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Le associazioni ambientaliste

di Stefano Iunca

 

     L’opinione pubblica ha manifestato in questi ultimi decenni una crescente sensibilità verso le questioni ambientali, in un primo tempo con una generica empatia rispetto ai gravi problemi dell’inquinamento e dei disastri ecologici provocati dall’uomo e, successivamente, affinando questa sensibilità dimostrandosi più attenta ai collegamenti tra livello globale e livello locale.

La letteratura sul fenomeno ecologista ha individuato tre filoni principali di sviluppo e di azione. Il primo di essi definito “conservazionismo” e coincide con l’azione di volontariato. Il secondo viene denominato “ecologia politica” ed emerge dai movimenti e dalle lotte sociali degli anni ‘60 e ‘70, identificabile più con un movimento politico che culturale. Il terzo è individuato nell’”ambientalismo” ed è legato all’esperienza del movimento radicale, che ha avuto il merito di introdurre in Italia un tipo di politica basato sulle campagne mirate a specifici obiettivi.

Altri autori danno un’articolazione cronologica maggiore all’evoluzione del movimento ambientale e identificano quattro fasi dell’evoluzione dell’ambientalismo. La prima va dal 1890 al 1960 e viene denominata “conservazionismo elitario”, in cui nascono le prime associazioni ambientali sull’onda dell’estetica romantica dei parchi e del paesaggio» (F. Gesualdi, Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Milano, 2005, p. 6). Questo periodo si caratterizza, più che per una visione diffusa del problema ambiente, per una difesa del patrimonio ambientale culturale. La seconda fase va dal 1962 al 1973 e si caratterizza per la presa di coscienza dei problemi ambientali e dall’inizio dell’associazionismo di massa. Problemi come il degrado delle città oppure la questione dello smaltimento dei rifiuti, mette in evidenza i fattori negativi che lo sviluppo economico proietta sulla qualità della vita considerata anche come qualità dell’ambiente.

Sono le stesse istituzioni che, in questo periodo, prendono coscienza del problema, anche grazie alle spinte date da programmi internazionali di ricerca come quella tra Unesco e il “Programma Biologico Internazionale” (1960-1970). Anche gli stati nazionali intervengono con leggi rivolte alla difesa del patrimonio ambientale.

La terza fase che va fino agli inizi degli anni ‘80 si caratterizza invece per un rallentamento della spinta ecologica e per una focalizzazione dell’interesse sulle problematiche energetiche. Queste ultime hanno contribuito, comunque, allo sviluppo del movimento ambientalista, in quanto è stato messo in discussione il mito di una crescita all’infinito del progresso dell’uomo. Un numero crescente di persone hanno preso coscienza, così, che uno sviluppo senza rispetto dell’ambiente è destinato a portare alla distruzione (F. Camera, Sviluppo sostenibile. Origini, teoria e pratica, Roma, 2005).

La quarta è quella che, a partire dagli anni ‘80, ripropone un rilancio dell’ecologismo conseguente al disastro di Cernobil e alle politiche “sviluppiste” intraprese da molti Stati. L’opinione pubblica è tornata ad interessarsi del problema e sono nate le prime proposte di protesta popolare con, a volte, una critica radicale al sistema. Negli anni ‘90, con l’esplodere di problemi ambientali a livello planetario (effetto serra, buco dell’ozono, desertificazione) la questione ecologica è diventata ancora più evidente e il movimento ambientalista ha trovato nuove possibilità di sviluppo, ma anche nuove difficoltà. Infatti, l’affermazione di legislazioni sull’impatto ambientale e una sensibilità sempre maggiore sono state associate a una limitata considerazione delle problematiche ambientali da parte del mondo politico.

In Italia, la nascita del movimento ambientalista è stata molto più lunga che negli altri Paesi europei, a causa dei ritardi nella sensibilità collettiva e delle problematiche riguardanti la difesa dell’ambiente. Secondo Gesualdi (Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Milano, 2005) nei primi anni del dopoguerra con il vorticoso sviluppo economico e sociale del Paese, sono nate le prime istanze a difesa del patrimonio culturale e ambientale italiano. Queste prime iniziative si sono proposte soprattutto la difesa del patrimonio culturale e la denuncia del “il sacco” delle città, sottoposte ad un selvaggio sviluppo urbanistico. Le rivendicazioni di questi primi movimenti erano però elitarie, in quanto l’opinione pubblica è restata indifferente a queste questioni.

Solo negli anni ‘60 si ha l’incubazione di quello che sarà il vero movimento ambientalista. In questo periodo la “questione ambientale” è emersa nell’ambito dei Paesi occidentali industrializzati parallelamente alla consapevolezza della crisi dello sviluppo. La scoperta dei limiti naturali allo sviluppo ha contribuito notevolmente al ripensamento del modello di sviluppo dominante. In passato, ambiente e sviluppo erano considerati separatamente. Mentre l’ambiente coincideva con la sfera culturale esterna all’uomo, lo sviluppo corrispondeva sostanzialmente alla crescita economica. Successivamente, i due concetti iniziano a configurarsi sempre più come realtà integrate.

Negli anni ‘60 l’asse dell’impegno si è spostato dalla conservazione alla lotta all’inquinamento e si è presa coscienza che ad essere in pericolo è la stessa salute dell’uomo. Nel 1965 è nata la Lega Italiana Contro la Distruzione degli Uccelli (Lenacdu) che nel 1975 diventerà Lipu e nel 1966 è stata attivata anche in Italia una sede nazionale del Word Wildlife Found (WWF). Con il WWF la questione ambientale assume un tratto globale sia riguardo alla crisi ecologica sia rispetto ai pericoli che l’uomo porta alla vita stessa della terra. Nel frattempo gravi disastri ambientali hanno fatto emergere drammaticamente i problemi di uno sviluppo selvaggio: è il caso del Vajont e di Seveso; ma sono state le lotte contro il nucleare, anche in Italia, a far diventare le battaglie ecologiche un vero e proprio movimento politico.

Nel 1979 viene creata la Lega per l’Ambiente, che a partire dalla metà del decennio seguente organizza la prima edizione di “Goletta Verde”, l’avvio di una serie di iniziative per la sensibilizzazione e il controllo dell’ambiente (tra cui”Operazione spiaggia pulita”, “Treno verde” ecc.). Si delineano così tre ambiti di azione privilegiati.

Uno è individuabile nei processi produttivi non ben razionalizzati e punta ad un modello di conciliazione tra sviluppo ed equilibrio. A questa opzione aderiscono associazioni storiche come Italia Nostra e WWF. Il secondo ambito prefigura la costruzione e il controllo di un nuovo equilibrio tra vita sociale e enti naturali. Questa opzione è fatta propria quelle associazioni che sono portatrici della rottura culturale come Greenpeace, Aam Terra nuova e Lega Naturista. Il terzo ambito punta invece sulle fondamentali qualità dell’uomo, volendo costruire una restaurazione comunitaria tra le sostanzialità dell’individuo e la natura (M. Correggia, La rivoluzione dei dettagli. Manuale di ecoazioni individuali e collettive, Milano, 2007). Come si vede il mondo dell’associazionismo italiano è molto variegato ed è entrato ormai, nel nuovo millennio, in una fase matura del suo sviluppo.

Nell’ultimo decennio, anche a causa dell’approfondirsi della crisi economica mondiale, anche la società italiana ha conosciuto lentamente un ritorno all’etica. Gli ultimi tempi hanno visto, infatti, una rinnovata diffusione di pratiche mosse da valori, come anche di una riflessione che torna a interrogarsi sulla dimensione morale del consumo. Il tema della sobrietà si collega a quello della responsabilità. Si tratta della responsabilità per il contesto sociale in cui si abita e per il mondo naturale in cui si è collocati.

In termini generali, il fenomeno del consumo responsabile e delle buone pratiche è un tentativo sia di promuovere atteggiamenti più equilibrati, in grado di rispettare l’ambiente e di accrescere l’autonomia personale, sia di rimuovere alcune delle condizioni che concorrono a creare la dipendenza commerciale dei paesi poveri rispetto al mando industrializzato, contrastando l’azione delle forze di mercato che sono alla base dei risultati iniqui.

Nelle società occidentali è prevalsa a lungo l’idea che il consumo (cioè lo scambio, l’acquisto e l’uso dei beni) fosse un fenomeno di natura esclusivamente economica, implicando nella gran parte dei casi soltanto un esborso in denaro. In questa ottica il consumatore viene assimilato ad un agente razionale che, essendo mosso dalla necessità di soddisfare i propri bisogni, acquista e consuma seguendo il principio dell’utilità e della convenienza individuale. Per questa ragione, le pratiche di consumo sono state analizzate in primo luogo attraverso le categorie dell’economia e dell’utilitarismo, utilizzando il reddito come una delle principali variabili esplicative. Alla luce di queste considerazioni è evidente come la sobrietà, intesa come stile di vita, possa rappresentare una “buona pratica” fondamentale in vista della tutela ambientale Non si tratta infatti di tornare a una sobrietà che nasce dalla necessità, ma di scegliere liberamente di commisurare i propri consumi su una riduzione prelievo di risorse e della produzione di inquinanti, come anche su una più giusta condivisione dello spazio ambientale.

 

Stefano Iunca

 


 

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