di piccola, media e grande portata, tra le tante, una 
		raffineria, alcuni cementifici ed uno tra i più grandi stabilimenti 
		siderurgici d’Europa, l’Ilva, un impianto che ha avuto senz’altro il 
		merito di creare migliaia di posti di lavoro ma al tempo stesso ha anche 
		prodotto notevoli danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. 
		 
		Effetti 
		negativi che oggi sono percepiti in misura maggiore rispetto al recente 
		passato, grazie all’evidenza dei dati sanitari che dimostrano un aumento 
		della mortalità per tumore ed altre patologie nella città, in 
		particolare nel quartiere “Tamburi”, quello situato a ridosso dell’area 
		industriale.  
		Il mio lavoro 
		si è soffermato sulla storia dell’Italsider, a partire dal 1957, prime 
		voci circa la localizzazione di uno stabilimento siderurgico nella zona 
		di Taranto, fino ai primi giorni del 2010, quando lo stabilimento Ilva, 
		ha inaugurato il nuovo impianto di aspirazione fumi e depolverazione.
		 
		  
		
		INTRODUZIONE 
		Sono state 
		ripercorse le tappe fondamentali che hanno contraddistinto la convivenza 
		tra un colosso siderurgico e la città di Taranto.  
		Dall’euforia 
		iniziale, per l’avvento di un gigante che dava lavoro e sicurezza 
		economica a migliaia di famiglie, si è passati, nel corso dei decenni, 
		ad una crescente preoccupazione per il peggioramento della qualità della 
		vita, sia dei lavoratori sia dei cittadini.  
		Il polo 
		industriale dell’area di Taranto risulta il maggiore produttore di gas 
		ed emissioni inquinanti nel Paese, dalla diossina a CO, IPA, Benzene, 
		Cadmio, Cromo, Mercurio, Piombo...ecc.. 
		La coscienza 
		ambientalista si è sviluppata notevolmente, si evidenziano numerose 
		iniziative dei mass media nazionali, i quali si sono accorti 
		dell’emergenza ambientale tarantina, ponendo i loro riflettori sulle 
		tragedie di tante vite spezzate dalle patologie causate 
		dall’inquinamento.  
		Sono state 
		numerose, negli ultimi anni, le trasmissioni di emittenti pubbliche e 
		private dedicate a tale questione.  
		  
		CAPITOLO I 
		Cronistoria 
		dell'industrializzazione a Taranto negli anni:  
		1957
		Necessità di nuovi investimenti in siderurgia nel Mezzogiorno, prime 
		voci circa la localizzazione di uno stabilimento siderurgico nella zona 
		di Taranto.
 
		1959
		La città esulta, il Comitato dei Ministri per le Partecipazioni Statali 
		delibera la costruzione a Taranto del IV centro siderurgico.
 
		1960
		“L’Italsider” rappresenta una speranza per la 
		popolazione, viene percepito come una opportunità di miglioramento delle 
		condizioni di vita.
 
		Dagli studi 
		commissionati dalla “Finsider”, vengono individuate 3 zone 
		comunali che presentavano caratteristiche idonee ad accogliere 
		l’impianto.  
		Si decide la 
		localizzazione dello stabilimento con superficie di 528 ettari, separato 
		dalle abitazioni cittadine solo da una strada statale. 
		 
		1961
		Iniziano i primi lavori per la costruzione dello stabilimento, vengono 
		sradicati  ventimila alberi di ulivo tra l’indifferenza generale, anche 
		di quei proprietari terrieri che vengono comunque risarciti con buoni 
		indennizzi.
 
		Si registra un 
		boom economico, la popolazione tarantina aumenta di oltre 32.000 unità. 
		1964
		Ad ottobre viene avviato il primo altoforno.
 
		1968
		Progetto di ampliamento dello stabilimento, dai 528 iniziali ai 1500 
		ettari (due volte la superficie urbana della città di Taranto).
 
		
		Il 
		CIPE delibera 
		i lavori di ampliamento, il Consiglio Comunale è chiamato ad esprimersi 
		rispetto all’ipotesi di ampliamento, si afferma con decisione la 
		questione ambientale, dibattito tra forze politiche e sindacali. 
		1970
		Il Comitato Tecnico Esecutivo dell’IRI relaziona sulla opportunità 
		dell’ampliamento dell’”Italsider” di Taranto, il 26 novembre la 
		relazione viene approvata dal CIPE.
 
		I lavori di 
		ampliamento porteranno l’Italsider “sul mare”, concedendole tre 
		dei cinque sporgenti per l’attracco delle navi che trasportano materie 
		prime, con gravi conseguenze per l’ecosistema della rada di Mar Grande. 
		1971
		A settembre viene avviato l’altoforno n° 4, l’associazionismo 
		ambientalista locale muove i primi passi convocando manifestazioni 
		pubbliche nelle vie del centro cittadino e momenti di sensibilizzazione 
		e riflessione soprattutto nel quartiere Tamburi, il più colpito 
		dall’attività industriale.
 
		Durante la 
		manifestazione “Taranto per un’industrializzazione umana”, vengono 
		esposti in Piazza della Vittoria panni simbolicamente anneriti dal fumo, 
		sugli alberi della stessa piazza vengono appesi cartelli che riportano 
		la scritta “reliquia”, vengono esposte altre “reliquie” contenenti “aria 
		non inquinata”, “acqua dello Jonio non inquinata” e “terreno agrario 
		purissimo”.  
		
		L’Amministrazione Provinciale organizza un convegno dal titolo 
		"Inquinamento ambientale e salute pubblica a Taranto", durante il quale 
		per la prima volta si confrontano tutti gli attori interessati alla 
		salvaguardia ambientale: amministratori locali, studiosi, sindacalisti, 
		ambientalisti e rappresentanti dell’industria.  
		Sull’onda 
		lunga del convegno, per la prima volta a Taranto, si decide di condurre 
		uno studio sull’inquinamento atmosferico che viene commissionato dal 
		Comune, i primi risultati indicano abbastanza chiaramente che nella zona 
		occidentale della città esiste un processo di crisi ambientale”. 
		 
		La direzione 
		dello stabilimento, nel corso del dibattito sull’ampliamento, annuncia 
		investimenti per 50 miliardi di lire per il perfezionamento e 
		potenziamento di impianti di depurazione e abbattimento dei fumi. 
		 
		1974
		A seguito della Vertenza Taranto, viene firmato l’accordo tra sindacati 
		ed Italsider, nell’accordo viene inserito il problema 
		dell’eco-compatibilità e dell’ammodernamento impiantistico.
 
		Gli impegni 
		assunti dall’”Italsider”, in tutti i suoi stabilimenti, ammontano 
		a 90 miliardi di lire da spendere per la maggior parte a Taranto. 
		1976
		Viene varata la Legge Merli, che detta la disciplina per gli scarichi 
		degli insediamenti industriali.
 
		1978
		Viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con la legge 833, 
		la legge della riforma sanitaria.
 
		La riforma 
		prevede la creazione delle Unità Sanitarie Locali (USL), alle quali 
		vengono assegnati anche compiti di prevenzione e tutela dell’ambiente. 
		1979
		L’attività svolta dall’Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro 
		(INAIL), sin dall’insediamento del Siderurgico, inizia a far emergere i 
		primi preoccupanti dati relativi all’incidenza delle malattie 
		professionali derivanti dall’esposizione a gas, fumi e polveri altamente 
		nocive.
 
		A settembre 
		del 1979, vengono installate 5 stazioni fisse di rilevamento posizionate 
		in punti strategici del territorio provinciale, dall’analisi dei dati 
		emerge un primo rapporto sullo stato dell’ambiente nell’area jonica. 
		1982
		La Procura della repubblica di Taranto indaga i vertici dell’Italsider 
		per getto di polveri e inquinamento da gas, fumi e vapori.
 
		Il processo si 
		conclude con la condanna del direttore dello stabilimento Italsider 
		a 15 giorni di arresto con l’accusa di getto di polveri ma non di 
		inquinamento da fumi, gas e vapori. 
		1984
		Dopo la sentenza, la direzione dell’”Italsider” si adopera per 
		migliorare la percezione dell’attività dello stabilimento, soprattutto 
		attraverso la carta stampata.
 
		In questo 
		senso gli interventi dei dirigenti evidenziano gli investimenti che 
		dalla metà degli anni Settanta si sono realizzati e quelli in fase di 
		realizzazione che riguardano sempre gli impianti ecologicamente più 
		critici.  
		Costituzione 
		del Fondo d’Impatto Ambientale, il comitato direttivo del Fondo 
		comprende 13 membri, 7 rappresentanti degli Enti Locali, 3 dei sindacati 
		e 3 delle industrie.  
		1986
		Con la Legge n. 349 viene istituito il Ministero dell’Ambiente.
 
		1988
		A maggio inizia il processo di liquidazione volontaria della Finsider, 
		dell’Italsider, della Nuova Deltasider e della Terni Acciai Speciali, 
		che si concluderà nel 1989 con la costituzione di una nuova società, 
		l’Ilva SpA.
 
		1991
		Il Ministero dell’Ambiente dichiara l’area di Taranto “area ad elevato 
		rischio ambientale”.
 L’area interessata, oltre al comune di Taranto, comprende altri 4 comuni 
		della provincia jonica (Crispiano, Massafra, Montemesola, Statte) per un 
		totale di 564 kmq e 263.614 abitanti.
 
		Alcune 
		associazioni ambientaliste utilizzano strumenti telematici per la 
		diffusione delle informazioni sulle problematiche ambientali a Taranto. 
		1994
		L’ENEA avvia il “Piano di disinquinamento per il risanamento del 
		territorio della provincia di Taranto” che verrà pubblicato nel 1998, 
		seguito da una nuova dichiarazione da parte della Presidenza del 
		Consiglio dei Ministri nel 1997.
 
		La 
		dichiarazione di area ad elevato rischio ambientale del 1990 e le 
		successive reiterazioni, segnano gli ultimi significativi avvenimenti 
		della storia ambientale che lega il territorio tarantino alla gestione 
		pubblica dello stabilimento siderurgico. 
		1995
		In aprile giunge al termine la trattativa tra l’IRI ed il Gruppo Riva 
		per l’acquisizione dello stabilimento di Taranto, le istituzioni locali 
		sono tenute fuori dal tavolo di negoziazione, gli esponenti politici si 
		limitano ad intervenire seguendo la scia delle rivendicazioni sindacali, 
		non ponendo la questione ambientale tra le priorità nell’agenda 
		istituzionale.
 
		1996
		La Regione Puglia viene investita di competenze speciali in materia 
		ambientale, il suo ruolo acquista rilievo nella questione ambientale per 
		la collaborazione con il Ministero dell’Ambiente alla realizzazione del 
		Piano di Risanamento.
 
		Nel mese di 
		maggio si crea l’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza 
		ambientale, una carica assegnata al Presidente della Regione. 
		1997
		Viene siglato il Primo Atto d’intesa tra Regione e Ilva, l’atto non 
		prevede né limiti di tempo più stringenti in fatto di risanamento né il 
		ricorso a sanzioni in caso di inadempienze.
 
		Viene 
		presentato dal Gruppo Riva il primo piano industriale di investimenti 
		per 539 miliardi di lire per rifacimenti di nuovi impianti e per 
		l’eco-compatibilità e la sicurezza sul lavoro.  
		Inizia nello 
		stesso periodo l’intervento per la rimozione dell’amianto dagli impianti 
		produttivi.  
		Il fronte 
		sindacale non partecipa ai tavoli di concertazione tenuti a livello 
		regionale ed i malumori iniziano a serpeggiare, si denuncia la mancanza 
		di impegno su una serie di problematiche ambientali presenti all’interno 
		dello stabilimento. 
		1998
		Dopo otto anni di attesa dalla prima dichiarazione di Area ad elevato 
		rischio di crisi ambientale arriva in primavera il Piano di Risanamento 
		Ambientale messo a punto dall’ENEA per conto del Ministero 
		dell’Ambiente.
 
		2000
		Visto il ritardo nell’attuazione del Piano di risanamento, ad agosto, il 
		Ministero dell’Interno, affida la titolarità esclusiva dello stesso al 
		Presidente della Regione nella sua veste di Commissario delegato per 
		l’emergenza ambientale in Puglia.
 
		Creazione 
		della commissione consiliare “Ambiente ed Ecologia” che svolge 
		un’indagine conoscitiva sullo stato dell’ambiente e della salute dei 
		cittadini.  
		Relazioni 
		allarmanti del Presidio Multizonale di Prevenzione PMP (uffici tecnici 
		delle ASL) circa l’inquinamento prodotto dalla produzione del coke e 
		richiesta del fermo delle batterie 3 e 6.  
		In base alle 
		ipotesi di reato segnalate dalla relazione del PMP sull’inquinamento 
		industriale dell’Ilva viene realizzata dalla Magistratura una perizia, a 
		seguito della quale, si invitano gli organi istituzionalmente competenti 
		ad intervenire.  
		2001
		A seguito della perizia e della lettera della Magistratura con la quale 
		si invitava, chi di dovere, a prendere provvedimenti circa 
		l’inquinamento industriale prodotto dagli stabilimenti Ilva, 
		l’Amministrazione comunale, con una “storica” ordinanza sindacale (6 
		febbraio) ordina all’Ilva, entro 15 giorni (poi passati a 90) dalla 
		notifica dell’ordinanza, di realizzare interventi migliorativi 
		relativamente ai forni delle batterie 3 e 6, di ridurre la produzione di 
		coke con il fermo delle batterie 3 e 6 o alternativamente di procedere 
		alla sostituzione delle stesse.
 
		Scoppia la 
		“vertenza ambiente”, il Gruppo Riva che fino a quel momento si era 
		dichiarato disposto al dialogo solo con l’interlocutore regionale, si 
		dimostra conciliante.  
		Avvisi di 
		garanzia inviati al Presidente del Gruppo Riva e ad altri due dirigenti 
		dello stabilimento, legati alle risultanze della maxiperizia realizzata 
		per conto della Procura nei mesi precedenti.  
		Le 
		confederazioni sindacali si dichiarano esplicitamente contrari e ad una 
		“vertenza ambiente” condotta attraverso le ordinanze, esprimono 
		preoccupazione nei confronti di un crescente antindustrialismo che si 
		diffonde in città, denunciano eccessiva strumentalizzazione politica 
		della vicenda e ripropongono lo strumento del Piano di risanamento, 
		seppur rivisto nei meccanismi di attuazione, come strada da seguire.
		 
		
		L’associazionismo ambientalista si mostra compatto nell’appoggiare 
		l’ordinanza comunale, viene praticata una forte azione di denuncia per 
		favorire un coinvolgimento della cittadinanza nei processi decisionali 
		territoriali e diffusione dell’informazione attraverso gli strumenti 
		telematici.  
		Per la prima 
		volta viene posta la questione dell’effettiva attivazione dell’Agenzia 
		Regionale per la Protezione dell’Ambiente (Arpa) che, a distanza di due 
		anni dalla legge regionale di istituzione, non è entrata ancora nella 
		fase operativa.  
		In risposta 
		alla pressione proveniente da Comune e Magistratura, la direzione dello 
		stabilimento per la prima volta decide di rivolgersi direttamente alla 
		cittadinanza rivendicando il ruolo di fonte di occupazione e reddito per 
		la città, evidenziando gli investimenti fatti sin dal 1995 per 
		migliorare l’impatto ambientale.  
		2002
		Il sindaco non riesce a persuadere il Gruppo Riva ed è costretto a 
		cambiare atteggiamento, richiedendo l’intervento del Governo centrale e 
		della Regione Puglia.
 
		A luglio, 
		arriva la condanna di primo grado per il procedimento iniziato nel 1999 
		e qualche giorno dopo la sentenza, l’Ilva comunica la decisione di 
		spegnere le batterie oggetto delle ordinanze comunali e di ridurre gli 
		investimenti per lo stabilimento tarantino.  
		
		L’associazionismo continua ad appoggiare l’Amministrazione Comunale e 
		l’azione della Magistratura che in questa fase sembrano operare in 
		maniera sinergica.  
		Dopo una fase 
		iniziale di reciproca diffidenza, gli ambientalisti cercano il confronto 
		con i sindacati per condividere una piattaforma di rivendicazione della 
		tutela occupazionale e del rispetto dell’ambiente.  
		Il Ministero 
		dell’Industria, a settembre, istituisce un tavolo, da attivare a livello 
		regionale, con il compito di definire un accordo per il risanamento 
		complessivo dello stabilimento siderurgico che definisca in maniera 
		puntuale gli investimenti che il Gruppo Riva deve realizzare. 
		 
		Al livello 
		regionale è anche affidata la realizzazione di un Accordo di Programma 
		che interessi tutta l’area ionica da risanare.  
		Viene siglato 
		il primo Atto di intesa, ne seguiranno altri 3, nel quale vengono 
		concordati interventi precisi con altrettante scadenze temporali 
		vincolanti finalizzate all'adeguamento delle migliori tecniche 
		disponibili (BAT Best Available Techniques) necessarie per il rilascio 
		dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) prevista dalle direttive 
		europee. 
		2003
		L'8 gennaio viene siglato il secondo Atto d'intesa che prevede il 
		potenziamento del barrieramento tra lo stabilimento e le aree urbane 
		contigue ad esso, tramite l'ampliamento delle colline artificiali 
		esistenti.
 
		Si accertò poi 
		che l'opera oltre che non comportare miglioramenti riguardo alla 
		dispersione di inquinanti in atmosfera, avrebbe provocato il 
		peggioramento della qualità della vita dei residenti, alterando la 
		morfologia dei luoghi, accentuando l'attuale chiusura del quartiere e la 
		sua separazione dal contesto territoriale, riducendo luce e aria agli 
		edifici residenziali e scolastici adiacenti.2004
 Il 27 febbraio viene siglato il terzo Atto d'intesa e il 15 dicembre il 
		quarto Atto d'intesa.
 Solo dopo la sottoscrizione del 3° Atto d'intesa, Comune e Provincia 
		ritirano la costituzione di parte civile nel processo che aveva visto la 
		condanna in primo grado dei vertici dello stabilimento per le polveri 
		del parco minerali che ricadevano sul quartiere Tamburi.
 
		L'intervento 
		di “barrieramento” a ridosso dei parchi minerari è sostituito da un 
		nuovo progetto per il risanamento del quartiere Tamburi. 
		 
		2006
		Il 17 ottobre viene dichiarato ufficialmente lo stato di dissesto 
		finanziario del Comune di Taranto. La struttura commisariale del Comune 
		di Taranto e la Regione Puglia rimodulano il Programma di risanamento 
		dei “Tamburi” per renderlo coerente con il regolamento CIPE.
 
		2007
		Viene riorganizzata L'Arpa (Agenzia Regionale Per l'Ambiente) che inizia 
		una campagna di rilevamento dei dati dell'inquinamento prodotto 
		dall'Ilva.
 
		Emergono dati 
		preoccupanti soprattutto per quanto riguarda le emissioni di diossine e 
		di idrocarburi policiclici aromatici.  
		A maggio viene 
		presentato un dossier allarmante sull'inquinamento, a giugno l'Ilva 
		querela i relatori del dossier sull'inquinamento per "procurato allarme 
		ambientale". 
		 2008
		L'Arpa continua la campagna di rilevamento delle emissioni inquinanti e 
		i dati resi pubblici sono sempre più allarmanti.
 
		Anche le 
		associazioni si attivano creando una propria rete di informazione e 
		divulgazione dei dati.  
		Si crea un 
		vero e proprio allarme inquinamento e riemerge un diffuso atteggiamento 
		"antindustriale".  
		Inizia un 
		dibattito circa l'opportunità di indire un referendum cittadino 
		sull'opportunità di chiudere lo stabilimento Ilva, seppur con varie 
		sfumature (chiusura totale o del solo ciclo di lavorazione a caldo).
		 
		Il Presidente 
		della regione Puglia, in una lettera aperta al Presidente del Consiglio, 
		sottolinea tutta la gravità del "caso Taranto" e lo invita a collaborare 
		per la soluzione del problema.  
		Viene 
		addirittura messa in discussione l'attendibilità dei dati prodotti 
		dall'Arpa. Sullo sfondo sembra esserci l'iter per l'adeguamento alle "migliori 
		tecniche disponibili" (BAT-Best Available Tchniques) da parte dell'Ilva 
		e il conseguente rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) 
		prevista dalle direttive europee.
 
		Il 20 
		novembre, all'ospedale “Testa” di Taranto, viene presentata la 
		nuova legge regionale sulle emissioni di diossina, tale Legge impone, a 
		tutti gli impianti che producono diossine, di rispettare i limiti alle 
		emissioni di 0,4 nanogrammi all’ora, in linea con quelli indicati dal 
		Protocollo di Aarhus.  
		La dirigenza 
		dello stabilimento ILVA dichiara l'impossibilità a rispettare i tempi 
		previsti dalla Legge.  
		Nel mese di 
		novembre un comitato cittadino che riunisce 18 fra associazioni e 
		movimenti ambientalisti, indice una grande manifestazione contro 
		l'inquinamento.  
		Con lo slogan 
		"Vogliamo Aria Pulita!" più di 20.000 persone scendono in piazza. 
		 
		Il 16 dicembre 
		viene approvata dal Consiglio regionale della Puglia la Legge regionale 
		"anti-diossine". 
		2009
		In seguito all'approvazione della Legge regionale "anti-diossina"e in 
		vista della prima fase della sua applicazione (1 aprile 2009) si apre un 
		forte dibattito circa la sua effettiva applicabilità.
 
		La direzione 
		dello stabilimento ILVA, oltre a ribadire le sue valutazioni negative 
		delle prescrizioni previste dalla Legge regionale, annuncia 
		ripercussioni sul piano occupazionale. 
		Forte 
		dibattito nella comunità tarantina con posizioni sostanzialmente 
		convergenti nel ritenere necessario un punto di mediazione tra le 
		ragioni ambientali e le problematiche occupazionali.  
		Il 17 gennaio 
		Legambiente avvia a Taranto la campagna nazionale "Mal'aria" e presenta 
		il libro bianco sull’inquinamento atmosferico da attività produttive in 
		Italia. 
		La Regione 
		Puglia ribadisce l'assoluta sostenibilità della riduzione delle 
		emissioni di diossina prevista dalla prima fase della Legge regionale, 
		peraltro già ottenuta in una precedente sperimentazione (giugno 2007) 
		mediante l'impiego del trattamento con urea. 
		Dopo una fitta 
		serie di incontri, il 19 febbraio viene siglato a Roma un Protocollo 
		d'intesa tra tutti i soggetti coinvolti che rinvia di tre mesi (30 
		giugno 2009) l'entrata in vigore della prima fase della Legge regionale 
		'antidiossina' lasciandone, di fatto, inalterati i principi di fondo.
		 
		Vengono 
		stabiliti, nella prima fase, precisi criteri e modalità di monitoraggio 
		delle emissioni e riaffermata la sostenibilità del limite di 0,4 ng, 
		come obiettivo da raggiungere entro il 2010 mediante l'adozione delle 
		migliori tecniche disponibili. 
		2010 
		Il 14 gennaio, 
		lo stabilimento Ilva inaugura il nuovo impianto di aspirazione fumi e 
		depolverazione che permetterà l’abbattimento delle emissioni.  
		
		L’investimento, di circa 30 milioni di euro, rientra nel Piano degli 
		interventi previsti per adeguare gli impianti alle migliori tecniche 
		disponibili e rappresenta un altro importante passo verso la piena 
		compatibilità ambientale dello stabilimento, nelle varie fasi del 
		processo di fabbricazione dell’acciaio si generano emissioni diffuse di 
		fumi ad alta temperatura e ad alta concentrazione di polveri, questi 
		fumi devono essere aspirati e depolverati prima della loro emissione in 
		atmosfera. 
		  
		CONCLUSIONI 
		Nella città di 
		Taranto esiste una forte coscienza ambientalista, profondamente 
		radicata, in misura molto maggiore di quanto lasciano intendere i media.
		 
		Sin dalla 
		nascita dell’Italsider, ci fu una impressionante migrazione delle 
		persone che abbandonando il proprio lavoro nei campi o nelle piccole 
		botteghe, scelsero la certezza di un posto di lavoro sicuro per sé e per 
		i propri figli, ma non va dimenticato il profondo sentimento che nutrono 
		nei confronti di una bellissima città che sicuramente paga a caro prezzo 
		le scelte dovute alla industrializzazione.  
		Per molti anni 
		la città di Taranto ha avuto il solo ruolo di spettatore, di fronte alla 
		prospettiva occupazionale è stata disposta ad accettare qualsiasi 
		aggressione al proprio territorio.  
		Oggi, la 
		maggior parte della popolazione, ha dimostrato di aver rotto il cordone 
		ombelicale che la legava all’azienda dicendosi favorevole alla chiusura 
		dello stabilimento.  
		
		Queste sono le domande circa il Referendum Consultivo sull’ILVA promosso 
		da un Comitato di Taranto, in riferimento a quanto proposto nell’anno 
		2008: 
		1) Volete voi 
		cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra salute, nonché la 
		salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la chiusura 
		dell’Ilva, con l’impegno del Governo di tutelare l’occupazione, 
		impiegando le maestranze per lo smantellamento e bonifica dell’area in 
		cui sono attualmente situati gli impianti industriali, e di destinare 
		l’area stessa per altre attività economiche non inquinanti ovvero per 
		permettere lo sviluppo del Porto e dell’Arsenale (da riconvertire in 
		industria naval-meccanica) e dare alla città di Taranto nuove e concrete 
		opportunità dì lavoro nel settore del turismo? 
		2) Volete Voi 
		cittadini di Taranto, al fine di tutelare la Vs. salute e quella dei 
		lavoratori, proporre la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, maggiore 
		fonte di inquinamento, con conseguente smantellamento dei parchi 
		minerali, con l’impegno del Governo di far impiegare i lavoratori 
		dell’area a caldo in altre attività? 
		3) Volete voi 
		cittadini che il Comune di Taranto chieda all’llva S.p.A. il 
		risarcimento dei danni, in seguito alla condanna definitiva da parte 
		della Corte di Cassazione dei responsabili del citato impianto 
		siderurgico per inquinamento ambientale, tenendo presente che gli 
		interessi diffusi, come quelli dell’ambiente e della salute, non possono 
		essere oggetto di accordo da parte dell’Ente locale, così come sancito 
		dalla Corte di Cassazione e dalla magistratura amministrativa? 
		4) Volete voi 
		cittadini che il Sindaco, ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo 
		267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali), per motivi sanitari, di igiene 
		pubblica e per la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori, 
		obblighi l’Ilva S.p.A. e le altre industrie di Taranto a bonificare il 
		territorio e il mare inquinato a loro spese, sulla base del principio 
		“chi inquina paga”, così come sancito dall’art. 174 comma 2 del Trattato 
		dell’Unione Europea e dall’art. 3 ter del decreto legislativo 3 aprile 
		2006, n.152? 
		5) Volete voi 
		cittadini che il Consiglio Comunale di Taranto si adegui al risultato 
		positivo derivante dal referendum consultivo in materia di ambiente, 
		sulla chiusura totale o parziale dell’Ilva (della sola area a caldo), 
		con la tutela dell’occupazione, così come prospettato dai quesiti 
		referendari del Comitato Promotore “Taranto Futura”, nel pieno rispetto 
		del principio della sovranità popolare, così come previsto dall’art. 1 
		della Costituzione? 
		Molti 
		cittadini hanno espresso grande preoccupazione per la loro salute, 
		soprattutto alla luce di quanto accaduto a tanti ex colleghi, morti 
		prematuramente. 
		Una minoranza 
		dei pensionati ha invece condiviso la necessità di accettare il 
		mantenimento dell’attuale stato del siderurgico per salvaguardare 
		l’economia locale e nazionale, secondo alcuni è possibile riuscire a 
		conciliare gli interessi produttivi dell'azienda con la salvaguardia del 
		territorio, sottolineando gli sforzi compiuti dalla proprietà per 
		l’adeguamento degli impianti agli standard ambientali, sforzi che 
		durante la gestione statale non sarebbero mai stati visibili. 
		La strada 
		intrapresa forse, è quella giusta, sicuramente non si sarebbe dovuto 
		arrivare a tanto, facendo trascorrere tanti anni, prima di rendersi 
		conto che la salute ambientale e le bellezze paesaggistiche del 
		territorio sono un bene al quale non si deve rinunciare. 
		(01-2010) Ciro Todisco |