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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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  Gli Ecoreati nella Legge del 22 maggio 2015 n. 68

di Francesca Melara

 

Con la Legge 22 maggio 2015, n. 68 è stata ridisegnata la tutela penale dell’ambiente.

Nel nostro paese, nonostante le modifiche introdotte con il Testo unico ambientale del 2006 e il recepimento della Direttiva Comunitaria 2008/99/CE del 19 novembre 2008, con il decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 121, la disciplina risultava anacronistica rispetto al dilagarsi di quello che sotto gli occhi di tutti si configurava come un vero e proprio disastro ambientale e con l’affermarsi delle c.d. “ecomafie”.

Il recepimento della direttiva CE fu solo parziale, basti pensare al fatto che furono introdotte solo sei figure di “delitti”, tutte inerenti i rifiuti nonostante la stessa imponesse ai legislatori nazionali di prevedere, in materia ambientale, sanzioni “efficaci, proporzionali e dissuasive” in ordine ad ogni attività che potesse comportare un danno all’ambiente.

Pertanto, è solo la Legge 68/2015, che seppur non esplicitamente,  rinvia alla Direttiva Comunitaria 2008/99/CE del 19 novembre 2008, dandone finalmente piena attuazione ed integrando un evidente vuoto normativo.

La legge è composta da tre articoli ed introduce nel codice penale un nuovo titolo VI bis “Dei delitti contro l’ambiente”, che composto da 12 articoli prevede cinque nuovi delitti: Inquinamento ambientale (art. 452-bis), disastro ambientale (art. 452-quater), traffico ed abbandono di materiale radioattivo (art. 452 sexies), impedimento di controllo (art. 452-septies), omessa bonifica (art. 452-terdecies).

Solo le prime due figure di ecoreati possono essere commesse per colpa e in tali casi, l’art. 452-quinquies, prevede la riduzione delle pene da un terzo a due terzi.

Una ulteriore diminuzione di un terzo della pena è prevista per il delitto colposo di pericolo ovverosia quando dai comportamenti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater derivi il pericolo di inquinamento ambientale e disastro ambientale.

 

Inquinamento ambientale.

L’art. 452-bis introduce il c.d. “delitto di inquinamento ambientale” prevedendo una pena detentiva da due a sei anni e una multa sino a 100.000 euro per chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento: 1. delle acque e dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2. Di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora e della fauna.

Il reato si configura con la modifica in peius dell’equilibrio ambientale e potrà rinvenirsi tanto in una condotta attiva, quanto in una condotta omissiva, ovvero il mancato impedimento dell’evento da parte di soggetti in capo ai quali sussiste un obbligo di controllo.

 

Disastro ambientale.

L’art. 452-quater disciplina il reato di “disastro ambientale”, fornendo al contempo una precisa definizione della condotta punita che si configura in tre precise ipotesi : “1) alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; 2) alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.”.

La condotta in questo caso è punita con una reclusione che va dai cinque ai quindici anni.

La disposizione esclude che rientrino in tali fattispecie le ipotesi di danno c.d. “innominato” già disciplinate dall’art. 434 c.p..

Sul punto è bene evidenziare che la giurisprudenza, vista la laconicità del dettato dell’art. 434 c.p. e del concetto di “altro disastro” vi facesse rientrare, prima della riforma, tutti i fatti più gravi che riguardavano l’inquinamento ambientale, forzando l’applicazione di soluzioni interpretative di norme a fatti diversi da quelli per cui quelle norme erano state pensate e formulate nell’art. 434 c.p.

Pertanto, la norma raccoglie l’auspicio formulato dalla Corte Costituzionale che con sentenza n. 327/2008 invitava a tipizzare un'autonoma figura di reato in ordine al disastro ambientale.

 

Traffico ed abbandono di materiale radioattivo.

L’art. 452 sexies introduce il c.d. reato di “traffico ed abbandono di materiale radioattivo” prevedendo la reclusione da due a sei anni e una multa da euro 10.000 a euro 50.000 per chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività. Si tratta di un reato di pericolo e la stessa norma prevede poi un aumento di pena se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, ovvero  di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l'incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà.

 

Impedimento di controllo.

Il c.d. reato di “impedimento di controllo” è disciplinato all’ art. 452-septies che prevede, salvo che la condotta non integri un reato più grave, una reclusione dai sei a tre mesi per chiunque : “…negando l'accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l'attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro…”.

Se ad esempio l'ostacolo è posto con mezzi meccanici, in base al successivo art. 452-undecies deve esserne disposta la confisca.

Occorre precisare come la norma individui un’ipotesi di reato a sé stante e non un corollario alle figure precedenti, configurandosi ogni qualvolta sia ostacolato un campionamento o una verifica ambientale.

 

Omessa bonifica

L’ art. 452-terdecies introduce il c.d. reato di “omessa bonifica”, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da 20.000 a 80.000 euro chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi.

L'obbligo dell'intervento può derivare direttamente dalla legge, da un ordine del giudice o da una pubblica autorità.

 

Aggravanti.

L’ art. 452 octies prevede circostanze aggravanti, qualora il reato venga commesso in forma associativa, con pene aumentate da un terzo alla metà se dell'associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.

Lo scopo è senza dubbio quello di combattere il fenomeno delle ecomafie, che traggono profitti dalla criminalità ambientale.

L’  452-novies introduce invece la c.d. “aggravante ambientale”, che prevede un aumento di pena, qualora un fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal nuovo titolo VI del secondo libro del codice penale , dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente. L'aumento è invece di un terzo se dalla commissione del fatto derivi la violazione di disposizioni del citato Codice dell'ambiente o di altra legge a tutela dell'ambiente. Prevista, in ogni caso, la procedibilità d'ufficio.

 

Ravvedimento operoso.

Oltre sanzioni ed aggravanti, la nuova disciplina introduce all’art. 452-decies il c.d. “ravvedimento operoso”, il cui scopo è quello evidentemente di “premiare” chi: “…si adopera per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e …colui che aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell'individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.”.

 

Prescrizione.

Altra novità sulla quale appare opportuno soffermarsi è l’inasprimento della disciplina della prescrizione, che è stata raddoppiata rispetto alla formulazione dell’art. 157 comma 6 c.p..

Tale scelta è stata forse influenzata da quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione,  che con la sentenza n.7941 del 19.11.2014 ha così statuito : “Nel delitto previsto dal capoverso dell'art. 434 c.p., il momento di consumazione del reato coincide con l'evento tipico della fattispecie e quindi con il verificarsi del disastro, da intendersi come fatto distruttivo di proporzioni straordinarie dal quale deriva pericolo per la pubblica incolumità, ma rispetto al quale sono effetti estranei ed ulteriori il persistere del pericolo o il suo inveramento nelle forme di una concreta lesione; ne consegue che non rilevano, ai fini dell'individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine di prescrizione, eventuali successivi decessi o lesioni pur riconducibili al disastro. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che la consumazione del disastro doloso, mediante diffusione di emissioni derivanti dal processo di lavorazione dell'amianto, non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri e dei residui della lavorazione).”.

Pertanto, l’applicazione del termine prescrizionale nei nuovi delitti dovrà considerare con esattezza il momento nel quale possano dirsi integrati i requisiti previsti per la configurazione dei nuovi reati.

 

 Francesca Melara

 


 

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