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Nucleare. Energia del passato senza domani?

di Mirco Gigliotti

 

Centrale Nucleare Didcot Oxfordshire ENI potenti interessi economici e politici che ruotano intorno al nucleare non si sono mai sopiti, e anche in Italia sono tornati prepotentemente alla ribalta, sfruttando la crescente spinta all’utilizzo di energie più vicine all’ambiente e meno costose.                     

I fautori del nucleare affermano che le centrali, non immettendo nell’atmosfera l’anidride carbonica responsabile “dell’effetto serra”, siano il più valido sostegno alla lotta contro le alterazioni climatiche. Ciò che evitano di spiegare è il ciclo avvelenato del nucleare, i pericoli e i danni ambientali gravi che avvengono nelle fasi di funzionamento dei reattori, di trattamento e sepoltura dei prodotti di fissione e attivazione.

I reattori nucleari commerciali sono alimentati, quasi ovunque, da uranio separato dai suoi minerali. Prima di entrare nei reattori e generare elettricità, l’uranio è lavorato in impianti che separano la parte fissile (uranio 235) da un residuo, anch’esso radioattivo. L’uranio, così lavorato, è caricato nel reattore dove una parte libera energia sotto forma di calore, subendo “fissione”, un’altra parte da vita ad altri elementi radioattivi come il plutonio, pericolosi per la salute umana, ma ricercati dall’industria bellica[1], infatti, il plutonio può subire “fissione” liberando energia anche esplosiva. Tutti questi prodotti di fissione (i principali sono atomi di cesio, stronzio, iodio, e altre sostanze, che emettono radioattività per secoli) possono essere conservati dentro “tubi” estratti dal reattore nucleare dopo alcuni anni di funzionamento e seppelliti per evitare che entrino in contatto con acqua e aria.

L’energia nucleare non solo non può essere definita pulita, ma altresì non può essere definita economica, in quanto se conteggiassimo all’interno del costo dell’elettricità nucleare i costi indiretti, come i costi di smantellamento delle centrali, di sistemazione-stoccaggio, nel lungo periodo, del combustibile nucleare e delle scorie radioattive, oltre i possibili danni all’ambiente e alla salute, i costi lieviterebbero sino a divenire insostenibili (la campagna per combattere l’uso delle sigarette si è basata molto sui costi sociali del fumo, e prendendo in considerazione i costi degli interventi sanitari e le perdite di produttività causate dai lavoratori che si ammalavano, ha determinato l’aumento costante della spesa per i fumatori[2]).

Per capirne gli oneri finanziari ci possiamo trasferire in Finlandia, nell’isolotto di Olkiluoto, dove svetta il più grande reattore nucleare mai costruito e concepito al mondo, realizzato dal consorzio Franco-Tedesco Areva-Siemens - identico per potenza agli impianti che dovrebbero essere costruiti sul territorio Italiano. L’opera, partita nel 2005, doveva terminare entro il 2009, ma la conclusione dei lavori è stata spostata al 2012. Anche i costi sono lievitati, perché dai 3 miliardi previsti in avvio si è passati ai circa 6 miliardi attuali. Secondo l’ex Ministro dell’ambiente Finlandese Kimmo Tiilikainen, la sicurezza è il tasto più dolente, perché sono state riscontrate varie irregolarità, documentate dagli ispettori pubblici; ad esempio nel 2005 fu modificata, senza autorizzazione, la composizione del cemento alla base del reattore, e nel 2007 si scoprì che l’involucro del reattore era stato saldato, per mesi, senza i dovuti controlli[3].

Senza copiose sovvenzioni statali, il nucleare non è un valido investimento, e di questo se ne accorse persino la Lady di ferro Margaret Thatcher che nel 1992, durante le privatizzazioni del settore pubblico, mise sul mercato tutte le centrali di proprietà pubblica: carbone, gas e nucleari. Le vendette tutte tranne quelle nucleari.

Inoltre, l’Uranio è una risorsa sempre più rara e la produzione non è sufficiente a chiudere la forbice con i consumi (diagramma 1). Per soddisfare la crescente domanda molti paesi consumatori e produttori hanno iniziato a intaccare le cosiddette fonti secondarie di uranio ossia le scorte accumulate nei depositi (al momento l’apporto più consistente viene dallo smantellamento delle vecchie testate nucleari)[4]. Come risultato il prezzo dell’Uranio è aumentato sino a toccare i 115,50$ a libbra (circa mezzo chilo)[5], ed è destinato ad aumentare ancora. Con nuovi impianti la dipendenza aumenterà, andando ad alimentare nuovi conflitti per il controllo delle risorse energetiche, come ad esempio è stato (e lo è tuttora) per il Congo, impoverito e violentato a causa della generosità del proprio suolo, un paese gettato in una guerra per gli interessi di altri[6], anche in nome di tecnologie incerte, fatte passare per fonti pulite.  

Oltre ai costi, se analizziamo l’enorme mole di documenti, inchieste e prove, riguardanti i disastri che hanno alimentato la storia di questa tecnologia, definirla “sicura” è quantomeno eccessivo, inoltre, se le centrali nucleari sono così sicure per quale motivo non esistono Compagnie Assicurative disposte a stipulare una RC (Responsabilità Civile) per assicurarle? Forse proprio perché la casistica è ricca di scandali e incidenti.

Il 26 aprile del 1986 l’interruzione della circolazione dell’acqua di raffreddamento di uno dei 4 reattori nucleari (del tipo uranio-grafite) della centrale di Chernobyl (ex URSS oggi Ucraina), provocò un forte aumento della temperatura del nocciolo del reattore.

Molte delle parti strutturali fusero, la grafite prese fuoco e l’ondata di fumo sollevò in aria polveri contenenti i prodotti di fissione dell’uranio, la maggior parte dei prodotti ricadde al suolo, contaminando vaste estensioni di terra, decine di migliaia di persone furono esposte a dosi di radioattività tali da provocarne la morte e danni genetici irreversibili. Una parte di questo materiale fu trasportato nell’atmosfera verso l’Europa Centrale, per poi giungere anche in Italia[7]. I convinti nuclearisti minimizzarono la questione, puntando il dito sull’arretratezza di quel reattore, definito una roba “comunista”, con tanto di operatori ubriachi, mentre mai sarebbe potuto succedere un disastro del genere nell’occidente evoluto. Però, tornando ancora più indietro nel tempo, esattamente nel 1979, ci s’imbatte nella fusione del nocciolo del reattore americano di Three Mile Island (sia pure di diverso tenore e senza fuoriuscita di così tante sostanze radioattive), il più grave incidente nucleare avvenuto negli Stati Uniti. Molti reattori inglesi, così come quello in funzione a Latina, erano dello stesso tipo di impianto in uso a Chernobyl, moderati a grafite, ma raffreddati a gas, anziché ad acqua.

L’impianto di Chernobyl non era sorpassato e tantomeno rappresenta il solo caso di “incidente” accertato, se ne possono citare molti altri.

In Germania, in bassa Sassonia la situazione è gravissima perché il deposito di fusti radioattivi stoccati dentro una miniera di salgemma è minacciato da infiltrazioni di acqua salata[8], che ha cominciato a corrodere i fusti (in Italia volevano istallare un sito simile a Scanzano Ionico, vicino al mare, in Basilicata, praticamente in un giacimento di sale). In Francia la tv pubblica France 3 ha mostrato l’utilizzo delle scorie radioattive in prima serata[9], almeno 300 milioni di tonnellate di scorie radioattive sepolte nelle campagne o usate per costruire asili, scuole, parcheggi, campi da gioco, o affondate nell’Oceano Atlantico. In Giappone, omertà e carte false della “Tokio Eletric” hanno foraggiato lo scandalo delle falsificazioni. Nel 2002 sono stati posti sotto sequestro ben 17 reattori (su 55 totali nel paese), per aver falsificato i rapporti degli ispettori e per nascondere l’esistenza di crepe nelle caldaie pressurizzate dei reattori di varie centrali[10]. Il dossier di Greenpeace: “The toxic ship[11], racconta la storia dei container rinchiusi nel porto somalo di Eel Ma’aan, scatoloni metallici abbandonati dopo la guerra e sotterrati nel piccolo porticciolo, a dimostrazione del livello raggiunto dal traffico di rifiuti tra l’Europa e il continente africano, divenuto una sorta di pattumiera dei paesi industrializzati (quasi certamente motivo che ha originato l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Rovatin), per non parlare delle innumerevoli “carrette del mare”, affondate nel mediterraneo, e altrove, con sostanze tossiche e radioattive a bordo.

Quanto al ritorno in auge del nucleare, si deve invece far notare quanto questa “energia” così pulita ed economica non stia facendo furore. Osservando le statistiche dell’International Atomic Energy Agency[12] (ONU) si nota come, in Europa, dopo circa 20 anni di immobilismo, siano previsti soltanto due nuovi reattori, quello di Olkiluoto in costruzione e quello di Flamanville in Francia (vivo solo sulla carta). Rispetto ai nuovi impianti, numerosi sono quelli che verranno chiusi. Ad esempio nella stessa Francia è prevista la chiusura di ben 12 Centrali, e negli USA, dove Obama ha stanziato 8 miliardi per due nuovi impianti in Georgia (a fronte dei 160 miliardi stanziati per l’energia rinnovabile) verranno dismesse 28 centrali, stesso discorso per il Giappone, che ne dovrebbe avviare 1, chiudendone altri 5.

In tutto questo ci si chiede perché l’Italia debba tornare all’atomo e, soprattutto, perché la volontà dei cittadini, espressa con il referendum contro il nucleare del 1987, debba essere ancora violata. Certo è che il nuovo “Piano Nucleare” del Governo Berlusconi non pare abbia le basi così solide per portare avanti questo progetto. A oggi c’è incertezza sia sull’Agenzia Nazionale per la sicurezza nucleare sia sui siti che dovrebbero ospitare i nuovi reattori, i tempi si allungano e nessuno pare chiedersi chi gestirà questi nuovi impianti. Una delle sfide, infatti, sarà quella di trovare personale qualificato, e in Italia è pressoché inesistente la categoria di operai, ditte, manager, manutentori, ed esperti in ambito nucleare. Intanto ci consoliamo con l’eredità del precedente nucleare: 4 reattori, diversi impianti per la fabbricazione e trattamento del combustibile nucleare, depositi di materiali tossici radioattivi e barre di combustibile irraggiato, svariate migliaia di fusti di scorie radioattive situati all'interno delle vecchie centrali ecc[13]. Senza calcolare che i soldi che occorrono per smantellare un impianto nucleare sono 2-3 volte superiori ai soldi che occorrono per costruirlo.

Non abbiamo bisogno di produrre più energia, ma abbiamo bisogno di rendere produttiva l’energia che già generiamo, riducendone, innanzitutto, gli sprechi.

 

[1] Tratto dalla rivista: “L’Ecologist – Italiano”, n. 5 2006. Capitolo “Le centrali nucleari non sono pulite” Pag. 77.

[2] Sustaining State Programs for Tobacco Control: Data Highlights - 2006, Atlanta”. Realizzato dal Center for Deseases Control and Prevention, Governo degli Stati Uniti.

[3] Tratto dall’articolo dell’Espresso: “Bluff Nucleare” del 20 Maggio 2010.

[6] Reportage “Congo, l’uranio dietro la guerra” di Daniele Mastrogiacomo, 16/11/2008 – http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/16/congo-uranio-dietro-la-guerra.html

[7] Tratto dalla rivista: “L’Ecologist – Italiano”, n. 5 2006. Capitolo “Le centrali nucleari non sono sicure” Pag. 74-75.

[9] Video documentario trasmesso dall’emittente Francese “France 3” nel 2009: http://programmes.france3.fr/pieces-a-conviction/?page=accueil&id_rubrique=5 - x il video vedere: http://www.youtube.com/watch?v=RiJESPdLXpA&feature=player_embedded

Mirco Gigliotti

 


 

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