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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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I CAMBIAMENTI CLIMATICI NELL'“ANTROPOCENE”

 di Debora Tollardo

 

INTRODUZIONE

Da decenni si parla di cambiamenti climatici, ma sull'argomento scienza, politica, economia e mass-media sono sempre stati discordi. Non tanto sull'esistenza del problema, dato ritenuto inconfutabile, quanto piuttosto sulla sua entità e sui tempi di evoluzione.

 

Il titolo scelto per il presente lavoro, volutamente provocatorio, rievoca la tesi di P. Crutzen, premio nobel per la chimica 1995, che nel suo libro “Benvenuti nell'Antropocene” sostiene che l'essere umano è la causa principale dei cambiamenti climatici e che arriverà a distruggere completamente il mondo in cui vive.

 

LA VISIONE DEI MASS-MEDIA

La maggior parte delle persone ricava le informazioni sull'argomento dai principali mass-media, siano essi quotidiani, riviste (non scientifiche), programmi televisivi, telegiornali, ecc.

Ma si sa che tale mezzo di informazione, soprattutto in ambito scientifico, presenta importanti limiti e questi invece possono essere svelati con metodo “scientifico”.

Maria Inglisa, nota giornalista scientifica che ha svolto ricerche al CNR e collaborato con le principali riviste (Airone, Oasis, Europeo, ecc.), nel rapporto di ricerca “La rappresentazione dei cambiamenti climatici nei media italiani”, dimostra che i mass media italiani sull'argomento a volte informano, a volte vogliono soltanto impressionare il pubblico. Senza significative differenze tra carta stampata e televisione.

Le sue conclusioni sono peraltro sovrapponibili a ricerche analoghe svolte in altri paesi europei e in USA.

Volendo però analizzare il problema più concretamente e con maggiore rigore scientifico, cercheremo di fare il punto della situazione suddividendo le varie argomentazioni e rispondendo ad alcune domande.

 

PERCHE' DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Anzitutto cerchiamo di capire perché il clima sta cambiando.

Con il tempo il pianeta terra cambia “fisiologicamente” la propria orbita intorno al sole, e ciò comporta ovviamente una differente quantità di energia (fondamentalmente solare) che raggiunge la superficie del pianeta.

I cosiddetti GHG (“Green House Gases”) o gas-serra, normalmente hanno una funzione “fisiologica”, in quanto servono per trattenere nelle ore notturne parte del calore che la terra riceve di giorno dal sole.

Se ciò non avvenisse ci sarebbero escursioni termiche anche superiori ai trenta gradi in meno nelle ore notturne rispetto alle ore diurne, con conseguenze facilmente immaginabili per le forme di vita animali e vegetali.

Altri però sono i fattori che influiscono sulla variazione del clima, e di fisiologico hanno davvero poco.

Ad esempio è stato dimostrato che negli ultimi 200 anni la temperatura terrestre è aumentata di un grado solo per l'uso dei combustibili fossili e probabilmente l'aumento raggiungerà i due gradi e mezzo intorno all'anno 2100.

E' quindi importante fin da subito chiarire quale sia l'importanza del cosiddetto “effetto serra”, il cui aumento causa il declino della criosfera, lo scioglimento dei ghiacciai alpini, delle calotte polari e l'aumento della temperatura dei mari, favorendo gli eventi atmosferici dipendenti dai cicli termici (uragani, alluvioni, temporali) e creando problemi di abitabilità delle coste, desertificazione di molte aree, dissesti idrogeologici, ecc.

 

IL RUOLO DELL'UOMO NEL CAMBIAMENTO DEL CLIMA

Ma è possibile quantificare quali siano i limiti di allarme raggiungibili dai gas serra?

A tale domanda ha risposto il rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) del febbraio 2007, stabilendo che il limite di guardia per la concentrazione di CO2 è tra 445 e 550 ppm, e che se così restasse, l'aumento di temperatura sarebbe 
reversibile e controllabile.

Quindi in prospetto, nel 2050 le emissioni di COdovrebbero essere del 50-85% in meno rispetto al 2000.

Dato che l'aumento della concentrazione di CO2 è dovuta essenzialmente all'utilizzo di combustibili fossili, si ribadisce inoltre l'importanza di dedicare tempo e risorse nello sviluppo delle energie rinnovabili.

Il rapporto oltretutto ritiene non del tutto sufficienti le misure prese con gli accordi di Kyoto (comunque scadenti nel 2012).

Inoltre, si stima che attualmente la capacità di assorbimento naturale di CO2 fatto da foreste e oceani, copra solo il 50% della CO2 prodotta dall'uomo.

Considerando anche il continuo aumento del fenomeno delle deforestazioni, è facile intuire come questo aspetto metta in maggiore luce il problema dell'inquinamento da combustibili fossili.

Non tutti gli scienziati però concordano col rapporto IPCC.

La comunità scientifica infatti divide gli esperti dell'argomento in due categorie: “scettici” e “catastrofisti”.

Il principale scettico, Lindzen del MIT, sostiene che nel rapporto manca spesso la scientificità dei dati prodotti e che invece non si tengono in conto molti altri aspetti clima-influenti (vapor acqueo, l'effetto compensante dei cirri in alta quota, l'andamento delle radiazioni solari, ecc).

A sostegno delle sue tesi, in modo volutamente provocatorio, è solito fare la considerazione che “se oggi ci sono 22000 orsi polari contro i 5000 del 1940 un motivo c'è”.

K. Mullis, Nobel per la chimica del 1993, sostiene addirittura che gli uomini non sono in grado di surriscaldare il pianeta. Anche gli italiani Pagliuca, Ortolani e Navarra sono per una maggiore cautela rispetto alle tesi catastrofiste.

Il principale catastrofista è il già citato P. Crutzen. Il termine “Antropocene”, peraltro inventato dal biologo Eugene Stoermer, infatti indicherebbe l'era geologica attuale, nella quale all'uomo e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche.

 

Ma come si è evoluta nel tempo la concezione del problema?

Dal 1979 (conferenza mondiale sul clima) si parla di come sia necessario mettere in atto politiche “necessarie al benessere dell’umanità”, ma è poco più che una dichiarazione di intenti.

Tra gli anni 80 e 90 hanno avuto luogo varie conferenze intergovernative e viene ripreso il concetto di “sviluppo sostenibile”, in particolare il “rapporto Bruntland”, presentato alla conferenza di Stoccolma del 1987, dove si ribadisce l’urgenza di garantire la tutela dell’ambiente, promuovere la salute, lo sviluppo, l’istruzione e la giustizia sociale per tutti; tutto con l’ottica di non pregiudicare i diritti delle generazioni future.

Altro passaggio fondamentale è la conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Viene esteso il concetto di negoziazione multilaterale per la protezione della fascia di ozono. Si scrivono i 15 punti dello “sviluppo sostenibile”, che per la prima volta fissano “il concetto di diritto umano” e come conseguenza quello di “diritto ad un ambiente sano”.

Va però considerato che solo una minima parte degli impegni presi dalle 
189 nazioni firmatarie della Convenzione di Rio del 1992 è stata rispettata. 
Si potrebbero raggiungere gli obbiettivi prefissati ad esempio promuovendo nuove tecnologie ed educando le popolazioni al risparmio energetico, prevenendo le deforestazioni ed investendo sul rinnovabile.

Sulla base di Rio si arrivò nel dicembre del 1997 al famoso “protocollo” di Kyoto”, dove 160 paesi partecipanti firmarono un protocollo sulla riduzione dei gas serra (CO2, NH4, N2O, SF6, HCF-23 e HCF-32). La CO2 è di gran lunga il più importante per i massicci quantitativi immessi in atmosfera sia dalle attività antropiche che dalle sorgenti naturali, ma non è il più pericoloso ai fini dell’effetto serra.  Si valuta per ogni gas il cosiddetto GWP (Global Warming Potential) che rappresenta il contributo cumulativo all’effetto serra in un prefissato intervallo temporale.

L’unione europea e l’Italia hanno ratificato il protocollo di Kyoto nel 2002, la stessa UE ha stabilito la quantità percentuale di riduzione delle emissioni di gas climalteranti che ogni stato membro avrebbe dovuto rispettare. Qualora questi limiti non si raggiungessero, sarebbero previste delle sanzioni pecuniarie molto pesanti per acquisto di diritti di emissione (1,5 miliardi di euro l’anno).

 

La stessa Commissione Europea ha indicato una serie di mezzi di azioni locali che interessano tutti i settori (produttivi e non) dei vari paesi, come la produzione di energia elettrica e quella industriale, la gestione dei rifiuti, l’agricoltura e alcuni meccanismi di flessibilità:

 

-       Riduzione delle emissioni tramite rafforzamento delle politiche nazionali di settore (energie rinnovabili, aumento dell’efficienza energetica, agricoltura sostenibile).

 

-       Contabilizzazione a favore delle emissioni sequestrate coi cosiddetti pozzi di assorbimento (come le foreste).

 

-       Possibilità di commerciare i cosiddetti “diritti di emissione” in paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni. In pratica possono “vendere” tale surplus ad altri paesi che, al contrario, non riescano a raggiungere gli adempimenti assegnati.

 

Si può dire che tutto il mondo sembra essersi accorto che il problema del profondo e rapido cambiamento climatico (sul quale però come abbiamo visto molti scienziati sono scettici) è un problema che se deve essere affrontato, va affrontato da tutti i paesi, compresi quelli in via di sviluppo, e con un’etica comune. Peccato che però si rileva che la crescita economica dei paesi industrializzati è modesta e incerta, che le tecnologie di produzione ad emissione “zero” non sono ancora a punto, che la barriera di una burocrazia pesante soffoca ogni iniziativa innovatrice, che gli investimenti finanziari reali dei vari governi attualmente sono infinitamente al di sotto di quelli ipotizzati e promessi.

Inoltre, i paesi in via di sviluppo spesso sono soggetti ad instabilità politica e molto arretrati nel settore energetico, oltre ad avere una palese avversione alla riapertura del discorso “nucleare”.

Interessante sembra anche citare il direttore della Banca Mondiale “Se i governi, i settori 
privati dell'economia e le istituzioni internazionali preposti allo sviluppo 
agiranno all'unanimità, potremo trasformare in azioni concrete questo consenso globale sui mutamenti climatici e finanziarne le innovazioni che ci permetteranno di raggiungere vere soluzioni”

 

ANALISI ECONOMICA

Con queste premesse ci si domanda: viste le difficoltà a ridurre la produzione di gas clima-alteranti con la sola motivazione ambientalistica, riuscirebbe comunque il petrolio a tenere il passo di una richiesta di energia sempre maggiore? Probabilmente no, anche a prescindere dal prezzo, pertanto appare evidente che la ricerca di fonti energetiche alternative ha anche un grosso significato economico, non solo ambientale.

 

Appare quindi imprescindibile che si proceda al cambiamento della struttura energetica mondiale per adattarla alle nuove esigenze dell’ambiente, magari mettendo in cantiere una legislazione comune e possibilmente un’autorità sovranazionale, capace di monitorare ed eventualmente punire gli inquinatori. Carraro ed Altri (2008), nel libro “Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia”, fanno un'accurata analisi delle possibili conseguenze dei cambiamenti del clima dal punto di vista strettamente economico, concludendo che nel periodo 2001-2050 in Italia il riscaldamento globale comporterebbe una perdita di PIL tra lo 0,16% ed il 0,2%, che significherebbe (calcolo sul 2050 a prezzi correnti) una diminuzione del reddito nazionale di 20-30 miliardi di euro. I settori maggiormente danneggiati sarebbero quello energetico, quello agricolo e quello dei servizi. Siamo davvero informati nel modo corretto? Va da se che la comunità scientifica non è affatto unanime nella definizione della gravità del problema “riscaldamento globale”, ma in più è noto che la maggior parte della gente ricava le informazioni sull'argomento dai mass media, che notoriamente creano una loro realtà tramite il modo con cui rappresentano le informazioni che trasmettono.

 

CONCLUSIONI

La conclusione più corretta sembra essere che ANCHE l'uomo può agire sul 
clima. Principalmente accelerando determinati meccanismi climatici e riducendo le difese “fisiologiche” del pianeta.

Il progresso richiede sempre più energia, ma tale energia ovviamente non può essere 
ricavata in eterno dai combustibili fossili (destinati in ogni caso ad 
esaurirsi).

 

Il PIL non può essere l'unico indice di benessere perché anche 
l'ambiente presenta i suoi conti. Pertanto appare sensata la proposta della 
Commissione Europea di ridurre entro il 2020 del 20% i consumi energetici, 
aumentando l'efficienza energetica del 20% sia nel civile che nell'industriale, con l'impiego del 10% di biocarburanti.

 

Il PIL non può quindi essere considerato come unico indice di benessere, perché appare fondamentale ricordare che anche l'ambiente, presto o tardi, presenta il conto.

 

BIBLIOGRAFIA: 

Bosello, F. at all. (2006); Economy-wide estimates of the implications of climate change: Human health in “Ecological Economics”, 58, pp. 579-591.

Carraro, C. at all. (2008); Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia: una valutazione economia. Bologna: il Mulino.

Calzadilla, A. at all. (2007); Climate change and extreme events: An assessment of economic implications, in “International Journal of Ecological Economics and Statistics” 7, pp. 5-28

Crutzen P. (2005); "Benvenuti nell'Antropocene!" L'uomo ha cambiato il clima. La Terra entra in una nuova era". Milano: Mondadori.

WCED (Commissione Mondiale sull’ambiente e lo Sviluppo (1987); Rapporto Brundtlant (Our Common Future).

Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo Vertice della Terra (1992) Rio de Janeiro – Brasile.

Convenzione su Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (1997) Kyoto; Protocollo di Kyoto.

Inglisa, M. (2008); La rappresentazione dei cambiamenti climatici nei media italiani. Rapporto di ricerca: analisi dei principali quotidiani nazionali e dei telegiornali di prima serata Rai e Mediaset. Pavia: Ibis.

IPCC – Intergovernamental Panel on Climate Change (2007); Climate change 2007: Impacts, adaptation and vulnerability, in Working Group II (a cura di), Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Genève, IPCC.

Macchiati A. at all. (2009); La sfida dell’energia pulita: ambiente, clima e energie rinnovabili, problemi economici e giuridici. Bologna: Il Mulino.

Ministero dell’Ambiente (2001); L’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici. Milano.

Moncada Lo Giudice G. at all. (2007); La sfida dell’energia, energia e ambiente in un mondo inquieto. Milano: Angeli.

Schiano di Pepe L. (2012); Cambiamenti climatici e diritto dell’Unione Europea: obblighi internazionali, politiche ambientali e prassi applicative. Torino: Giappichelli.

 

Debora Tollardo

 


 

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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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