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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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  • UNA PARADISIACA SILVIA DI LORETO A PESCARA

  • I CORECO TRA PASSATO E FUTURO

  • LA DIFFAMAZIONE SECONDO LA CASSAZIONE

di Alessandro Di Fiore

UNA PARADISIACA SILVIA DI LORETO A PESCARA

Dal 20 al 27 agosto si è tenuta la mostra personale dell’artista sulmonese Silvia Di Loreto presso il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara. La mostra, intitolata “Paradisiaca”, è stata curata dalla critica d’arte Chiara Strozzieri, che ha firmato il catalogo distribuito in omaggio ai numerosi visitatori, ed è stata patrocinata dal Museo intitolato a Claudio Leno De Pompeis, dalla Regione Abruzzo e dal Comune di Pescara, Assessorato alla Cultura. Le opere esposte costituiscono una riuscita fusione tra le due forme artistiche privilegiate da Silvia Di Loreto: la pittura e la poesia. Infatti le opere esposte traggono ispirazione da alcune tra le più belle e conosciute liriche del Vate.

Siamo riusciti ad avvicinare l’artista, che molto gentilmente ci ha concesso l’intervista qui pubblicata.

A. “Nelle tue opere ho l’impressione che il fattore-colore sia di fondamentale importanza”. S. “Il senso del colore è una caratteristica che mi contraddistingue da sempre: nel giudizio dell’insegnante di educazione artistica delle scuole medie era un’espressione ricorrente “senso del colore ottimo" . A. “Come definiresti la tua pittura?”. S. “La mia pittura ha a che fare con l’inconscio, in un certo senso con la dimensione onirica, e in questo modo entra in comunicazione con l’osservatore pur nella sua imperfezione tecnica, anzi forse a maggior ragione proprio perché “libera”, “fuori dagli schemi" . In altre parole è il caso di dire che la forma è sostanza, ovvero che l’originalità di questa forma “libera” costituisce un elemento importante ai fini della sua attitudine a comunicare”. A. “Insomma l’imperfezione come forza anziché come debolezza”. S. Per un certo periodo mi sono impegnata nell'esercizio di  copiare le forme reali, nel curare meglio le ombre, il chiaroscuro, insomma nel cercare di imitare la realtà,  poi ho capito che se c’era un valore nella mia rappresentazione stava proprio nella “differenza”, nella sua peculiarità. E’ come avere il complesso di un corpo imperfetto… e poi capire che una cosa è la perfetta proporzione e altra cosa è il fascino, che da noi può promanare o meno a prescindere dalla mera bellezza fisica. Insomma in alcuni casi è proprio il proporsi nella propria unicità che non solo non diminuisce ma addirittura aumenta il fascino e comunque ci differenzia dagli altri”. A. “Ho l’impressione che la mera aderenza di un’opera ai canoni estetici riduca la capacità di cogliere i tratti caratteristici, le peculiarità dell’artista nelle intenzioni del quale si rischia che prevalga l’esigenza di una rassicurante omologazione piuttosto che il coraggio dell’originalità”. S. “A volte è così, ed effettivamente occorre avere coraggio, ma non voglio sancire il primato dell'originalità sul tecnicismo, anche, ma non solamente, perché questo non spetta a me. Mi sento piuttosto di dire che il mio è un caso in cui è il carattere fortemente soggettivo dell'interpretazione ad avere forza comunicativa”. A. "Perchè D'Annunzio?" S. Perchè mi piacciono la sua cultura sterminata, la sua acutissima sensibilità, e contemporaneamente la sua “spiritualità”, il suo “senso religioso”, non inteso come adesione ad una fede o a una confessione religiosa ma come attitudine all'indagine degli aspetti emozionali della vita. Per esempio nella descrizione di alcuni personaggi delle sue novelle, si percepisce la presenza di un forte senso religioso del poeta, già solo per una sorta di "misericordia" che lo lega in qualche modo al livello emotivo a questi personaggi, come nell'amore per la tradizione, nel fortissimo legame con la sua terra e con i costumi primitivi di cui ci narra. Ma soprattutto perché l'opera dannunziana è una fonte inesauribile di "femminile" , argomento che mi piace indagare”. A. “Nell’ammirare le tue opere intuisco che Il contesto, la natura, lungi dall’essere subalterni rispetto ai tuoi personaggi femminili, ne costituiscano il naturale completamento. Insomma la natura non è tale se non in simbiosi con la donna e viceversa” S.  “Sì, credo sia una giusta impressione. Addirittura in alcuni casi, come in "l'anima", il centro è rappresentato proprio dalla natura, che sta a simboleggiare appunto l'anima. In altri casi come in "Panismo" natura e donna coincidono”.  A. “che cosa ne pensi delle belle parole che il critico d’arte Chiara Strozzieri ti ha riservato nella presentazione del tuo catalogo?”  S.Ho letto il testo molte volte, e mi sono accorta che ognuna di queste il significato risultava arricchito; ha colto i fattori più caratteristici ed evidenziato gli aspetti più interessanti. Ha dato valore a quell'originalità di cui abbiamo parlato”.  
(A.D.F.)


I CORECO TRA PASSATO E FUTURO

C’erano una volta i Coreco, gli austeri Comitati Regionali di Controllo, le sentinelle degli enti locali, soprattutto di quelli più disinvolti nella gestione delle finanze pubbliche. Ci saranno in futuro i Coreco, con compiti presumibilmente simili se non identici. Già perché la schizofrenia del legislatore nostrano passa anche attraverso l’istituzione di enti perché poi vengano soppressi, perché poi vengano reintrodotti, e via dicendo. L’istituzione dei Coreco rispondeva, sin dai tempi dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, all’esigenza di porre in essere una capillare rete di controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali. Sennonché la riforma costituzionale del 2001, nell’enfatizzare l’autonomia degli enti locali, ha soppresso queste strutture. Anzi no. Sarebbe stato troppo semplice (e quindi irrispettoso del ruolo dell’interprete): ha soppresso i controlli preventivi, così scatenando dibattiti circa la sopravvivenza o meno dei Coreco.

Una volta concordata, tra i vari enti istituzionali (Stato, regioni, province, comuni), l’opportunità di una loro soppressione, così rafforzando l’auspicata autonomia degli enti locali, è spuntata la micidiale crisi economica internazionale per fare fronte alla quale si è pensato di introdurre nell’art. 81 della Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio. Ma come diavolo si persegue il pareggio di bilancio se agli enti locali si concede la possibilità di gestire allegramente senza controllo le proprie finanze?

Ecco allora che i resuscitati Coreco avranno l’obbligo di verificare che i bilanci degli enti territoriali siano coerenti con la nuova prescrizione costituzionale che sancisce il principio della sana gestione finanziaria e dunque dell’equilibrio delle entrate e delle spese senza ricorso all’indebitamento. Sarà possibile derogare al divieto d’indebitamento solo in casi tassativi ancora allo studio, e comunque in caso di crisi economica, o per far fronte ad eventi eccezionali, o per finanziare gli investimenti degli enti locali che abbiano a tal fine presentato un piano di ammortamento delle spese. C’è da aspettarsi che in caso di superamento di questa micidiale congiuntura, un rinnovato spirito autonomista spazzerà via di nuovo questi severi controllori della finanza locale. Salvo poi reintrodurli alla prossima crisi, s’intende.

(A.D.F.)


LA DIFFAMAZIONE SECONDO LA CASSAZIONE

Un’importante sentenza della Corte di Cassazione (n. 23222/2011) ha precisato la portata del delitto di diffamazione. L’individuazione degli elementi costitutivi di tale reato è sempre stata alquanto controversa, sotto molteplici profili. La sentenza in esame focalizza il profilo della comunicazione con più persone. L’art. 595 C.p. prevede espressamente che il reato è integrato nella ipotesi di comunicazione “con più persone”. Da almeno un trentennio però ci si chiede, senza mai avere avuto una risposta univoca da parte della giurisprudenza, come debba essere correttamente interpretato il requisito della comunicazione con più persone. Già una sentenza della Cassazione del 1989 (n. 7333) aveva affrontato l’ipotesi di una comunicazione diffamatoria indirizzata impersonalmente ad una pubblica autorità, affermando che in tal caso è implicita la partecipazione del suo contenuto ad una pluralità di persone, essendo predisposta tutta una serie di adempimenti formali ai quali sono necessariamente preposte diverse persone. Più recentemente la Cassazione ha affrontato in modo diretto il tema del rapporto tra conoscenza e mera conoscibilità della comunicazione da parte di più persone.

L’invio di una missiva a mezzo fax contenente espressioni lesive dell’altrui reputazione integrerebbe, secondo i giudici di legittimità, l’elemento oggettivo del reato di diffamazione poiché le caratteristiche e la natura del mezzo prescelto implicano la conoscenza o anche solo la conoscibilità del contenuto della comunicazione da parte di un numero indeterminato di persone (sent. N. 30819/2003). Il mero requisito della conoscibilità, al fine dell’integrazione del reato di diffamazione, è riconosciuto anche in altre sentenze e sotto altri profili. In linea generale si afferma che la diffamazione sussiste non solo quando si comunica con più persone ma anche quando espressioni offensive siano comunicate ad una sola persona ma destinate ad essere riferite almeno ad un’altra persona (sent. N. 2432/1993; sent. N. 31728/2004 ed altre).

   Tornando alla nostra sentenza, essa ha il pregio di chiarire, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali, che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento nella esplicita volontà dell’autore, ovvero nella natura stessa della comunicazione. Entrambi i casi integrano il reato di diffamazione.

 

Alessandro Di Fiore

 


 

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