Navigando su questo sito web si accettano i cookie utilizzati per fornire i Nostri servizi. Per maggiori informazioni leggere l'informativa sui cookie

SPAZIO MOTORI HOME PAGE- Testata giornalistica telematica autorizzata dal Tribunale di Napoli con n.5141-Dir. Resp. Dott.Massimiliano Giovine Il primo periodico telematico di informazioni ed inserzioni auto,moto,nautica,trasporti,viabilità,ambiente,sicurezza stradale,ecc.Testata Giornalistica autorizzata dal Tribunale di Napoli-registraz.n.5141-Provv.del 27/6/2000-Direttore Responsabile Dott.Massimiliano Giovine - © Tutti i diritti riservati

|HOME|

|Presentazione|

|Note/GeRENZA| Cookie |

|Lettere|

|Spazio Motori "Ambiente"|

|Inserzioni gratis|

|Links auto|

|Links moto|

|Links utili|

|Assicuraz. web|

Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

|C E R C A|

Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoMOTORINO: in 2 anche a 16 anni
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoAuto, quanto mi COSTI
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoL'auto ITALIANA riparte dal lusso
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoAuto e TECNOLOGIA oggi
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoBMW serie 2 Gran Tourer 7 posti

GLI INTERNI DELLA BMW SERIE 2 GRAN TOURER

Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoMoto D'EPOCA: ritorna la tassa?

TOYOTA MIRAI AD IDROGENO"MIRAI": idrogeno anche per casa

LA TOYOTA "MIRAI" AD IDROGENO

CARPOOLING IN TEMPO REALE EICMA moto: 73°edizione

CARPOOLING IN TEMPO REALEPRA o Motorizzazione?

CARPOOLING IN TEMPO REALERicerca sui SINISTRI in Italia

CARPOOLING IN TEMPO REALECARPOOLING istantaneoCAR POOLING: condividere l'auto

L'automobile elettrica in Italia: possibile?Auto ELETTRICA: utopia?

SEGNALAZIONI LE SEGNALAZIONI DEI LETTORI. Scrivi anche Tu!

KTM super Duke "R"

Pillole/News
Rubrica "Spazio AMBIENTE"
ARCHIVIO articoli
Scrivi a:redazione1@spaziomotori.it

 

Scrivici

Torna alla Home page

 | Gerenza |

 

Il Controllo Ambientale delle ARPA

di Sergio De Pietro 

 

Per controllo ambientale s’intende, più frequentemente, quell’insieme di attività finalizzate a verificare il rispetto di determinati limiti fissati da norme e prescrizioni, e si configura nell’attività ispettiva nei riguardi delle fonti delle pressioni ambientali. Mentre, nei casi in cui la verifica ha come oggetto la qualità di una matrice ambientale minacciata da dette pressioni, si utilizza il termine monitoraggio ambientale. In entrambi i casi, comunque, si può certamente affermare che le attività di controllo sono caratterizzate da una notevole parte conoscitiva, e che costituiscano una fondamentale funzione del governo dell’ambiente. Pertanto, attraverso tali azioni di controllo è possibile raccogliere dati e con questi sviluppare un tessuto di conoscenze e monitoraggio sull’ambiente utili a tracciare indirizzi di azione e verifica delle politiche.

Con legge n. 61 del 1994, si è dato avvio alla realizzazione di un vero e proprio sistema federale costituito dall’allora Anpa (oggi Ispra) e dalle Agenzie regionali (Arpa) e delle provincie autonome (Appa), creando appunto, organi deputati al controllo tecnico delle violazioni ambientali. Ciò ha consentito, inoltre, di colmare uno dei tanti gap in materia ambientale rispetto agli altri paesi avanzati, dove già da molti anni operavano strutture di agenzia competenti in materie ambientali.

A quasi vent’anni dall’avvio di questo importante processo, il bilancio che si può ricavare è senz’altro positivo soprattutto se si considera il punto di partenza, ma certamente non ancora sufficiente. Molto resta da fare perché le attività di tutela, prevenzione e di “misura” della sostenibilità, di cui i controlli rappresentano un elemento centrale, siano garantite a un livello adeguato e in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. E ciò, sia per garantire un fondamentale diritto a tutti i cittadini, sia per assicurare regole uguali per tutti gli operatori economici ed evitare condizioni di mercato disomogenee, così come dire equità e certezza operativa all’applicazione del “chi inquina paga”, e a una contabilità ambientale assolutamente necessaria per garantire una crescita del paese compatibile con la sua complessità e fragilità ambientale.

Un’attività di controllo ottimale presuppone un’efficace normativa ambientale e la corretta esecuzione sia dei controlli ispettivi, sia dei piani di monitoraggio.

Si tratta, quindi, di attività in qualche modo connesse, perché proprio la qualità delle leggi condiziona la qualità e la quantità dei controlli, sempre più spesso demandati a strutture inadeguate e carenti per mancanza di mezzi, di personale e di professionalità; di modo che troppo spesso i controlli che sono effettuati, in presenza di norme complicate, a volte confuse e contraddittorie, si limitano a riscontrare solo eventuali situazioni evidenti di illegalità, senza prendere neppure in considerazione settori che richiedono un approfondimento di indagini.

Ritornando al principio del “chi inquina paga”, sono solo i controlli ispettivi che individuano i soggetti responsabili dei danni al sistema ambiente, in altre parole chi inquina, mentre i monitoraggi ambientali accertano le cause delle varie pressioni che lo minacciano e permettono il giusto indirizzo dell’azione di tutela.

Controlli ambientali non adeguati determinano diffuse aree d’illegalità e, tanto per fare un esempio: si registra che nel 2012, 36 anni dopo la legge Merli, vi sono ancora numerosi scarichi fognari pubblici immessi nell’ambiente allo stato bruto, senza alcuna depurazione e autorizzazione.

Purtroppo, pur partendo da presupposti condivisibili, invece del potenziamento, è arrivata la “semplificazione” dei controlli, che sollevano delle perplessità operative e rischiano di indebolire l’efficacia stessa dei controlli. Nel decreto legge n. 5 del 9 febbraio 2012, entrato in vigore il 10 febbraio, -oltre a 2 articoli (23 e 24) esiste l’art. 14, intitolato “Semplificazione dei controlli sulle imprese”, la cui ratio dichiarata è di limitare al massimo i controlli sulle imprese al fine di recare alle stesse “il minore intralcio” possibile. Si stabilisce, cioè che i controllori devono adeguarsi al principio di “collaborazione amichevole con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità”.

I controlli, come già detto, sono attività finalizzate a verificare il rispetto di determinati limiti fissati da norme e prescrizioni e non si può imporre alcuna “collaborazione amichevole” tra controllori e controllati. Il pubblico controllore, se riscontra reati, deve farne denuncia all’A.G. e non può essere invischiato nei problemi del controllato.

In proposito, recentemente, la Cassazione ha evidenziato che “i funzionari dell’ARPA, preposti al controllo e alla vigilanza ambientale, sono titolari di una posizione di garanzia riguardo all’impedimento dei reati commessi dai terzi e, pertanto, qualora, venuti a conoscenza dell'effettuazione irregolare di operazioni di gestione di rifiuti, omettano di intervenire, sono responsabili ex art. 40, 2° comma, c.p. dell'illecito smaltimento del rifiuto” (Cass. Pen, sez. 3, c.c. 15 dicembre 2010, n. 3634, Zanello).

Diventa difficile, a questo punto, conciliare le esigenze dei funzionari preposti al controllo con le esortazioni di amichevole collaborazione con i soggetti controllati.

Se, a questo si aggiunge che già esiste un altro principio legislativo in base al quale, per fare cassa, l’ARPA può accettare consulenze a pagamento anche dai soggetti che dovrebbe controllare (ed eventualmente denunciare), diventa ancor più concreto il rischio che la collaborazione “amichevole” possa talvolta essere intesa come collaborazione a pagamento, dove chi paga potrebbe assicurarsi l’amichevole collaborazione del controllore ora e per il futuro.

Un’importante risposta a questa problematica potrebbe essere data dall’attuazione di una seconda fase della riforma dei controlli, con l’istituzione del Sistema nazionale di protezione dell’ambiente, che non a caso è oggetto di uno specifico disegno di legge presentato il 4 luglio 2012 in Commissione Ambiente della Camera. Questa proposta prende le mosse proprio dai cosiddetti Lep, livelli essenziali di prestazioni, strumento previsto dalla nostra Costituzione, proprio con la finalità di garantire diritti fondamentali all’intera collettività nazionale. Partendo da tale impostazione e attribuendo un’importanza centrale alle attività tecniche, svolte da Ispra/Arpa/Appa, il ddl fa emergere una serie di punti che dovrebbero caratterizzare il futuro sistema di controllo ambientale e che si possono così riassumere:

- il sistema nazionale dovrebbe avere il compito di garantire l’attuazione dei livelli essenziali di tutela ambientale (Lepta), che costituiranno le attività istituzionali obbligatorie del sistema medesimo;

 - la pianificazione delle attività a livello statale, ad opera di Ispra, dovrebbe creare sinergie ed efficienza del sistema nella pianificazione anche a livello regionale, a opera delle singole Agenzie;

- attivazione di una rete laboratoristica nazionale accreditata, che supporti le attività del sistema;

- finanziamento del sistema individuando una quota minima del fondo sanitario regionale a copertura delle attività istituzionali obbligatorie;

- definire le attività istituzionali non obbligatorie rispetto ai Lepta, le quali saranno poste a carico dei gestori stessi, sulla base di un tariffario nazionale unico finalizzato a garantire omogeneità di trattamento su tutto il territorio

- sollecitare una disciplina univoca sul personale incaricato degli interventi ispettivi da nominarsi in ottemperanza a un regolamento nazionale in modo da realizzare uniformità di condotte in tutte le Agenzie.

 

Il disegno di legge presentato il 4 luglio 2012 in Commissione Ambiente della Camera e in generale l’alleggerimento delle procedure amministrative non devono però incidere sulla qualità dei controlli ambientali altrimenti si rischia di fare più danni che benefici.

Il costo dei controlli e il reperimento delle risorse necessarie rimane un problema di difficile soluzione ed è necessario dare una compiuta applicazione del principio “chi inquina paga”. Altro punto controverso è rappresentato dalle certificazioni di qualità cui sembra, si vuole attribuire l’equivalenza dei controlli pubblici.

Orbene, norme ispirate a un principio di sussidiarietà orizzontale, non hanno finora trovato alcuna applicazione operativa, a causa principalmente della loro indeterminatezza che non consente, innanzitutto, di comprendere quali siano esattamente le funzioni pubbliche che possano essere sostituite dall’intervento dei soggetti privati certificatori. Nel merito inoltre non si può non evidenziare come le norme sulla qualità, essendo indirizzate alla gestione dei processi aziendali prioritariamente nell’ottica della soddisfazione del cliente, difficilmente possono essere considerate pienamente surrogatorie delle autorizzazioni e dei controlli ambientali, i quali, per loro natura, sono afferenti a beni costituzionalmente garantiti quali la salute o la tutela degli habitat naturali.

 

Riguardo alle normative ambientale si segnala che nel corso del 2010, ben quattro interventi normativi hanno interessato il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, c.d. Testo Unico Ambientale.

Il primo di essi, rappresentato dalla Legge 25 febbraio 2010, n. 36, recante “Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue”, ha modificato l’art. 137, comma quinto, del D.Lgs. n. 152 del 2006.

Il secondo intervento legislativo, di più ampio respiro, noto come Terzo correttivo al T.U.A., è rappresentato dal D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128. L’intervento normativo ha, anzitutto, introdotto modifiche formali alla Parte I del T.U.A.; in secondo luogo, ha trasposto, all’interno della Parte II del T.U.A. (introducendo il nuovo Titolo III-bis), la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata (A.I.A.) prima contenuta nel D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, lasciandone inalterato il previgente impianto sanzionatorio, apportando anche alcune modifiche alla già vigente disciplina della valutazione ambientale strategica (VAS) e della valutazione dell’impatto ambientale (VIA); infine, il D.Lgs. n. 128/2010 ha modificato la Parte V^ del T.U.A. (contenente norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera).

Il terzo intervento legislativo, c.d. Quarto correttivo al T.U.A., è rappresentato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 che recepisce la direttiva-quadro sui rifiuti (2008/98/CE), entrato in vigore il 25 dicembre 2010. Il decreto introduce novità rilevanti nella materia dei rifiuti, modificando in modo sostanziale la Parte Quarta del c.d. Codice Ambientale (D.Lgs. n. 152/2006).

Il quarto e ultimo intervento normativo sul T.U.A. nell’anno 2010, infine, è rappresentato dal  D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219, entrato in vigore il 4 gennaio 2011, attuativo di due direttive comunitarie, la direttiva 2008/105/CE (relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque) e la direttiva 2009/90/CE (che stabilisce specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque). Le novità introdotte tramite la modifica alla Parte III del D.lgs. 152/2006 in materia di tutela delle acque dall’inquinamento.

Sono poi seguiti, nell’anno 2011, una serie di interventi modificativi e integrativi che hanno inciso, perlopiù in materia episodica, sul testo originario del T.U.A. L’unico intervento di ampio respiro è quello rappresentato dal D. Lgs. 7 luglio 2011, n. 121

Infine, gli ultimi interventi legislativi intervenuti nell’anno 2012, gli stessi sono rappresentati dai recenti:

a) d.l. 29 dicembre 2011, n. 216;

b) d.l. 24 gennaio 2012, n. 1;

c) d.l. 25 gennaio 2012, n. 2;

d) d.l. 9 febbraio 2012, n. 5;

e) d.l. 2 marzo 2012, n. 16.

f) dm 10 agosto 2012 n. 161

Tali ultimi interventi, a parte il dm 10 agosto 2012, n. 161 “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo”, non hanno inciso in maniera profonda sull’assetto normativo preesistente, ma rivestono comunque particolare importanza poiché sono ispirati dall’ottica semplificatoria che li anima e dalla volontà di sburocratizzare, nei limiti del possibile, la gestione delle procedure ambientali. 

Per il momento è sufficiente ricordare che, con gli ultimi interventi del 2012, sono state apportate ben 45 modificazioni ed integrazioni al “corpus” originario del T.U.A., cui si aggiungono numerose declaratorie di incostituzionalità nelle more intervenute.

 

Sergio De Pietro