Navigando su questo sito web si accettano i cookie utilizzati per fornire i Nostri servizi. Per maggiori informazioni leggere l'informativa sui cookie

SPAZIO MOTORI HOME PAGE- Testata giornalistica telematica autorizzata dal Tribunale di Napoli con n.5141-Dir. Resp. Dott.Massimiliano Giovine Il primo periodico telematico di informazioni ed inserzioni auto,moto,nautica,trasporti,viabilità,ambiente,sicurezza stradale,ecc.Testata Giornalistica autorizzata dal Tribunale di Napoli-registraz.n.5141-Provv.del 27/6/2000-Direttore Responsabile Dott.Massimiliano Giovine - © Tutti i diritti riservati

|HOME|

|Presentazione|

|Note/GeRENZA| Cookie |

|Lettere|

|Spazio Motori "Ambiente"|

|Inserzioni gratis|

|Links auto|

|Links moto|

|Links utili|

|Assicuraz. web|

Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

|C E R C A|

Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoMOTORINO: in 2 anche a 16 anni
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoAuto, quanto mi COSTI
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoL'auto ITALIANA riparte dal lusso
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoAuto e TECNOLOGIA oggi
Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoBMW serie 2 Gran Tourer 7 posti

GLI INTERNI DELLA BMW SERIE 2 GRAN TOURER

Moto storiche con meno di 30 anni: ritorna la tassa di possessoMoto D'EPOCA: ritorna la tassa?

TOYOTA MIRAI AD IDROGENO"MIRAI": idrogeno anche per casa

LA TOYOTA "MIRAI" AD IDROGENO

CARPOOLING IN TEMPO REALE EICMA moto: 73°edizione

CARPOOLING IN TEMPO REALEPRA o Motorizzazione?

CARPOOLING IN TEMPO REALERicerca sui SINISTRI in Italia

CARPOOLING IN TEMPO REALECARPOOLING istantaneoCAR POOLING: condividere l'auto

L'automobile elettrica in Italia: possibile?Auto ELETTRICA: utopia?

SEGNALAZIONI LE SEGNALAZIONI DEI LETTORI. Scrivi anche Tu!

KTM super Duke "R"

Pillole/News
Rubrica "Spazio AMBIENTE"
ARCHIVIO articoli
Scrivi a:redazione1@spaziomotori.it

 

Scrivici

Torna alla Home page

 | Gerenza |

 

La cultura delle emergenze: le catastrofi naturali non esistono

di Nicola Inversi 

 

Come molti autori hanno fatto notare, se paragoniamo la storia del nostro pianeta con la storia dell’uomo, questa ne risulta solo un piccolo frammento. È un dato oggettivo che al di là di discorsi etici e religiosi, offre comunque una possibilità di riflessione. La Terra è sempre esistita, esiste tuttora ed esisterà ancora se mai la specie umana dovesse scomparire. I più radicali ed estremisti sostengono che sostanzialmente la Terra possa quindi fare a meno della presenza dell’uomo, quasi fossimo degli ospiti di passaggio e per giunta poco graditi.

Ma il genere umano c’è ed attivo più che mai. Il suo ruolo e le sue attività hanno un forte peso e impatto a livello globale sul futuro di chi un giorno abiterà il pianeta al posto nostro e sul pianeta stesso.

Per troppo tempo abbiamo avanzato diritti sullo sfruttamento delle risorse ambientali. Ma non possiamo più disporne in maniera illimitata e scriteriata. Ma soprattutto non possiamo più lavarcene le mani senza un’assunzione di responsabilità. E questo gesto vale tanto per chi ha una personale coscienza ed etica ambientale, tanto per chi non ne ha.

Che in ballo ci siano interessi politici, economici o puramente etici, siamo comunque costretti a fare i conti con le nostre azioni. Abbiamo dei doveri nei confronti del patrimonio naturale. Tant’è che i soli principi morali non sono più sufficienti, ma servono veri e propri modelli di comportamento. Va rivisto il ruolo dell’uomo all’interno dell’ambiente.

Oggi come oggi l’educazione ambientale (che almeno sulla carta è diventata materia obbligatoria all’interno della scuola dell’obbligo) sicuramente è un buon punto di partenza, in quanto non si può prescindere da una corretta e rigorosa conoscenza della natura e di tutto ciò che la circonda. Credo però che la scuola italiana non sia pronta, non abbia sempre docenti formati adeguatamente a tale insegnamento. Inoltre è facile lasciarsi influenzare da ideologie politiche, limitarsi a sterili slogan pro-ambiente o ancor peggio farsi strumentalizzare dalla politica. Ognuno di noi dovrebbe costruirsi una propria coscienza/cultura ambientale. Tutto questo dovrebbe portare a riflettere sulle nostre azioni, sul fatto che non possiamo perseguitare sulla strada dello sfruttamento incondizionato e indefinito delle risorse. Non possiamo più avanzare i nostri soli diritti, ma è ora di prestare più attenzione ai nostri doveri e alle nostre responsabilità, soprattutto nei confronti delle generazioni future: questo mondo è tanto nostro quanto loro.

 

La storia dell’uomo è costellata da una miriade di calamità e disastri.

La natura spesso viene additata come colpevole, come causa di disastri quasi avesse un’indole propria, quasi la natura fosse cattiva. Ancora oggi i mass media parlano di “catastrofi naturali”, inculcando ancora di più nell’opinione pubblica un concetto di fondo completamente errato.

La natura non è cattiva. La natura segue il suo normale corso, ha una sua ciclicità formata da eventi naturali che si ripropongono di tanto in tanto. Da quando c’è vita sulla terra, prima ancora della comparsa dell’uomo, eventi come eruzioni, terremoti, impatti cosmici, frane, alluvioni, inondazioni, grandi mutamenti climatici, hanno avuto un forte impatto sull’esistenza degli organismi viventi, spesso a livello planetario. E anche dopo l’avvento dell’uomo, questi eventi hanno continuato a susseguirsi. L’uomo è tornato in quelle zone teatro di grandi disastri, continua ad abitarle e a porre le basi del proprio futuro. È giusto a questo punto porsi una domanda provocatoria: è la natura a uccidere o sono scelte errate a portare disgrazie? È una colata di fango lungo un versante disboscato o la scelta di costruirci li la nostra villa di campagna? È il terremoto a fare vittime o le case che ci crollano addosso perché mal costruite?

 

La più nota eruzione del Vesuvio risale al 79 d.C. Dopo di essa ce ne sono state molte altre anche se meno note, fino all’ultima del 1944. Eppure l’area vesuviana continua ad essere densamente popolata, fin quasi all’interno del cratere stesso. Ma casi simili si registrano in tutta Italia, anche dove spesso la toponomastica ci viene in aiuto e dove i nomi delle località fanno riferimento ad eventi calamitosi: uno dei più famosi è probabilmente il Monte Toc.

Da qui il passo a trasformare in catastrofe quella che è semplicemente l’evoluzione naturale del pianeta, è breve.

L’uomo sembra non tenere traccia degli eventi passati, non ha una memoria storica che li riguardi. In parte è sicuramente dovuto al periodo di ritorno di tali eventi che, fortunatamente, tende ad essere piuttosto lungo o al massimo a rimanere nella memoria della generazione che l’ha vissuto. Fatto sta che quando una calamità arriva, la popolazione è impreparata, non sa come reagire e quasi sempre davanti ad eventi di piccola portata siamo costretti a registrare ingenti danni e perdite di vite umane.

Il 26 dicembre del 2004 è ormai una data nota a molti a causa dello Tsunami di Sumatra. Il terremoto che lo ha provocato è stato il più violento (secondo alcuni esperti, il secondo) per energia sprigionata da quando esistono i sismogrammi. Secondo le stime ci furono circa 230.000 morti. In pochi però sono a conoscenza che in quella regione vivono alcune tribù di popolazioni primitive: molti le diedero per spacciate, per estinte. Ma le cose andarono diversamente. Queste popolazioni hanno conservato un rapporto profondo con la natura, ne sanno interpretare i segnali, la rispettano e ne difendono l’integrità, ma soprattutto non hanno dimenticato che quelle regioni sono teatro di eventi quasi apocalittici. Ai primi sentori, non appena hanno notato cambiamenti anomali del livello della marea, si sono rifugiati nella boscaglia. Questi uomini primitivi si sono salvati, eppure non possiedono certo le nostre tecnologie, i sistemi di monitoraggio e di allerta. Dove invece si sarebbe dovuto non solo prevedere, ma prevenire una catastrofe simile abbiamo avuto centinaia di migliaia di vittime, oltre che danni economici considerevoli.

 

Oltre la memoria storica, un altro fattore determinante è quindi il diverso rapporto con l’ambiente circostante, che sia un ambiente naturale o artificiale. E qui il paradosso è forte. Paesi, città, ambienti “costruiti” dall’uomo sono a forte rischio. Nonostante il progresso tecnologico, per molti versi la nostra vulnerabilità è aumentata.

Manca completamente una cultura degli eventi, una conoscenza profonda dei fenomeni naturali. Forse anche per questo nel nostro Paese la politica della prevenzione è piuttosto debole. E questa ignoranza ingiustificata colpisce l’intera società, dal cittadino comune al politico.

Serve una corretta e adeguata formazione scolastica che l’educazione ambientale, ma non solo, può dare.

Ma è anche necessaria una corretta informazione e conoscenza dei rischi presenti all’interno del nostro territorio.

La realtà delle cose però è ben diversa.

L’educazione ambientale prevista nella scuola dell’obbligo, troppo spesso è completamente assente o fatta male.

L’opinione pubblica è poco interessata se non addirittura indifferente e certe tematiche.

La popolazione non è preparata ad affrontare un’emergenza di qualsiasi tipo. Non sa quali sono i comportamenti adeguati da assumere per evitare quanto più possibile i danni arrecati da un evento calamitoso. Eppure spesso basterebbero piccoli accorgimenti, per esempio: non precipitarsi fuori in strada durante una scossa sismica; evitare di fuggire in macchina intasando le strade per ore e bloccando l’afflusso dei mezzi di soccorso; usare il telefono ben sapendo di sovraccaricare la linea fino all’inevitabile blocco. Questa preparazione risulta carente non solo da un punto di vista comportamentale, ma anche da un punto di vista psicologico: se manca una cultura dell’emergenza, figuriamoci una psicologia dell’emergenza. Le persone si ritrovano puntualmente in balia degli eventi.

Anche l’informazione data dai mass media non aiuta durante la fasi più critiche. Spesso la TV in primo luogo tende a focalizzare l’attenzione sulle immagini più cruenti dell’evento: trasmettere ininterrottamente immagini di palazzi crollati dopo un evento sismico, senza mostrare all’opinione pubblica che la stragrande maggioranza degli edifici è ancora in piedi, vuol dire dare un pessimo contributo a chi gestisce l’emergenza.

Non è affatto facile comunicare in emergenza: da un lato bisogna dare informazioni quanto più precise e chiare possibili, dall’altra non bisogna allarmare la gente con il rischio che si scatenino situazioni di panico collettivo. Ci sono diversi studi portati avanti da esperti in Disaster Management con l’aiuto di psicologi qualificati: in situazioni di potenziale pericolo e in assenza di informazioni o di qualcuno che prenda decisioni e dia direttive, sembra che gli individui tendano ad adeguare il proprio comportamento a quello degli altri.

Gli esperti ritengono che il comportamento di una folla non sia riconducibile alla somma dei singoli comportamenti individuali, ma il tutto sembra avere una propria dinamica. Bisogna dire che solitamente le situazioni di panico (sia collettivo che individuale) sono molto meno frequenti di quanto si pensi o di quanto mostrino la televisione e il cinema, ma nel caso dovessero verificarsi bisogna tener presente che sono situazioni al limite, difficile da gestire e controllare.

Altro ruolo importante nella comunicazione in emergenza lo hanno le cosiddette “voci”. E spesso voci scaturite dai mass media acquisiscono un’autorevolezza tale da trasformarle in notizie prese per certe. Negli ultimi anni abbiamo assistito spesso ad uno scambio paradossale tra esperti/scienziati e giornalisti, con il risultato che negli spettatori i primi acquisivano più fiducia e considerazione dei secondi. E anche le polemiche tra esperti stessi (vedi le tante discussioni attorno alla misurazione della quantità di radon come strumento di previsione dei terremoti) hanno il solo risultato di confondere la popolazione e, ancor peggio, perderne la fiducia.

Altro rischio da evitare, soprattutto nella fase di allarme, è quello del “al lupo al lupo”. Sono tanti gli episodi in passato in cui le persone sono state fatte evacuare davanti ad un pericolo dato per certo o semplicemente per precauzione, per poi rendersi conto che tale pericolo non si verificava. Sono situazioni molto difficili da gestire, in cui bisogna pensare alla sicurezza delle persone coinvolte senza allarmarle e senza perderne la fiducia. Emblematico è il caso di Stromboli nel 2006, quando una frana caduta in mare provocò un piccolo tsunami. In seguito furono posti degli apparati acustici in grado di dare l’allarme per l’evacuazione nel caso in cui la frana avesse continuato a muoversi: dopo i primi allarmi risultati poi infondati, la gente ha poi ignorato i successivi e si è addirittura arrivati al punto che alcuni apparati furono disinstallati dagli abitanti stessi.

 

Si capisce facilmente quanto sia difficile gestire un’emergenza o una fase di allarme. Ma nel nostro paese è altrettanto difficile, se non di più, attuare una politica di prevenzione. La prevenzione dovrebbe richiedere la gran parte delle energie spese dagli enti e dalle autorità preposti alla protezione e alla difesa civile. Ma spesso in Italia la previsione di un potenziale pericolo non si traduce in una consapevolezza della popolazione interessata e in alcuni casi dalle strutture pubbliche stesse. Troppo spesso manca completamente la percezione del rischio e dove c’è, la continua esposizione tende a ridurne tale percezione.

 Oltre ad un problema culturale vi è quindi un problema politico. La prevenzione è spesso un lavoro “invisibile” agli occhi del cittadino e di cui sicuramente non ne ha un immediato guadagno. Ha molto più risalto per esempio la rivalutazione di spazi verdi e ricreativi che non la messa in sicurezza degli edifici o l’attuazione di norme sismiche sulla costruzione degli edifici stessi. Il tutto si riduce ad un semplice discorso politico e quindi elettorale.

Un altro ostacolo alla prevenzione sono certamente i costi. Fare prevenzione costa molto e come detto precedentemente il cittadino comune non sempre ne ha un immediato rientro (anzi si spera che non ne abbia proprio visto che vorrebbe dire mettere alla prova la solidità di un edificio durante un evento sismico per esempio). Nonostante spendere in prevenzione costi decisamente meno che spendere dopo un’emergenza, la strada intrapresa quasi sempre in Italia è la stessa: si attende una calamità e si ricostruisce.

Sempre da un punto di vista prettamente politico poi, ci sarebbe anche da dire che condoni edilizi e finanziamenti statali a seguito di calamità, sono ulteriori ostacoli alla cultura della prevenzione. Si costruisce dove non si dovrebbe costruire e come se ciò non bastasse lo si fa anche male. Ma non è finita qui: a seguito di una calamità, ci sono anche i contributi per la ricostruzione. Una politica della prevenzione dovrebbe andare di pari passo con una pianificazione territoriale. Quando questa si scontra con vincoli normativi, interessi malavitosi, impianti abusivi non può che uscirne sconfitta. L’esperienza dell’Abruzzo non ha fatto altro che confermare, anche se per molti è stata una novità, che speculare sui disastri e sul degrado ambientali frutta molto più che una politica di prevenzione. E troppo frequentemente nessuno paga i propri errori.

 

Sono fermamente convinto che la strada giusta per cambiare qualcosa, sia quella di perseguire una politica di prevenzione, supportata però da una cultura dell’ambiente, da un’attenta conoscenza del proprio territorio, dei rischi legato ad esso, da una buona formazione scolastica (che non si limiti alla scuola dell’obbligo) e da un’accurata pianificazione territoriale.

Ma è un percorso che cittadini, politici e istituzioni pubbliche devono compiere assieme. Se questo bisogno di sicurezza diventa un volere collettivo, allora le cose cominceranno a cambiare.

Bisogna tenere conto e convincersi che chiunque nel suo ambito può fare qualcosa. Non dobbiamo aspettare una politica che parta dall’alto per cominciare a muoverci o di imposizioni e sanzioni rigide dal punto di vista normativo. Fare qualcosa per il nostro ambiente è possibile anche con i scarsi mezzi a cui ha accesso un comune cittadino, tenendo conto che quanto fatto va a sommarsi a quello fatto da altri, che nel complesso diventa qualcosa di sostanzioso. Bisogna far nostra la cultura dell’autoprotezione, prendere coscienza dei rischi e delle problematiche ambientali, acquisire adeguati comportamenti per farvi fronte (quando non possono essere prevenuti), prenderci le nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future rivedendo i nostri modelli e stili di vita, mutando il nostro rapporto e ruolo all’interno dell’ambiente.

 

Nicola Inversi

 


 

Home pageCopyright 2000/2015 © - Tutti i diritti riservati - All rights reserved - Testata giornalistica autorizzata dal Tribunale di Napoli-registr. n. 5141-Provv.del 27-06-2000.

Editore: associazione culturale no-profit "Confgiovani"- Iscr. ROC n.19181. Direttore Resp. Dott.Massimiliano Giovine - giornalista (Tes. Prof. n.120448, già n.84715).

Direzione, Redazione: via D. De Dominicis, 20 c/o Giovine-cap. 80128 Napoli. E' vietata la riproduzione o trasmissione anche parziale, in qualsiasi forma, di testi, immagini, loghi ed ogni altra parte contenuta in questo sito web senza autorizzazione.

La Redazione non è responsabile di eventuali errori imputabili a terzi, nè del contenuto delle inserzioni riservandosene, pertanto, la pubblicazione.

Nomi e numeri sono citati a puro titolo informativo, per offrire un servizio al lettore. Proprietà artistica e letteraria riservata ©. Vedi gerenza e note legali/tecniche.

|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

Sito web ottimizzato per "Firefox", Internet "Explorer 5.0" o superiore - Risoluzione schermo consigliata: 1024 x 768 pixel - >>Privacy/Cookie<<