ECOCOMPATIBILITA'
AMBIENTALE E RECUPERO ENERGETICO
di Giuseppe Cottone
INTRODUZIONE...............................................................................................................
1
2. IL PROBLEMA
AMBIENTALE.......................................................................................
3
2.1. Cenni
storici.............................................................................................................
4
3. Utilizzo delle bioenergie e Gestione
integrata dei rifiuti e norme attuative:........................ 6
3.1. Decreto Ronchi e T.U................................................................................................
8
4. LA
BIOENERGIA.......................................................................................................
11
4.1. Breve storia dei
Biocarburanti...................................................................................
13
4.2. Sistemi di certificazione
nazionale e comunitaria:
...................................................... 16
4.4. Processo di
Reazione..............................................................................................
20
5. OLIO VEGETALE ESAUSTO-(UCO)............................................................................
21
5.1. Caratteristiche dell'UCO e impatto
ambientale............................................................
23
5.2. Il CONOE................................................................................................................
24
6.
Conclusione...............................................................................................................
27
1.
INTRODUZIONE
La società umana vive oggigiorno l'allerta
della degradazione ambientale che urge di significativi interventi nei
processi produttivi dei beni, nella diminuzione dei consumi energetici e
di un maggiore utilizzo di risorse energetiche naturali a basso impatto
ambientale.
Uno sviluppo
attento al futuro deve conciliare equità sociale, attenzione ecologica
ed efficienza economica. E' pero' indispensabile agire rapidamente con
delle soluzioni applicabili nel piu' breve tempo possibile, con uno
sforzo comune e in modo risoluto a livello mondiale.
In questo lavoro,
ho cercato di mettere in risalto l'urgente bisogno di trovare delle
misure precauzionali che proteggessero l'ambiente da un uso smisurato di
prodotti petroliferi per l'approvvigionamento energetico, cercando di
far capire l'importanza della bioenergia come sostituto valido a tale
scopo.
Cosi' con
l'avvento di nuove tecnologie, si scopre come un rifiuto di origine
organica, come ad esempio l'olio esausto di frittura, regolamentato da
leggi specifiche, possa essere riutilizzato come fonte di energia
termica o come biocarburante, grazie anche all'introduzione da parte
della Comunità Europea di decreti che incentivano l'uso di queste
energie rinnovabili.
Di conseguenza
anche le aziende produttrici, dovranno fare la loro parte certificando
l'utilizzo e la produzione di prodotti ecosostenibili nella loro
filiera produttiva. Tutto questo con l'obiettivo di cercare di diminuire
l'avanzamento sempre piu' massiccio del depauperamento che l'ambiente
sta subendo a causa dei vari tipi di inquinamenti che le potenze
industriali hanno provocato, senza alcun riguardo per gli ecosistemi
circostanti.
Lo scopo, quindi,
è quello di incoraggiare la trasformazione del nostro sistema
energetico, sia per quanto riguarda la produzione, che l’utilizzo
dell’energia, per uno sviluppo sostenibile in simbiosi con l'ambiente.
2.
IL
PROBLEMA AMBIENTALE
Un problema che affligge gran parte del
pianeta è sicuramente l’impatto dell’uomo sull’ambiente e la
conseguente minaccia dei delicati equilibri terrestri. Le crescenti
emergenze ambientali impongono interventi concreti con lo scopo di
salvaguardare gli ecosistemi attraverso, ad esempio, lo sviluppo e
l'uso di risorse energetiche rinnovabili ed ecosostenibili
La crescita inarrestabile dei consumi,
legata all'aumento della popolazione, e l'uso eccessivo di combustibili
fossili non rinnovabili quali petrolio e gas, reputati i maggiori
responsabili per la generazione di residui e di sostanze tossiche di
difficile degradabilità, stanno creando alterazioni sempre più massicce
sull'intero ecosistema del pianeta. Il deterioramento delle risorse
naturali (come l'acqua, l'aria, la terra, le foreste) è la causa del
disequilibrio che l'ambiente sta subendo da anni (desertificazione,
inquinamento delle falde acquifere, frane, perdita di biodiversità,
inquinamento atmosferico, emissioni di CO 2 , aumento del buco
dell'ozono ecc.).
La consapevolezza di salvaguardare
l'ambiente per le generazioni future, promuovendo comportamenti
ecosostenibili di consumo, hanno portato i governi dei diversi Paesi ad
assumere impegni in questa direzione. In altre parole, il
termine “ecosostenibilità” descrive
la corretta simbiosi tra le attività dell’uomo e l’ambiente, attraverso
il rispetto, la tutela e la protezione non solo delle risorse naturali
ma anche del cosiddetto fine vita del prodotto (la sua dismissione).
2.1.
Cenni
storici
Nel 1983
l’Assemblea generale delle Nazioni Unite affidò alla Commissione
Mondiale su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and
Development, WCED) la redazione di un rapporto sulla situazione
mondiale dell’ambiente “Our Common Future”, più comunemente
detto Rapporto Brundtland, dal nome del primo ministro norvegese
Gro Harlem Brundtland che presiedeva la Commissione, e che
venne presentato il 4 agosto del 1987. Tale trattato tocca punti molto
importanti tra i quali quelli di uno sviluppo sostenibile che
incrementi l'uso delle risorse rinnovabili a basso impatto
ambientale, in maniera consapevole, cercando di diminuire l'uso delle
risorse energetiche non rinnovabili per una migliore salvaguardia nei
confronti dell'ambiente e incoraggiando la riduzione, lo smaltimento
corretto dei rifiuti e il suo eventuale riciclaggio.
Si crea
quindi un nuovo modello di crescita che pone come obiettivi primari
il mantenimento delle risorse naturali di generazione in
generazione, e la protezione dell'equilibrio ambientale del nostro
pianeta. Altri appuntamenti internazionali
si sono succeduti negli anni per definire e mantenere vivo l'impegno
sulla sostenibilità ambientale ; ad
esempio la conferenza di Rio de Janeiro nel 1992, dove
sono state firmate le convenzioni sui cambiamenti climatici e sulla
biodiversità , programmi contro la desertificazione, l'approvazione
dell'agenda 21 con programmi ben precisi sullo sviluppo sostenibile
sino al 21° secolo e adottate misure di prevenzione e controllo degli
effetti delle attività umane sul pianeta. Tali argomentazioni si sono
riproposte recentemente, dal 20 al 22 giugno 2012, nella conferenza
di RIO +20, a Rio de Janeiro, con l' obiettivo
principale di aggiornare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile
e di verificare lo stato di attuazione degli impegni internazionali
assunti negli ultimi anni, per raggiungere obiettivi comuni a favore di
uno sviluppo sostenibile globale. A tale appuntamento hanno partecipato
anche importanti organizzazioni ambientali come WWF, Greenpeace e
Legambiente.
Ma
l'appuntamento sul quale voglio soffermarmi maggiormente, è la
Conferenza di kyoto nel 1997, presieduta dai paesi firmatari
della conferenza di Rio del 1992, con la sottoscrizione di un protocollo
entrato in vigore definitivamente nel febbraio del 2005 dove è
stato definito l' impegno di tutti i paesi firmatari a ridurre
complessivamente, entro il 2012,del 5,2% rispetto ai livelli del 1990,
le principali emissioni di gas capaci di alterare il naturale effetto
serra del pianeta.
Le cause che piu' aggravano l'aumento dei
gas effetto serra sono le emissioni di inquinanti in atmosfera specie
nei grandi poli industriali. L'uso eccessivo di combustibili fossili
per usi energetici e la gestione dei rifiuti inadeguata (mancanza di
differenzazione durante il processo di incenerimento dei rifiuti e
scorretto utilizzo delle discariche per i rifiuti solidi) hanno causato
danni molto gravi all'ecosistema del pianeta come l' innalzamento
della temperatura globale della terra con
conseguente graduale scioglimento dei ghiacciai perenni.
Per rispettare le direttive del Protocollo,
si sta cercando di andare in una direzione piu' ecosostenibile per la
produzione del fabbisogno energetico mondiale favorendo le
bioenergie ai combustibili fossili e favorendo uno
sviluppo economico locale sostenibile, in quanto le filiere di
utilizzazione energetica sono strettamente legate al territorio, senza
pero' compromettere la “capacità di carico
dell’ambiente”, cioè su quella capacità che ha l'ambiente stesso di
autoriprodursi scongiurando cosi' il depauperamento delle sue risorse
naturali e la sopravvivenza degli ecosistemi.
A livello europeo i punti trattati nel
Protocollo di kyoto sono stati delineati nella Direttiva RES(Renewable
Energy Sources) introdotta dalla
Comunità europea nel 2009, con un meccanismo di certificazione che
garantisce la regolamentazione e l'utilizzo delle energie rinnovabili,
in modo tale da raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni
CO2, anche dopo il 2012.
3.
Utilizzo
delle bioenergie e Gestione integrata dei rifiuti e norme attuative:
La possibilità di utilizzare le bioenergie
all'interno del sistema di produzione del fabbisogno energetico mondiale
ha permesso l'introduzione di una diversa organizzazione della gestione
integrata dei rifiuti. Queste nuove potenziali risorse, che in
precedenza venivano semplicemente raccolte e smaltite nelle discariche
comunali, gestite attraverso questa nuova metodologia basata su semplici
regole comportamentali costituite da quattro fasi principali, ovvero la
raccolta del rifiuto, la sua differenzazione, il riciclaggio ed infine
il suo possibile riutilizzo, possono fortemente contribuire alla
diminuzione di gas effetto serra. Un esempio importante da prendere in
considerazione è il processo di fermentazione anaerobica dei rifiuti
solidi organici che, in assenza di ossigeno, comporta lo sviluppo di
Biogas.
Attraverso un processo di raffinazione dello
stesso, si puo' arrivare ad una concentrazione di metano pari al 95%,
dando origine al Biometano. Il primo è utilizzabile per la produzione
di energia termica ed elettrica, mentre il secondo utilizzabile nei
veicoli al pari del gas naturale. La combinazione di nuove regole
comportamentali e nuovi metodi per produrre energia pulita, ha portato
ad una consapevolezza sempre maggiore di considerare il rifiuto stesso
non come scarto da portare allo smaltimento, ma come materia prima
secondaria da riutilizzare per scopi energetici.
Così, le azioni rivolte alla
prevenzione della produzione dei rifiuti, al miglioramento della
qualità di quelli raccolti (con appropriata differenziazione), al
riciclo dei materiali e al loro riutilizzo per usi energetici ne hanno
migliorato il ciclo vita. Massimizzando tale processo, che permette lo
sfruttamento del rifiuto per la produzione di energia pulita, viene
drasticamente diminuita la quantità di prodotto non recuperabile, in
termini stretti quello che potremmo considerare il vero e proprio
rifiuto.
Questa parte considerevolmente ridotta
sarà ciò che rimane del processo di riciclaggio da inviare alla
discarica, momento finale di questo percorso. Per monitorare il ciclo di
vita dei rifiuti, nasce
nel 2009 il SISTRI su iniziativa del Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare.
Esso
permette l'informatizzazione telematica dell'intera filiera dei rifiuti
speciali con il controllo della tracciabilità del rifiuto stesso
dall'origine alla sua destinazione finale(smaltimento o riutilizzo) e
che va a sostituire tutta la documentazione cartacea usata in
precedenza quale: registro di carico e scarico rifiuti, il modello unico
di dichiarazione ambientale(MUD) e il formulario rifiuti. Attualmente, è
stato temporaneamente messo in disuso per problemi informatici e
ripristinato dal cartaceo, ma con l'impegno di riorganizzare quanto
prima questo sistema all'avanguardia.
Grazie a questo nuovo approccio di gestire il rifiuto, sono state
emanate nuove leggi a livello comunitario quindi a livello nazionale
che si basano su una migliore integrazione tra politica industriale e
politica ambientale, come fattore determinante della competitività.
In particolare, nella materia dei rifiuti,
gli obiettivi comunitari si concentrano prevalentemente su quattro
punti:
-promozione della prevenzione e della minimizzazione dei rifiuti
-rafforzamento della capacità delle istituzioni nella gestione degli
stessi
-massimizzazione del recupero e del riciclaggio
-riduzione della quantità da avviare a smaltimento
3.1.
Decreto
Ronchi e T.U.
A tal proposito gli argomenti trattati in
precedenza sono stati ben definiti in Italia dal Decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22 (meglio noto con il nome di “Decreto
Ronchi), emanato in attuazione delle dette direttive comunitarie
91/156, 91/689 e 94/62, ha sostituito il D.P.R. n.
915/1982, costituendo la normativa “quadro” in materia di rifiuti. Con
tale decreto è stata adottata una impostazione innovativa rispetto alla
previgente normativa: vengono dettate, cioé, norme volte ad integrare le
politiche di tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo con le regole
di mercato, visto che la politica ambientale doveva tener conto anche
di esigenze di natura economica, quali: il contenimento del costo dei
servizi; il recupero economico di sostanze riutilizzabili; il risparmio
energetico, ecc.
Diversamente dalla vecchia normativa, - che
privilegiava la distruzione finale del rifiuti e solo in via del tutto
marginale il loro avvio al recupero-, il decreto legislativo n. 22 del
1997 capovolse la situazione, ponendo l’accento sulla “gestione”,
basata su attività finalizzate al “recupero” (anche energetico) e, solo
residualmente, alla distruzione o “smaltimento” finale (artt. 4 e 5). Il
rifiuto, cioè, non viene più considerato come un <<residuo>>
dell’attività umana “abbandonato o destinato all’abbandono” (definizione
del DPR 915, art. 2), da avviare a distruzione in discarica o all’
incenerimento, ovvero a parziale riutilizzo (ad es., tramite trattamento
di compostaggio); il rifiuto, per la nuova legge, rappresentava una
risorsa da utilizzare, finché è possibile, o tal quale, ovvero
trattata: il rifiuto, cioè, costituiva “materia prima” da reinserire nel
ciclo economico e produttivo.
Per fare ciò, sono state individuate delle
attività finalizzate, come accennato, principalmente alla valorizzazione
ed al recupero dei rifiuti, fra le quali va ricordata l’<<informazione>>
al pubblico sulle attività di gestione (raccolta, recupero,
smaltimento), sia come attività di prevenzione , sia come strumento di
conoscenza e di indirizzo delle utenze (informazioni sul ciclo dei
rifiuti, sul loro concreto riutilizzo, sulle modalità di smaltimento,
ecc.) (art. 4, c. 3).
Si è detto che il nuovo sistema del
“Ronchi”si basava non più sullo smaltimento-distruzione del rifiuto,
bensì sulla gestione. Ciò implicò uno spostamento della centralità di
interesse non già sulla presenza di una adeguata rete di impianti di
smaltimento – com’era in vigenza del D.P.R. n. 915/1982 -, ma sui
problemi gestionali dell’intero ciclo di vita dei rifiuti, del quale lo
smaltimento rappresenta il momento conclusivo, riservato in via
residuale alle frazioni non più recuperabili (art. 5, c.1).
Momento fondamentale divenne, pertanto,
l’attività di prevenzione (art. 3), costituita da un complesso di azioni
dirette, a ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti , - lo
sviluppo di tecnologie pulite, che consentano un maggiore risparmio di
risorse naturali (art. 3, c. 1, lett. ) e massimizzare il recupero
delle frazioni riutilizzabili (art. 25 ed art. 42). Quindi, Il nuovo
sistema - che in fase attuativa risultava più complesso del precedente -
si fondava sulla cooperazione e sulla responsabilizzazione di tutte le
parti in causa, nel rispetto dei principi comunitari di <<chi inquina
paga>> e della <<responsabilità condivisa>>.
Oggi la materia
dei rifiuti è disciplinata nella Parte IV del T.U.
sull’ambiente, approvato con il Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152. che
ha sostituito, abrogandolo, il precedente decreto Ronchi, e da'
una visione piu' ampia e accurata riguardo la gestione dei rifiuti
comprendendo una serie di attività (o fasi) che vanno dalla “raccolta”,
al “trasporto”, al “recupero” , allo “smaltimento finale” ed al
controllo di tali attività (art. 183, c. 1, lett. d). Per comprendere
meglio la nozione di “gestione” è necessario conoscere
cosa la legge intende per rifiuto.
Infatti attraverso l’identificazione
delle specificità del rifiuto e la sua classificazione è possibile
determinarne le modalità gestionali, rispettando le disposizioni
normative
La definizione di “rifiuto” data dal nuovo
T.U. (art. 183, c. 1, lett. a) ricalca quella del precedente
decreto Ronchi. Viene definito rifiuto:
<<qualsiasi
sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate all’Allegato A
alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o
abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi>> . (Fonte:
pubblicazioni varie sulla gestione dei rifiuti).
4.
LA
BIOENERGIA
Da questa serie di normative, atte a
migliorare il ciclo di vita del rifiuto, si deduce di come esso possa
essere riciclato o riutilizzato come recupero energetico. Infatti tra le
materie prime secondarie di nuova concezione, che piu' si prestano a
tale scopo sono ad esempio, i rifiuti alimentari di tipo organico ,
con cui si produce il Biogas e il Biometano, provenienti, come abbiamo
già detto, dal loro processo di fermentazione anaerobica e l'olio
esausto proveniente dalla frittura dei cibi (used cooking oil - UCO)
per la produzione di biodiesel.
La
bioenergia, grazie all'utilizzo di queste risorse è in grado di
soddisfare in modo sostenibile la futura domanda di approvvigionamento
energetico. Essa rappresenta, a livello mondiale, la fonte piu'
importante per la produzione di energia elettrica, di energia termica e
di energia combustibile ad uso autotrazione (biocarburanti nel settore
dei trasporti). Nel corso degli anni si è diffusa l'importanza di tale
risorsa tra i vari Paesi, prediligendo la valorizzazione energetica dei
vari tipi di Biomasse, che si definiscono come la frazione
biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica
provenienti dall'agricoltura( comprendente sostanze vegetali e animali),
dalla silvicoltura, e dalle industrie connesse(pesca e acquacoltura e
stralci di potature del verde pubblico e privato) nonchè la parte
biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.(Dlg. 28/2011, art. 2
lettera E). (Fonte:
a.a. 2011/12 - Fonti
energetiche rinnovabili – E. Moretti)
Oltre alla definizione sopra indicata, si
possono distinguere due grandi categorie ben precise di biomasse:
Biomasse solide (Residui forestali,
agricoli e solidi urbani organici per la produzione di energia termica,
biocombustibili e biogas): vengono utilizzate per lo piu' per la
produzione di energia termica direttamente da residui di varia natura
quali il legno da potature boschive o residui di segherie come il
cippato, dalle vinacce che sono scarti delle operazioni di pigiatura e
torchiatura dell'uva, che dopo opportuna essiccazione, hanno un buon
potere calorifico, dal pellet ottenuto dalla sfibratura dei residui
legnosi e compattato in seguito per pressione, la sansa di oliva che
rappresenta lo scarto di lavorazione dell'olio di oliva e utilizzato
come ottimo combustibile, ecc.
Un ulteriore utiizzo riguarda la produzione
di bioetanolo ottenuto dalla fermentazione zuccherina o amidacea della
canna da zucchero, dal mais, o dalle vinacce utilizzato nel settore
autotrazione, al posto della benzina.
Biomasse liquide (olio vegetale e reflui
zootecnici e urbani per la produzione di Biocarburanti, Bioliquidi e
biogas) che a loro volta si possono distinguere in:
-Bioliquidi usati per fini energetici
quali: riscaldamento, raffreddamento, produzione di elettricità o come
combustibile per impianti di cogenerazione o trigenerazione (Olio
vegetale puro, biometano, biomassa solida)
-Biocarburanti: carburanti liquidi o
gassosi, usati per autotrazione (Biodiesel da oli vegetali ad uso
alimentare, colza, soia, palma, ecc...) e non alimentare (Jatropa Curcas
o Tabacco energetico, alghe, ecc...), biodiesel da oli esausti
provenienti dal setttore della ristorazione (UCO) e Biogas dalla
fermentazione anaerobica dei rifiuti urbani.
4.1.
Breve storia
dei Biocarburanti
I Biocarburanti nascono e si sviluppano con
le automobili; nel 1853 gli scienziati E. Duffy e J. Patrick realizzano
la trans-esterificazione dell'olio vegetale per dare vita al Biodiesel.
L'utilizzo di tale biocarburante fu reso
noto soltanto all'Esposizione mondiale di Parigi nel 1898 quando il
ricercatore tedesco Rudolf Diesel lo provo' per alimentare il propulsore
omonimo di sua invenzione costruito cinque anni prima nel 1893. Da
allora viene celebrata in data 10 agosto di ogni anno " la giornata
mondiale del biodiesel" anche se per la verità lo scienziato adopero'
per le sue prove in pubblico puro olio di arachidi.(fonte ecoage.com)
Cosi', nel corso degli anni questa
invenzione innovativa fece si' che tra i vari paesi si concretizzasse
l'idea dell'uso sostenibile di tale risorsa naturale.
Come accennato in precedenza, la direttiva
2009/28/ CE(RES), rappresenta a livello europeo, il documento principale
per l'attuazione degli obiettivi di riduzione da combustibili fossili
per usi energetici, con la promozione delle fonti rinnovabili
alternative. L'obiettivo vincolante che deve raggiungere l'Europa entro
il 2020, è quello della riduzione del 20% dei gas effetto serra,
l'aumento del 20% del risparmio energetico e un aumento del 20% di
energia prodotta da fonti rinnovabili. Le fonti di energia rinnovabile
che contribuiscono alla riduzione dei gas effetto serra e che devono
essere incentivate sono: energia eolica, fotovoltaica, idroelettrica,
geotermica, biomasse, biogas. Bioliquidi e biocarburanti.
Riguardo questi ultimi, vengono
regolamentati con la direttiva 2009/30/CE, che integra la precedente e
che riguarda nello specifico i criteri di sostenibilità dei
biocarburanti e bioliquidi.
Tale decreto,
così come la direttiva che recepisce, è volto a definire le specifiche
relative a benzina, combustibile diesel e gasolio e ad introdurre un
meccanismo inteso a controllarne le emissioni di gas a effetto serra.
È proprio
nell’ambito degli obblighi di riduzione delle emissioni di gas effetto
serra a cui sono tenuti ad adempiere i fornitori di carburanti fossili e
di miscelazione di questi ultimi con biocarburanti, che emerge il
principio di sostenibilità. -L’articolo 1 comma 6 del decreto, che
modifica l’articolo 7 del decreto legislativo 21 marzo 2005 n.66,
introduce (art. 7-ter) i “criteri di sostenibilità per i biocarburanti”.
I biocarburanti devono assicurare grazie al loro utilizzo, un risparmio
di emissioni di gas a affetto serra ed è stata individuata una soglia
minima di risparmio di tali emissioni prodotte nell'intero ciclo vita
specificando la Rintracciabilità della materia prima al prodotto
finito (dalla coltivazione del seme, alle fasi di lavorazione, al
trasporto e alla produzione finale del biocarburante) rispetto a quelle
causate dal corrispondente combustibile fossile convenzionale di
riferimento.
Il calcolo che
tiene conto di tutti questi valori, determina l'indice di sostenibilità
ed è chiamato GHG saving che deve essere pari, almeno al
35%. al 2012. Tale risparmio dovrà poi ulteriormente ridursi sino al 50%
a decorrere dal 1 gennaio 2017 ed al 60% dall’anno successivo. Per far
si' che gli operatori economici rispettino tale obbligo, deve eesre pure
compreso nel calcolo del GHG saving, la provenienza della materia
prima coltivata sia all'interno che all'esterno della Comunità Europea,
la quale non deve provenire da terreni con elevato stock di
carbonio(zone umide, zone boschive continue) o che presentino un elevato
grado di biodiversità(foreste primarie, terreni erbosi naturali).
Il recepimento
italiano dei decreti comunitari sopracitati, è stato il Dlgs. Del 3
marzo 2011, entrato in vigore il 29/03/2011.
A
livello nazionale la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili
sul consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2020 e' pari a
17%.
Nell'ambito dell'obiettivo, la quota di
energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto dovra'
essere pari almeno al 10% del consumo finale di energia nel medesimo
anno.(Fonte: Direttiva 2009/28/CE e 2009/30/CE)
4.2.
Sistemi di certificazione nazionale e comunitaria:
L'8
febbraio 2012, al fine della verifica dei criteri di sostenibilità di
tutti gli operatori economici appartenenti alla filiera di produzione di
biocarburanti
è entrato in vigore il Decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare, di concerto
con
il
Ministro dello Sviluppo Economico e il Ministro delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali,(Decreto
ministeriale del 23 gennaio 2012)
che ha istituito in Italia il "Sistema di certificazione nazionale
della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi".
Le aziende
produttrici nazionali, devono essere certificate da enti qualificati che
controllano i requisiti richiesti di sostenibilità e il loro
mantenimento lungo tutta la filiera, con rilascio di certificato di
conformità. Queste visite ispettive vengono fatte periodicamente da
questi organismi certificati, per verficare di volta in volta il
corretto funzionamento del sistema.
Il Decreto stabilisce che i produttori di
biodiesel e bioliquidi, utilizzati per il trasporto e per la produzione
di energia elettrica e termica, debbano ottenere la certificazione che
attesti il rispetto dei criteri di sostenibilità e rintracciabilità del
processo produttivo e di bilancio di massa, consentendo di verificare
l'effettiva riduzione di CO2. La certificazione, è obbligatoria per
avere accesso al sistema degli incentivi e deve essere rilasciata da un
Organismo di terza parte qualificato da ACCREDIA, ente
unico di accreditamento nazionale, che stabilisce
a fronte della norma UNI CEI EN 45011:1999
i "Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di
certificazione di prodotti". In Italia SGS, è un ente accreditato
a tale scopo.
A livello
comunitario vi sono altri enti a cui si puo' fare riferimento quali: la
BUREAU VERITAS, francese, che adotta uno schema volontario, il
2BSvs(Biomass Biofuels voluntary
scheme) ideato in collaborazione con
un consorzio di produttori agricoli francesi.
In Germania, l’Agenzia
federale tedesca per l'agricoltura e l'alimentazione ha riconosciuto
altri due sistemi di certificazione volontaria che sono:
•
ISCC
("International Sustainability and Carbon Certification"), promosso dal
ministero dell’agricoltura, come schema nazionale tedesco.
•REDCert,
nata da organizzazioni private ed associazioni appartenenti alla
filiera agricola tedesca ed al settore della produzione dei
biocarburanti. Tutti questi sistemi volontari di certificazione, sono
stati approvati dalla Commissione Europea essendo in linea con i criteri
di sostenibilità dei biocarburanti e possono certificare gli operatori
economici del settore di tutti gli stati membri.
(Fonte Assocostieri.it e Centro
studi APER-REEF a cura di Cosetta Vigano).
Oggi ,le aziende
produttrici di beni e servizi, sono certificate con un sistema di
gestione ambiente qualità e sicurezza(SGAQS) con lo scopo di ottenere
un miglioramento continuo di tutte le attività a tutti i livelli
aziendali. Per gli operatori del settore biocarburanti tale sistema di
gestione va a integrare gli obiettivi recepiti nell'ambito della
sostenibilità, i cui contenuti sono descritti nel manuale della
sostenibilità che ha come scopo quello di definire un sistema di
Rintracciabilità che permetta, ad esempio, di identificare
l’origine delle materie prime, documentare il flusso d’informazioni che
dalle materie prime conduce al prodotto in uscita lungo l’intera filiera
produttiva, definire il lotto di Sostenibilità, definito come la
quantità di un prodotto, definita dall’azienda, che garantisce la
rintracciabilità dello stesso ai fini della valutazione del rispetto dei
requisiti di sostenibilità fissati dalla Direttiva RES, gestire il
bilancio di massa definito come il sistema nel quale le informazioni
sulle caratteristiche di sostenibilità, rimangono associate alla
partita, il calcolo dell'indice di sostenibilità (GHG saving)
ecc.
4.3.
Vantaggi dei biocombustibili:
I
biocombustibili, come già detto possono essere liquidi o gassosi; essi
sono definiti “rinnovabili” non solo perché prodotti da fonti
rinnovabili, ma anche perchè le emissioni di CO2 derivanti dal loro
utilizzo sono riassorbite, in tempi brevi, dalle colture da cui si
ottiene la materia prima per la loro produzione. L’uso dei
biocombustibili consente una riduzione significativa di emissioni
inquinanti rispetto al diesel minerale di origine petrolifera, e hanno
la caratteristica di essere a basso impatto ambientale.
Quelli piu' in
uso oggi, sono i biocombustibili liquidi(biodiesel e bioetanolo)
essendo piu' facilmente utilizzabili rispetto ai gassosi; nello
specifico il biodiesel, ottenuto da oli vegetali come soia, colza e
girasole, è un prodotto naturale utilizzabile come carburante in
autotrazione e come combustibile nel riscaldamento, con le
caratteristiche indicate rispettivamente nelle norme UNI 10946 ed UNI
10947.
Esso ha una
serie di vantaggi per l'ambiente molto significativi e la Comunità
Europea tende ad incentivarli sempre piu' allo scopo di miscelarli col
gasolio fossile per uso autotrazione. Prima di tutto è un prodotto
biodegradabile,
non ha emissioni di biossido di zolfo
(SO2), dato che non contiene zolfo, se non in minima parte, non
contribuisce all’« effetto serra» poiché restituisce all’aria solo la
quantità di anidride carbonica utilizzata da colza, soia e girasole
durante la loro crescita, ha una buona efficienza energetica e buona
affidabilità nei motori, previene le incrostazioni avendo un ottimo
potere detergente, riduce le emissioni di CO2 del 35%, e dei idrocarburi
incombusti, del 20% in meno, ha un contenuto di ossigeno superiore al
10% migliorandone la combustione e un punto di infiammabilità piu'
alto(170°) rispetto al gasolio tradizionale(70°) il che' viene
tradotto in maggiore sicurezza nel trasporto e stoccaggio. L unico punto
critico quando viene usato in autotrazione
dipende dalla sua maggiore viscosità rispetto al diesel convenzionale
creando dei problemi nel suo impiego a causa di depositi che si possono
formare sugli iniettori dei motori; oggi pero' grazie alle nuove
tecnologie delle case automobilistiche si è cercato di ridurre al
minimo tale inconveniente.
Chimicamente,
il biodiesel è una miscela di esteri metilici di acidi grassi (FAME:
fatty acid methyl ester) che deriva da un processo di
esterificazione di oli vegetali con metanolo.
4.4. Processo di Reazione
Il processo di produzione del Biodiesel è
una reazione chimica basata sulla transesterificazione di oli vegetali
(colza,soia,girasole,e palma)con metanolo, il cui principale risultato è
la rottura delle molecole dei trigliceridi cioè degli acidi grassi degli
oli vegetali, e che sono alla base della loro viscosità, la cui azione
è accellerata da un catalizzatore, producendo da un lato biodiesel e
dall'altro glicerolo secondo la seguente reazione:
CH2-OOCR1
R1COOCH3 CH2OH
|
catalizzatore
|
CH -OOCR2
+ 3 CH3OH + -----------à
R2COOCH3 + CH-OH
|
CH3ONa
|
CH2-OOCR3
R3COOCH3 CH2OH
trigliceride
metanolo
esteri glicerina
In realtà la reazione avviene secondo un
processo a stadi in cui i trigliceridi sono convertiti
attraverso reazioni reversibili in Di poi in Mono
e infine in Glicerina.
In ogni stadio viene liberata una mole di
estere
Trigliceride + ROH ========
Digliceride + estere
Digliceride + ROH ========
Monogliceride + estere
Monogliceride + ROH ========
Glicerina + estere
Tale reazione è leggermente endotermica
pari a ca
35 Kcal / kg di olio in presenza di
catalizzatori basici o acidi. Inoltre la formazione finale del
sottoprodotto glicerina, non è considerato un rifiuto ma un prodotto
pregiato con una grande valorizzazione economica e decine di possibili
utilizzi nell'industria farmaceutica, alimentare e cosmetica.
Filiera del
Biodiesel

5.
OLIO
VEGETALE ESAUSTO-(UCO)
Nel corso degli anni, si è intensificata
sempre piu' la coltivazione di piante oleaginose di tipo alimentare
sia in Europa che nei paesi Extra-Europei;
tramite la fase di spremitura meccanica o chimica dei loro semi oleosi
si dà origine agli oli vegetali, per produrre il biodiesel((definito
di 1° generazione) sottraendo, pero', terreni
adibiti a colture intensive di tipo alimentare e causando delle
ripercussioni negative, constatate anche dalla Fao, riguardo la
sicurezza alimentare mondiale, la protezione dei contadini poveri e la
sostenibilità
ambientale. Successivamente si è constatato che far percorrere
migliaia di km ai prodotti destinati alla trasformazione in
biocarburante, si riduce qualsiasi vantaggio dal punto di vista della
sostenibilità ambientale a causa delle emissioni connesse al trasporto
dei prodotti agricoli, dai luoghi di produzione all’Italia. Per
risolvere questo delicato aspetto ambientale e per rispettare la
politica di riduzione delle emissioni di CO2, si cerca di incentivare
la ricerca e lo sviluppo di biocarburanti, derivanti da residui ligneo
cellulosici , da scarti alimentari o da rifiuti solidi urbani di tipo
organico.(definiti di 2° generazione).
Una alternativa
valida è rappresentata proprio dall'utilizzo dell'olio vegetale esausto
(UCO), utilizzato per produrre biodiesel, che risolverebbe le
problematiche accennate in precedenza. Infatti, essendo un prodotto,
cosiddetto, di filiera corta, tutte quelle operazioni che riguardano
la raccolta, la raffinazione e la trasformazione finale in biodiesel
verrebbero fatte localmente, con un notevole vantaggio per l'ambiente e
una notevole riduzione di emissioni di CO2 in atmosfera. eliminando o
diminuendo, principalmente, la fase di trasporto da un paese
all'altro. Il recupero di questi oli, è disciplinato dal Dlgs 3 aprile
2006, che prescrive l'obbligo di raccolta, recupero e riciclaggio degli
oli e grassi vegetali e animali esausti.
Secondo il testo definitivo della “Decisione
2000/532/CE”, l'UCO” è classificato all‟interno dell' ‟Elenco dei
rifiuti a livello comunitario e
recepito anche dalla normativa italiana,
nella categoria “20 Rifiuti urbani inclusi i rifiuti della raccolta
differenziata” con il codice “ 20 01 25: oli e grassi commestibili”.
Esso è assimilabile ai rifiuti urbani,
domestici e da attività commerciali, e viene definito come rifiuto
speciale non pericoloso ma può essere raccolto solo da imprese iscritte
all‟albo nazionale dei gestori ambientali e al registro provinciale per
lo stoccaggio. Inoltre la C.E., ha emanato altre direttive, come la
2008/98/CE, che privilegiano la prevenzione e il recupero dei rifiuti
per usi energetici.(Fonte: Conoe.it)
5.1.
Caratteristiche dell'UCO e impatto ambientale
L‟olio vegetale
esausto è il prodotto che deriva dalla frittura degli oli e grassi
vegetali e animali. Dopo la frittura l'olio vegetale alimentare modifica
la sua struttura polimerica originaria, si ossida e assorbe le sostanze
inquinanti dalla carbonizzazione dei residui alimentari. Una serie di
reazioni conduce alla formazione di numerosi prodotti di ossidazione e
di un gran numero di prodotti di decomposizione, sia volatili sia non
volatili. I prodotti volatili vengono perduti durante la frittura,
quelli non volatili si accumulano nell'olio; quest'ultimo, dopo un certo
numero di riscaldamenti, si deteriora e viene arricchito di sostanze
inquinanti derivanti dalla carbonizzazione dei residui al suo interno.
Se non viene
smaltito in modo appropriato, i rischi per l'ambiente sono molteplici;
l'immissione in ambiente degli oli
usati (quelli ad esempio utilizzati per friggere, molto spesso gettati
nel lavandino o negli altri scarichi domestici) è dannosa per vari
motivi. Inquina le acque superficiali, può penetrare nel terreno
impendendo l’assorbimento delle sostanze nutritive da parte delle radici
delle piante, nelle falde acquifere rende l’acqua imbevibile alterandone
il gusto, puo' arrecare danni notevoli ai depuratori influenzando
negativamente i trattamenti biologici e accumulato sulla superficie
dell’acqua può impedire gli scambi gassosi limitando l’ossigenazione
dell’acqua stessa.
5.2.
Il
CONOE
Il “Consorzio Nazionale di Raccolta e
Trattamento Oli Vegetali e Grassi Animali” è nato nel 1991 da
un accordo tra aziende raccoglitrici e aziende rigeneratrici di olio
vegetale usato. Successivamente grazie ad una normativa nazionale, il
Dlgs del 3 aprile 2006 n. 152 , che stabilisce l'obbligo della
raccolta, del recupero e del riciclaggio degli oli vegetali esausti. ha
iniziato praticamente la propria attività nel 2001. Gli obiettivi
principali sono quelli di ottimizzare la raccolta su tutto il
territorio nazionale e fornire alla propria clientela da un lato un
servizio capillare ed efficiente, dall’altro la garanzia di assoluto
rispetto della legislazione vigente. Grazie all'impegno e alla
consapevolezza di voler proteggere l'ambiente da un rifiuto altamente
inquinante che puo' essere smaltito in modo improprio, oggi il Consorzio
vanta un numero considerevole sia di associati che smaltiscono l'olio
esausto in maniera corretta e sia di aziende raccoglitrici e
rigeneratrici, che sono sparse per tutto il territorio nazionale.
Le tre fasi, regolamentate dal decreto del
3-04-2006, per far si' che tale rifiuto sia trasformato in risorsa
energetica, sono:
-Stoccaggio
-Raccolta
-Recupero
I produttori o detentori di oli di frittura
sono obbligati a stoccare tale rifiuto al consorzio obbligatorio o
alle aziende di raccolta incaricate a tale scopo.
Le aziende incaricate CONOE, provvedono a
raccogliere gli oli esausti da mense, ristoranti, friggitorie e isole
ecologiche,dove ogni cittadino puo' stoccare il proprio olio usato in
maniera corretta. Infine provvedono a stoccare il quantitativo raccolto
presso il proprio sito e previo controllo dello stato di non
pericolosità dello stesso, lo conferiscono alle aziende di recupero.
Queste aziende, iscritte nella rete
consortile di recupero, al momento del ricevimento dell'olio,
controllano prima di tutto, le specifiche di questa materia prima da
trasformare, con analisi di routine come: contenuto in acidità, presenza
o meno di saponi,percentuale di prodotti insolubili, presenza eventuale
di corpi estranei, umidità ecc.
Successivamente subisce dei trattamenti
specifici di filtrazione e decantazione, che possono essere fatti sia
dalle aziende di raccolta che da quelle di trasformazione, le quali
possono avere annesso all'impianto di produzione di biodiesel un
sistema del genere, prima di immetterlo nel processo di
esterificazione. C'è da dire, che quest'olio esterificato alla fine del
processo e usato per autotrazione vanta di una riduzione di CO2
maggiore del biodiesel da olio vegetale pari all'88% in meno,
rispettando piu' di ogni altro biocarburante i criteri di sostenibilità
ambientale. Oltre a questo uso, l'olio rigenerato puo' essere
utilizzato anche per scopi industriali come sostituto di lubrificanti,
detergenti emulsionanti e oli minerali.
Per tale scopo l'olio, oltre ai trattamenti
sopra descritti, subisce il processo di winterizzazione che consiste nel
far raffreddare l'olio a 8°-10° e poi fatto centrifugare. All'interno
di questa centrifuga avviene la separazione fisica dei cristalli dei
trigliceridi solidi formatisi, con il liquido, il quale viene filtrato
ulteriormente. L'eliminazione di questi cristalli impedisce all'olio di
intorbidirsi col freddo, rendendolo piu' fluido anche a basse
temperature.(fonte:http://www.ecorec.it/pag-olio.html
e CONOE.IT)

6.
Conclusione
Da queste considerazioni, si capisce di come
sia importante mettere in risalto l'impiego di biomasse liquide e
gassose di seconda generazione, incentivandone l'uso al posto dei
combustibili fossili.
Aumentando la produzione e l'uso di biogas,
biometano, e olio fritto si hanno due importanti ripercussioni positive
sull'impatto ambientale: il riciclo dei rifiuti prodotti localmente,
col riutilizzo della parte organica per fini energetici e la
stabilizzazione nell'atmosfera della concentrazione dei gas effetto
serra, obiettivo primario della Direttiva RES.
Da qualche anno, la produzione delle
rinnovabili per quel che riguarda la produzione di biodiesel da olio
vegetale, ha risentito delle problematiche causate dalla riduzione di
terreni adibiti a colture alimentari, facendo schizzare il prezzo della
materia prima troppo al di sopra dei prezzi di mercato normali,
costringendo alla fermata provvisoria, molti impianti produttivi nella
zona UE, visto che era diventato ormai antieconomico produrre a quelle
condizioni. In piu', l'inadeguata defiscalizzazione del prodotto finito
e la mancanza di incentivi capaci di poter far ripartire il sistema
produttivo, hanno permesso ai paesi extra-europei quali America,
Venezuela ecc. di importare biodiesel finito a prezzi ridotti per
continuarlo a miscelare al gasolio minerale, a discapito pero' del
sistema produttivo italiano.
Oggi, il Governo Italiano, consapevole del
problema,sta lavorando per far si' che nei prossimi mesi siano operativi
dei decreti che porranno una serie di certificazioni aggiuntive al
biodiesel prodotto extra Unione Europea, rendendo tale prodotto
difficilmente importabile e favorendo così la produzione di biodiesel da
impianti europei, infine verrà incentivato dal punto di vista
energetico, il biodiesel prodotto in Europa e i biodiesel prodotti a
partire da rifiuti o sottoprodotti(olio fritto), con l'intento di far
ripartire la filiera produttiva in Italia e non solo, la quale vanta
impianti e tecnologie di ultima generazione che ben si prestano a
produzioni ecocompatibili.
La condizione essenziale per proseguire
verso questa direzione ecologista è che ognuno di noi faccia la propria
parte con gesti quotidiani rispettosi dell'ambiente circostante, che le
aziende produttrici garantiscano l'effettiva sostenibilità delle
relative filiere produttive, ma soprattutto con queste azioni congiunte,
si cerca di preservare gli ecosistemi dagli agenti inquinanti, per noi
e per le generazioni future , affinchè vi sia un equilibrio armonico tra
l'uomo e la natura che ci ospita.
Giuseppe Cottone |