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Energia "pulita":TECNologie alternative e impatti ambientali

di Rossana Bagnasco 

 

Oggi si parla spesso di tecnologie alternative (agli idrocarburi) come possibile soluzione per la produzione di energia con un impatto minimo sull’ambiente e sulla salute umana. Le più note sono i generatori eolici e i pannelli fotovoltaici, che sfruttano il vento e il sole ma esistono anche le centrali a biomassa, a turbogas e i termovalorizzatori che producono energia con la combustione di materiale di scarto proveniente da attività agroforestali, di gas naturale, di rifiuti.

In questo articolo si è cercato di fare una sintetica panoramica su queste tecnologie mettendo in luce oltre che i pregi noti a molti, gli impatti che possono avere sull’ambiente se il loro impiego non tiene conto delle reali esigenze della popolazione, delle condizioni e caratteristiche del territorio dove si vanno a realizzare le opere e degli effetti della loro messa in funzione. Non va mai dimenticato che anche un’ottima tecnologia se usata senza criterio si trasforma da possibile soluzione a nuovo problema. Un po’ come se una persona assumesse una nuova medicina che si dice miracolosa per curare un malessere, senza nemmeno leggere le avvertenze e le modalità d’uso.

 

Parchi eolici

Lo sfruttamento di energia eolica e solare avviene con tecnologie cosiddette “pulite”, cioè che non producono inquinamento atmosferico o idrico. Tuttavia non sono prive di impatto ambientale, soprattutto se la loro applicazione viene lasciata in preda alle leggi del perseguimento del solo profitto, derivato dalle consistenti possibilità di incentivo ma senza una severa e oculata regolamentazione.

Un esempio di questo rischio (casi di sconsiderata applicazione di un’ottima tecnologia) è l’eolico, di cui negli ultimi anni si è parlato molto, come della nuova frontiera dell’energia pulita per l’Italia che, come sappiamo, di vento, come di sole, è assai ricca. Gli incentivi statali di cui gode l’eolico sono la vendita di Certificati Verdi e la Tariffa Onnicomprensiva. I primi sono emessi dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici), su richiesta dei produttori di energia da fonti rinnovabili, e possono essere rivenduti da questi ultimi a quelle aziende che hanno l’obbligo di produrre una certa quota di energia da fonte rinnovabile; la seconda è una tariffa di ritiro da parte del GSE e include sia l’incentivo sia la remunerazione derivante dalla vendita dell’energia immessa nella rete elettrica. Il periodo di incentivazione dura 15 anni. Come conseguenza, gli impianti e le torri eoliche si sono moltiplicate sul territorio e sono presenti in diversa misura in molte regioni, addirittura in “parchi” eolici detti anche fattorie del vento.

Purtroppo questi aerogeneratori hanno un impatto ambientale molto più pesante di quello che si crede. Lo stesso Ministero dell’ambiente, sebbene ne sottovaluti l’importanza, individua alcune tipologie di impatto, sia positivi che negativi, di seguito elencate:

1. occupazione del territorio;

2. variazione al paesaggio;

3. emissioni acustiche;

4. interferenze elettromagnetiche;

5. disturbo all'avifauna stanziale e migratoria;

6. produzione di energia da immettere direttamente sulla rete locale (impatto positivo);

7. disponibilità di potenza direttamente vicino ai centri di carico locali (impatto positivo);

8. emissioni inquinanti evitate dalla sostituzione di una quota parte del parco termoelettrico (impatto positivo).

L’impatto sul paesaggio è facilmente intuibile viste le dimensioni gigantesche delle torri (fino a 70/130 m di altezza) ed è difficilmente risolvibile; l’occupazione del territorio è effettivamente ridotta, visto che la struttura si sviluppa principalmente in altezza, ma il vero problema sono i lavori di sbancamento per la messa in posa delle imponenti fondamenta in calcestruzzo armato e dei plinti di ancoraggio che per resistere alle oscillazioni e vibrazioni dovute all’effetto del vento su tutta la torre, devono essere collocati a grande profondità.

Si prendono qui come esempio i dati riportati in una valutazione di impatto e di incidenza ambientale di un parco eolico in Abruzzo[1]. Per una torre eolica di 79 m di altezza e 93 m di diametro del rotore, si usa un plinto a pianta ottagonale iscritto in un quadrato delle dimensioni 14m x 14m e dell’altezza di 2 m. Per il montaggio dei singoli aerogeneratori è necessaria la costruzione di piazzole di circa 40m x 22m, che in fase di esercizio verrebbero ridotte a 400 m2, e la realizzazione di un’area di stoccaggio di 1 ettaro, ottenuta mediante sbancamento e poi riportata allo stato “ante opera” a fine lavori. A questo si aggiunge la costruzione di una cabina di trasformazione MT/AT (alta tensione / media tensione) su una superficie di 4.300 m2 con movimenti di terra di circa 2.700 m3 di scavo e 3.200 m3  di riporto. Altro necessario intervento è la costruzione delle linee di collegamento alla rete di trasmissione nazionale, e la messa in posa di cavidotti interrati, con una lunghezza complessiva di quasi 19.000 m, per le connessioni elettriche fra gli aerogeneratori e la sottostazione di trasformazione. Le pale eoliche previste in questo progetto sono 10. In fase di costruzione del parco sarà trasformata in cantiere un’area di circa 88.000 m2 , che sarà ridotta a fine lavori a 25.000 m2 .

E’ intuibile che interventi di questa portata abbiano effetti pesantissimi sul suolo, sulla fauna, e sulla flora ad esso legate. Inoltre dovranno essere appositamente create, se non esistono già, oppure modificate e ampliate, le strade che permetteranno il passaggio dei mezzi pesanti necessari per il trasporto dei materiali e per i lavori di impianto e che, come abbiamo imparato a nostre spese, aggravano il dissesto idrogeologico del territorio e provocano un’alterazione definitiva degli ecosistemi del posto. Sebbene la legge italiana preveda l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi a fine attività, i costi di rimozione di questi enormi aerogeneratori e delle fondamenta sarebbero molto elevati e quindi, si teme, difficilmente messi in atto nella realtà. Può essere utile sottolineare che parlare di “ripristino dello stato dei luoghi” non è molto realistico in questi casi poiché un habitat è composto essenzialmente da esseri viventi e territorio in equilibrio fra loro. Una volta distrutto questo equilibrio, essere intervenuti  pesantemente sul territorio, aver allontanato la componente faunistica e rimosso quella vegetale, è impossibile ricreare la situazione preesistente.  Non si tratta di una macchina che anche se smontata, poi torna come prima. Col tempo si creerà un equilibrio nuovo ma non è detto che abbia lo stesso valore naturalistico di quello che è andato perduto.

Per quanto riguarda il terzo punto, si tende anche in questo caso a sottovalutare il problema: il rumore di fondo della turbina, può generare disturbi alla salute umana ma si ritiene trascurabile se l’aerogeneratore viene collocato ad una certa distanza dalle abitazioni. Tuttavia è noto che il suono, portato dal vento, può percorrere distanze non trascurabili. Inoltre sembra che siano emessi anche alti livelli di infrasuoni che, pur non essendo udibili dall’orecchio umano, possono avere effetti pesanti sul corpo. Secondo Alec N. Salt, del Laboratorio di Ricerca sui Fluidi Cocleari dell’Università di Washington in St. Louis[2], le persone che vivono vicino alle turbine eoliche possono manifestare sintomi come perdita di equilibrio, sensazione di ronzio, tintinnio o fischi alle orecchie, e disturbi del sonno (risvegli frequenti parziali o totali, impossibilità di riposare bene) che generano stress e, se prolungati nel tempo, possono avere gravi ripercussioni sulle condizioni psicofisiche dell’individuo.

Un altro effetto collaterale della presenza delle torri eoliche sembra essere il disturbo ai radar per il controllo del traffico aereo[3].

Numerose associazioni ambientaliste come Italia Nostra, LIPU, WWF etc., hanno lamentato il pesante impatto negativo che le pale hanno sull’avifauna sia stanziale che migratrice e sui chirotteri, riferendo percentuali di mortalità di queste specie molto più elevate di quelle ammesse dai sostenitori dell’eolico[4]. Senza contare che se una specie è considerata rara o a rischio di estinzione, anche la morte di pochi individui può essere devastante, soprattutto se si somma a quella causata da altri fattori. Non dimentichiamo che i parchi eolici vengono situati su crinali esposti al vento, soprattutto sulla catena degli Apennini e incontrano spesso le rotte delle specie migratorie. In generale queste associazioni lamentano un’eccessiva vicinanza ai SIC e la costruzione degli impianti eolici in aree non idonee o perché legate a vincoli paesistici e idrogeologici o perché aree caratterizzate dalla presenza di un importante componente floristica e/o faunistica (es. specie di uccelli  nidificanti o fiori rari spontanei).

Dal punto di vista normativo è stata più volte sottolineata la carenza di norme che pongano limiti rigorosi all’utilizzo dell’eolico in determinate aree o in concentrazione eccessiva e che, stabiliscano l’obbligatorietà della procedura di VIA per tutti i progetti, il controllo e l’approvazione di più enti e non soltanto di quelli direttamente interessati alla loro realizzazione come ad esempio i singoli comuni. Alcuni di questi potrebbero essere tentati di perseguire il mero interesse economico per risanare il bilancio a scapito della tutela del paesaggio, dell’ambiente e delle caratteristiche idrogeologiche del territorio, il cui mancato rispetto può aumentare il rischio di frane e inondazioni. E’ opinione di molti che gli incentivi per l’eolico fossero troppo remunerativi e non abbiano favorito un approccio più cauto e critico all’utilizzo di questa tecnologia, come invece sarebbe stato doveroso, a causa proprio degli enormi interessi economici che le orbitano attorno. Va comunque detto che non tutti gli ambientalisti condividono queste preoccupazioni: Lega Ambiente e Greenpeace sostengono con forza la diffusione dell’eolico pur non avendo, apparentemente, risolto le obiezioni e le critiche poste da altri.

Infine va ricordato che per mettere in luce queste problematiche sono nate diverse realtà che si oppongono all’eolico “selvaggio”: ad esempio a livello europeo esiste l’ EPAW che pubblica sul suo sito notizie molto interessanti e studi in merito.

Nella Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 2010 sono state finalmente pubblicate le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.  Si auspica comunque che non si finisca col puntare tutto sull’eolico, nel campo dell’energie rinnovabili e soprattutto non si tralasci un provvedimento importante almeno quanto l’incentivazione delle fonti alternative: il risparmio energetico. Gli obiettivi imposti dall’Europa che punta ad abbattere del 20% le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990), grazie anche alle energie rinnovabili, si potrebbero raggiungere molto più facilmente se accompagnati da una riduzione dei consumi ma soprattutto dei tanti sprechi. L’obiettivo dell’Italia è il 17% di consumo finale lordo di energia da rinnovabili e secondo l’Ewea (European Wind Energy Association) siamo in deficit dello 0,9%). In un articolo de Il sole24ore.com è stata pubblicata l’affermazione di Costantino Lato, responsabile dell'unità ingegneria della direzione operativa del Gse, nel marzo 2010 a Reuters, in cui dice che la percentuale italiana è al 7% (nel 2005 l’Ewea riportava per l’Italia il 5,2%), e che il governo avrebbe dovuto introdurre incentivi per l'utilizzo di energia verde anche per il riscaldamento residenziale e industriale.

 

Pannelli fotovoltaici

Un’altra importante fonte di energia pulita e rinnovabile è il fotovoltaico.

Anche i pannelli fotovoltaici hanno potuto beneficiare di molti incentivi (il cosiddetto Conto Energia) e si sono diffusi largamente al punto che si è passati dall’installazione sui tetti di edifici, capannoni e abitazioni, a quella a terra con l’occupazione del suolo che ha suscitato numerose polemiche come nel caso in cui interi campi, dapprima ad uso agricolo, sono stati ricoperti di pannelli.

Di recente è stato completata un’enorme impianto fotovoltaico in provincia di Rovigo, fra San Bellino e Castelguglielmo, grande come 120 campi da calcio (850.000 m2 ), per una potenza di 72 Mwatt. In questo caso, secondo quanto affermato dall’assessore alle politiche per il territorio della Regione Veneto Marangon[5], l’impianto è stato realizzato in un’area industriale per cui i prevedibili e comprensibili timori di chi teme una perdita di terreno utile all’agricoltura, saranno smorzate sul nascere.

Problematica è la situazione in varie regioni e province dove le richieste per creare grandi impianti a terra si sprecano. Infatti, con gli incentivi disponibili, rende di più affittare il terreno per i pannelli solari che non coltivarlo con danno per le attività agricole e paesaggio.

Il soggetto attuatore che qualifica gli impianti fotovoltaici, eroga gli incentivi ed effettua attività di verifica è il Gestore dei Servizi Energetici o GSE S.p.a., una società per azioni di cui è azionista unico il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Secondo quanto stabilito dal Decreto del 19-02-07 riguardanti le norme del secondo conto energia, gli impianti fotovoltaici si distinguono in tre tipologie incentivabili: 1) non integrati, con i moduli collocati al suolo; 2) parzialmente integrati, con i moduli appoggiati sulle superfici esterne di edifici, fabbricati e altre strutture 3) ad integrazione architettonica, i cui moduli fanno parte delle superfici invece di esservi solo appoggiati[6]. Con il decreto 6 agosto 2010 il terzo conto energia, le tipologie incentivabili sono quattro: 1) “impianto fotovoltaico integrato con caratteristiche innovative”, che utilizza moduli e componenti speciali, sviluppati specificatamente per sostituire elementi architettonici, e risponde ai requisiti costruttivi e alle modalità di installazione indicate; 2) “impianto fotovoltaico realizzato su un edificio” i cui moduli sono posizionati sugli edifici secondo modalità individuate; 3) “sistema solare fotovoltaico a concentrazione o impianto fotovoltaico a concentrazione” con produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l'effetto fotovoltaico (composto principalmente da un insieme di moduli in cui la luce solare è concentrata, tramite sistemi ottici, su celle fotovoltaiche, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori); 4) “impianto fotovoltaico con innovazione tecnologica” che utilizza moduli e componenti caratterizzati da significative innovazioni tecnologiche [7].

L’impatto ambientale del fotovoltaico a terra riguarda in primo luogo il paesaggio poiché una distesa di pannelli solari è ovviamente un elemento di discontinuità e disarmonia piuttosto pesante, in proporzione al valore del paesaggio stesso. In secondo luogo vanno considerati gli impatti generati da tutte le attività necessarie all’installazione degli impianti stessi: eliminazione della vegetazione presente in sito, per regolarizzare la superficie del terreno; opere di fondazione; lavori di interramento dei cavidotti; presenza di campi elettromagnetici. Allo scopo di minimizzare tutti questi fattori negativi sarebbe opportuno collocare gli impianti fotovoltaici di grandi dimensioni in zone industriali dismesse, dove l’impatto antropico abbia già avuto i suoi effetti, la presenza di flora e fauna sia comunque ridotta ed esista il vantaggio della presenza di infrastrutture senza bisogno di crearle. E’ fondamentale evitare la diffusione dei pannelli su terreni ad uso agricolo o a scapito di habitat naturali preesistenti. Caratteristica molto apprezzabile è l’assenza di emissioni di tipo liquido o gassoso o di rumore (problema molto sentito invece per l’eolico). Non sembra esservi produzione di rifiuti se non durante la fase di smantellamento[8].

E’ importante ricordare che, nonostante i loro numerosi pregi, durante la fase di produzione, l’impatto ambientale dei pannelli è assimilabile a quello di una qualsiasi produzione industriale poiché, sono impiegate sostanze come triclorosilano, il fosforo ossicloridrico e l'acido cloridrico. La costruzione del pannelli di silicio amorfo comporta l’utilizzo di silano, la fosfina e il diborano; quella dei CIS (Copper, Indium, Selenium), il seleniuro di idrogeno e quella dei CdTE (tellururo di cadmio) il cadmio, che è molto tossico[9]. Comunque, durante la fase di utilizzo, la presenza di queste sostanze, non sembra comportare alcun rischio o impatto sulla salute. La “vita” media di un pannello è di 25 anni e in seguito allo smantellamento quasi tutte le parti dei pannelli fotovoltaici possono essere riciclate (grazie un progetto portato avanti da un consorzio, PV CYCLE, nato nel 2007 con lo scopo di creare un programma di ritiro e riciclo dei pannelli solari a “fine vita”)[10].

I pannelli fotovoltaici, quando si trovano in condizioni STC di prova standard (Temperatura di funzionamento = 25 °C + o – 2°C ; Livello di irraggiamento solare incidente = 1000 W/m2; Distribuzione spettrale = massa d’aria 1,5), sviluppano una quantità di energia che è detta potenza massima (o di picco Wp) che dipende dal tipo di pannello. Le condizioni standard STC sono difficili da ottenere per cui la potenza effettivamente sviluppata dal pannello sarà l’85-90% di quella indicata dall’STC rating specificato (fonte infopannellisolari.com).

Per quanto riguarda il generatore eolico invece, la massima energia che può produrre è il 59,3% di quella del vento che lo attraversa (Legge di Betz), per cui un’efficienza del 40-50% è già considerata molto alta.

Sia il fotovoltaico che l’eolico hanno il limite di produrre energia a intermittenza, solo quando la fonte primaria (sole o vento) è disponibile, che non può essere immagazzinata.

 

In conclusione, le fonti rinnovabili sono una alternativa irrinunciabile alla produzione di energia ma il loro utilizzo deve avvenire nei limiti del rispetto del territorio e delle sue componenti, paesaggistica, floristica, faunistica e non ultima quella idrogeologica.

Ad essere sotto accusa non sono l’energia eolica o quella solare, che sono una risorsa preziosissima, ma gli speculatori che ci “campano” sopra. Non è in discussione, ad esempio, che l’eolico sia un ottimo sistema di produzione dell’energia, ma piuttosto che non esiste una sufficiente onestà etica in alcune aziende del settore o, in alternativa, un controllo e una sorveglianza sufficientemente approfonditi e rigorosi da parte degli enti preposti per evitare che si verifichino situazioni come quelle della Sicilia, dove sono stati costruiti impianti che non funzionano per la scarsità di vento. E’ evidente che non ci sono stati adeguati mezzi legislativi e amministrativi di controllo sul settore delle energie rinnovabili, gli incentivi a sostegno delle quali, li hanno resi un richiamo irresistibile per vergognose speculazioni di cui tutti pagheremo lo scotto. Questo importante settore dell’energia va sfruttato ma anche tutelato con una pianificazione a livello nazionale del suo sviluppo e della sua diffusione che privilegi, rispetto a quelli che perseguono il solo profitto, progetti nati allo scopo di risolvere esigenze energetiche dove effettivamente esistono e dove sono state individuate modalità non impattanti per soddisfarle. Ad oggi, le linee guida per le rinnovabili ci sono, ma continua a mancare un Piano Energetico Nazionale (PEN) che regoli il consumo, la produzione o l’importazione di energia e le modalità con cui ciò viene fatto nel nostro Paese.

 

Centrali a biomassa

Le centrali a biomassa sono impianti che ricavano energia, elettrica o per il teleriscaldamento dalla combustione di una serie di materiali come ad es. legname, residui agricoli e forestali, scarti dell'industria agroalimentare, rifiuti urbani, specie vegetali coltivate per lo scopo, etc. Purtroppo però facendo questo inquinano: a parte la produzione di CO2, che dipende da quella assorbita dalla pianta viva, bruciando un composto organico come il legno in presenza del cloro in esso contenuto, si produce diossina[11]. Vengono emessi anche: ossidi di azoto (Nox) e di zolfo (Sox) che non sono completamente eliminabili e particolato atmosferico, come le ceneri che dovranno esser filtrate efficacemente per evitare che finiscano nell’atmosfera. A conferma di ciò, studi condotti dall’Istituto Nazionale Ricerca sul cancro di Genova hanno riscontrato come, in due paesi appenninici, nelle abitazioni in cui si usava legna da ardere per la stufa, le concentrazioni di benzo(a)pirene erano tendenzialmente maggiori di quelle trovate in case che usavano il metano o il GPL come combustibile. Il benzo(a)pirene è un composto cancerogeno che, insieme a numerosi composti tossici e grandi quantità di polveri fini ed ultrafini, viene prodotto durante le combustioni di biomasse[12].

Anche l’approvvigionamento idrico è un problema di cui tenere conto: per il reintegro di acqua nel circuito di raffreddamento di un impianto a biomassa di circa 10 MWe di potenza sono necessari 50-100 m3/ora[13].

Se le biomasse che servono non sono reperibili nelle zone circostanti in quantità sufficienti, per garantire il funzionamento della centrale, dovranno essere raccolte in altre parti d’Italia o addirittura all’estero aumentando così l’inquinamento secondario dovuto ai mezzi di trasporto (CO2 , smog), il consumo energetico (carburante per i veicoli) e i costi (di trasporto + acquisto biomassa). Sono previste persino coltivazioni destinate ad alimentare le centrali che avranno ripercussioni sul territorio e sull’economia non sempre positive. I residui agricoli utilizzati potrebbero essere scarti di coltivazioni trattate con concimi o pesticidi chimici che, bruciando, rilascerebbero sostanze pericolose. Se questo non bastasse, è permesso bruciare anche rifiuti (C.D.R.Q. combustibili derivati da rifiuti di qualità) in queste strutture alzando ulteriormente il rischio di inquinamento. Anche in questo caso gli impianti beneficiano degli incentivi derivati dai certificati verdi emessi dal GSE. Perché non diventi un danno invece che una risorsa, ogni centrale a biomassa dovrebbe essere di dimensioni proporzionate alla produzione e alla regolarità di scarti vegetali (pulizia del verde pubblico o dei boschi circostanti, scarti di lavorazione del legno delle aziende di quel territorio o di agricoltura biologica, etc.) della zona in cui sorge (il cosiddetto Km 0 anche per il combustibile) e destinata alla produzione di energia o teleriscaldamento solo per le utenze domestiche di piccoli paesi che, integrando questo sistema con altre fonti rinnovabili, avranno la possibilità di rendersi autonomi energeticamente. Invece, purtroppo, gli incentivi vantaggiosi e lo scarso controllo, hanno fatto sì che questo settore sia diventato preda di aziende e/o amministrazioni pubbliche che mirano solo al soddisfacimento dei loro interessi economici o al risanamento del bilancio, invece che alla diminuzione dell’inquinamento e alla tutela ambientale, generando così un controsenso visto che si parla di fonti rinnovabili e di energia “pulita”.

Le biomasse possono essere sfruttate anche per la produzione di biogas (composto da metano al 50-80%) derivato dalla loro fermentazione batterica in condizioni anaerobiche. A questo scopo si utilizzano: residui organici provenienti da rifiuti, materiale vegetale o animale in decomposizione, liquami zootecnici o fanghi di depurazione, scarti dell'agro-industria[14]. La materia organica viene messa in apposite strutture a tenuta stagna, i digestori, dove i batteri agiscono in assenza di ossigeno. Il biogas così prodotto viene raccolto, deumidificato, compresso ed immagazzinato per essere utilizzato combustibile[15].

Gli impianti a biogas possono essere associati ad un’attività agricola o zootecnica oppure di tipo industriale, quando sfruttano i rifiuti urbani. Questo processo avviene già spontaneamente nelle discariche di rifiuti dove c’è una grande quantità di materiale organico.

L’utilizzo più razionale di questa tecnologia ha come scopo la diversificazione dell’attività di un’azienda agricola che riutilizza quelli che sarebbero scarti di produzione, come materia prima per la produzione di biogas da trasformare in energia con cui soddisfare il proprio fabbisogno e della quale rivendersi il surplus (doppio vantaggio economico= risparmio energetico attraverso l’autoconsumo + entrate derivate da scambio sul posto oppure ritiro dedicato oppure libero mercato) utilizzando gli incentivi .

 

Centrali a turbogas

Le centrali a ciclo combinato con turbina a gas (le cosiddette turbogas o CCGT) generano corrente elettrica mediante una turbina a gas abbinata ad una a vapore tramite due cicli termodinamici. La materia prima utilizzata è appunto il gas naturale che, bruciando insieme ad aria, trasforma l’acqua in vapore da cui una turbina ricaverà energia meccanica che poi sarà trasformata in energia elettrica da un generatore. In generale questo tipo di impianto per la produzione di energia viene considerato più efficiente (rendimento di circa il 56 %) rispetto ad altri tipi di centrale come quella a carbone mentre minori sono i costi di investimento e i tempi di realizzazione. Tuttavia i costi di produzione dell’elettricità dipendono dal prezzo di mercato della materia prima (gas naturale) di cui però il nostro Paese non è ricco e che quindi va importato dall’estero.

La maggior parte delle riserve si trovano in paesi al di fuori dell’Unione Europea: il 41,3% è in medio oriente, il 33,5% in Europa ed Eurasia (di cui il 25,2% nei paesi della federazione russa), il 4,5% in Nord America.

Il commercio internazionale avviene per circa l’80% via gasdotto e per circa il 20% con le navi metaniere che lo trasportano sottoforma di gnl (gas naturale liquefatto ottenuto raffreddando il gas a –162°C ad una pressione di 1 atm, in modo da ridurne il volume di circa 600 volte).

Nel 2007 l’Italia ha prodotto lo 0,3% (8,9 miliardi di m3) della quantità totale di gas naturale del mondo mentre i consumi si attestano intorno al 2,7% (77,8 miliardi di m3) del totale mondiale. Tramite gasdotti, abbiamo importato gas naturale da Germania (1,50), Paesi bassi (6,11), Norvegia (8,99), Regno Unito (0,75), Federazione Russa (23,80), Algeria (22,10) e Libia (9,20) per un totale di 72,45 miliardi di m3  a cui si aggiungono 2,43 miliardi di m3 di gnl sempre dall’Algeria. L'85% del gas consumato nel nostro Paese proviene dall'estero: il 30% dalla Russia, il 40% dal Nord Africa, il 15% dai paesi che si affacciano sul Mare del Nord (principalmente Olanda e Norvegia). La produzione nazionale è il 15% del fabbisogno.[16]

Sebbene presentino il vantaggio di essere meno inquinanti delle centrali a carbone a cui vengono paragonate, anche quelle a turbogas inquinano: producono CO2 , metano, N2O. Secondo due diversi studi condotti da ricercatori di CNR, ASL e due diverse università[17], gli effetti delle turbogas sulla salute e sull’ambiente potrebbero essere più pesanti di quello che si crede: analizzando i dati di centrali già esistenti, alcune in California e una a Montecchio Maggiore (VC), si è scoperto che ogni anno quelle di 780 MW di potenza, producono oltre a CO2 , ossidi di azoto (NOx) e metano (205 t) già citati, anche 290 t di particolato (PM 10, PM 2,5 e PM 0,1), 9 t di ossidi di zolfo (SOx), 126 t di monossido di carbonio (CO) e 42 t di altri composti organici volatili; quella di Vicenza (760 MW di potenza) emette, secondo lo studio commissionato dalla Camera di Commercio, quantità talmente elevate di ossidi di azoto, ossidi di carbonio e polveri, da superare quella emessa complessivamente dai 17 comuni del circondario.

Esistono anche i problemi delle polveri secondarie di cui tenere conto che non sono filtrabili e purtroppo difficilmente misurabili[18].

Anche in questo caso i consumi idrici sarebbero elevati: per una centrale termoelettrica a ciclo combinato alimentata a gas metano, da 800 Mwatt termici (che produca circa 400 Mwatt elettrici ), se il raffreddamento avviene ad acqua, anche riciclando parzialmente quella utilizzata nell’impianto, è ragionevole stimare un prelievo di circa 450 m3/ora. Si possono adottare sistemi di raffreddamento ad aria che riducono i consumi di acqua ma immetterebbero una enorme quantità di calore nell’ambiente. Inoltre gli scarichi idrici (circa 70 m3/ora), anche se depurati, avrebbero comunque temperature elevate che altererebbero gli equilibri dei corpi idrici in cui fossero scaricate[19].

A questo punto è utile una precisazione sui termini “Mwatt elettrico” e “Mwatt termico”. Il watt/ora è l’unità di misura dell’ energia. Per trasformare il calore in elettricità si perde energia, per cui a seconda del rendimento del sistema (es. centrali termoelettriche rendimento circa 38%)[20] i watt di energia termica prodotta (Mwattt ) vengono trasformati in un numero molto minore di watt di energia elettrica (Mwatte ). Il resto viene dissipato nelle conversioni intermedie dell'energia: da termica a meccanica, da meccanica a elettrica. Anche nella conversione dell’energia da chimica a termica si hanno perdite dovute alla combustione incompleta. Le centrali a ciclo combinato hanno un rendimento maggiore di quelle termoelettriche, il 56%20 circa.

Un altro impatto ambientale molto importante è quello acustico. I macchinari che permettono il funzionamento della centrale, sia turbogas che a biomassa, sono molto rumorosi e oltre al danno alla salute per gli addetti ai lavori c’è da considerare il forte disagio creato nelle zone limitrofe all’impianto. Anche se esistono limiti di legge rigorosi a seconda del tipo di area circostante (aree agricole o residenziali), si tratta di limiti formali considerati accettabili dalla legislazione ma di tutt’ altra idea potrebbero essere i cittadini.

Un ottimo esempio di utilizzo e gestione delle fonti rinnovabili è la comunità di Prato allo Stelvio in Val Venosta (Report, puntata “Biomasse di massa”) che ha costituito una cooperativa elettrica autosufficiente di cui tutto il paese è socio e che, una volta soddisfatto il fabbisogno della comunità, si rivende l’eccedenza di energia. Sono dotati dal 1925 di una piccola centrale idroelettrica da 80 KW, e oggi hanno anche una centrale a biogas, pannelli fotovoltaici, eolico e una centrale a biomassa che produce energia elettrica e termica per il teleriscaldamento. Georg Wunderer, uno dei soci-gestori della cooperativa per spiegare la loro filosofia all’intervistatore fa un’affermazione molto giusta: “L'energia deve nutrire l'energia. L'energia è come l'acqua, l’acqua potabile, sono servizi di fondo, non devono essere orientati verso il capitale, questi devono orientarsi per la gente, per avere energia a buon prezzo.”[21]

 

Termovalorizzatori

L’emergenza rifiuti è diventata un argomento molto sentito ultimamente perché, se da una parte gli italiani producono 30 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, dall’altra i sistemi di smaltimento sono sempre più zoppicanti e inadeguati. Basti pensare alla situazione di Napoli.

Dal momento che le discariche non bastano più e la raccolta differenziata non è ancora diffusa a sufficienza, sempre più spesso le amministrazioni locali ipotizzano di far ricorso agli inceneritori che, quando associati ad un ciclo di recupero dell’energia termica prodotta, vengono ingannevolmente chiamati termovalorizzatori.

Questi impianti, bruciando rifiuti a temperature elevatissime (anche 1000°C), producono una quantità di scorie pari al 30% del rifiuto in ingresso e fumi, che vengono trattati per abbattere il contenuto di inquinanti e poi immessi in atmosfera ad una temperature di circa 140° C. Le ceneri sottili (4% del rifiuto in ingresso) recuperate dal sistema di filtraggio, devono essere smaltite come rifiuti speciali pericolosi[22].

Esiste poi il problema del particolato con diametro inferiore ai 2,5 µm, le cosiddette PM 2,5 e PM 0,1 che si formano nell’ aria e non sono filtrabili pur essendo pericolose (ad esempio le polveri con diametro dell'ordine di grandezza di manometri, PM 0,001).

Secondo quanto spiegato dal dott. Montanari in un intervista pubblicata su Youtube[23], i filtri trattengono la maggior parte (fino al 99%) delle polveri primarie filtrabili ma nulla possono conto le polveri primarie condensabili o le polveri secondarie e rimane comunque il problema dello smaltimento del filtro.

Queste polveri hanno effetti sulla salute umana anche gravi: entrano nell’organismo tramite inalazione o ingestione e attraverso il circolo sanguigno passano ai tessuti dove rimangono definitivamente. Col tempo si formano, attorno a queste particelle, dei tessuti detti di granulazione che possono provocare i tumori, malattie cardiovascolari, ictus, infarto, malattie neurologiche (Alzheimer, Parkinson), malformazioni fetali e nuovi tipi di malattie nate come conseguenza dell’inquinamento (es. malattia del seme urente dovuta alla contaminazione degli spermatozoi da parte di nanoparticelle metalliche che, non essendo biocompatibili, inducono bruciori, infiammazioni e, a volte, anche necrosi cellulare nella mucosa degli organi sessuali)[24].

Una tecnologia alternativa all’ incenerimento potrebbe essere la pirolisi: si tratta di un processo chimico-fisico di trasformazione molecolare realizzato con apporto di energia termica e meccanica in ambiente privo di ossigeno. Grazie al calore e alle condizioni anaerobiche, la materia subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. Non produce diossina e furani perché il suo ciclo termodinamico non prevede il contemporaneo verificarsi delle condizioni che portano alla loro formazione.

La pirolisi può essere applicata anche ai rifiuti. E’ tuttavia necessario garantire la derivazione organica dei materiali e una bassa percentuale di umidità.

Il CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti) sono tutti quei rifiuti con elevato potere calorico che, non possono più essere valorizzati (ad es. attraverso riciclo) e che quindi finirebbero in discarica, ma che attraverso processi particolari, vengono trasformati in combustibile secondario utilizzato negli impianti per la produzione di energia. Questo materiale viene trasformato, a livello molecolare, in gas di pirolisi (Syngas), molto diverso dal rifiuto originario, equiparabile al biogas ma con un potere calorico inferiore ai comuni combustibili fossili.

Secondo un articolo pubblicato su www.eko-technology.com, un impianto pirolitico da 3,5 MWh nominali smaltisce 37.500 tonnellate annue di CDR, pari alla produzione media di CDR di una città di circa 250.000 abitanti e con una produzione di 26.250 MW equivalente a 2.250 TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio risparmiato). Inoltre non produce residui di lavorazione poiché tutto il materiale in ingresso viene smaltito e gli scarti vengono vetrificati[25].

L’altro vantaggio della pirolisi dei rifiuti è che avviene a temperature comprese tra 400 e 800 °C  e quindi notevolmente più basse di quelle che si usano per l’incenerimento[26]. Questo fa sì che l’eventuale particolato prodotto, se non recuperabile grazie al fatto che i fumi di combustione prima del loro rilascio in atmosfera possono essere ricondotti dentro l'impianto per la vetrificazione delle polveri, sia comunque meno fine rispetto a quello di un inceneritore poiché la dimensione delle particelle è, a grandi linee, inversamente proporzionale alle temperature impiegate.

Le tecnologie meno inquinanti sono quelle di trattamento dei rifiuti a freddo, cioè quello meccanico-biologico (TMB) dei rifiuti indifferenziati o non più suscettibili a raccolta differenziata. Vengono combinati processi meccanici a processi biologici quali la digestione anaerobica e il compostaggio. La frazione umida (l'organico da bioessicare) viene separata dalla frazione secca (carta, plastica, vetro, inerti ecc.) che può essere in parte riciclata oppure usata per produrre combustibile derivato dai rifiuti (CDR) rimuovendo i materiali incombustibili[27].

 

Centrali termonucleari

Negli ultimi tempi si assiste ad una campagna a favore del ritorno al nucleare deciso dal Governo. Molte decisioni sono state prese, almeno sulla carta (Legge 23 luglio 2009 n° 99, D.lgs n°31 15-02-2010) e, progressivamente, chi sostiene questa scelta, sta cercando di vincere lo scetticismo e l’opposizione della maggior parte degli italiani che già con il referendum del 1987 si erano dichiarati contrari.

L’energia nucleare viene proposta come una soluzione per liberare il nostro Paese dalla dipendenza dal petrolio e dai Paesi che lo possiedono, per abbassare i livelli di CO2 , per pagare meno l’energia elettrica, per creare nuovi posti di lavoro. Quindi l’Italia sta barattando la dipendenza dalle fonti fossili con un’altra dipendenza: quella da materie prime come l’ uranio che proviene per il 25% dallo smantellamento delle testate atomiche in Russia, per il 27% da Kazakhstan e Uzbekistan e per il 13% dalle estrazioni in Niger e Namibia[28]. Altri Paesi con consistenti disponibilità di uranio sono Australia e Canada.

Ma la produzione di energia elettrica nucleare può davvero svincolarci dal petrolio?

Durante un’ intervista mandata in onda dalla trasmissione Report, un ingegnere ed economista dell’energia francese Bernard Laponche, ha evidenziato che, “se paragoniamo il consumo di petrolio per abitante nei 4 principali Paesi dell’Unione Europea, vediamo che la Francia consuma 1,46 tonnellate per abitante, la Germania ne ha consumato 1,36 tonnellate nel 2007, 1.31 l’Italia e il Regno Unito 1.33 tonnellate. Non cambia nulla nel consumo di petrolio. Infatti la Francia ne consuma ancora di più. Perché l’elettricità non è prodotta con il petrolio. Avere molta energia di origine nucleare non ha nulla a che fare con il principale problema di sicurezza dell’energia, che è il petrolio […] si dice che il nucleare rappresenti il 40% dell’energia primaria in Francia […] la centrale nucleare produce calore e solo una parte di questo è trasformata in elettricità ma al posto dell’elettricità si conta il calore che è il triplo. […] L’elettricità rappresenta il 20% circa del consumo finale di energia e il contributo del nucleare al consumo finale di energia in Francia ammonta al 14%. Tutto il resto è olio, gas ed energie rinnovabili.”[29]

Sul sito della C.I.A. si possono estrapolare i dati di consumo di petrolio in barili per Paese:

country

bbl/day

Date of Information

people

 

(bbl/day)/people

Consumo rispetto Italia

Germany 

2.437.000

2009 est.

82.282.988

 

0,029617301

+0,003159

France 

1.875.000

2009 est.

64.768.389

 

0,028949307

+0,002491

United Kingdom

1.669.000

2009 est.

62.348.447

 

0,026768911

+0,00031

Italy 

1.537.000

2009 est.

58.090.681

 

0,026458633

---

Spain 

1.482.000

2009 est.

46.505.963

 

0,031866881

+0,005408

 

E’ vero che le centrali nucleari non immettono CO2 nell’atmosfera ma rimane il fatto che i Paesi che vengono citati come esempio di utilizzatori di energia nucleare, primi fra tutti gli Stati Uniti, non hanno affatto risolto il problema, perché dovrebbe essere diverso in Italia?

Mycle Schneider, anch’egli economista e consulente sull’energia e la politica nucleare, fa notare che i paesi che hanno il consumo di petrolio e l’effetto serra più elevati, sono anche quelli che utilizzano il nucleare: gli Stati Uniti, appunto, che detengono un quarto della produzione mondiale di energia nucleare, sono responsabili anche di un quarto delle emissioni di gas serra. La spiegazione ipotizzata è che questo sia un modello che incoraggia i consumi non essendoci bisogno di economizzare con tutta quell’energia a disposizione NOTEREF _Ref287034937 \f \h 29.

L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) ha messo a disposizione sul suo sito i dati raccolti nell’ “Annual European Union greenhouse gas inventory” nell’arco di 18 anni, sull’emissioni di gas serra dei vari Paesi dell’unione Europea, anno per anno. Nella tabella[30] sottostante sono mostrati i valori espressi come CO2 equivalenti.

 

 

EU27

EU15

France

Germany

Italy

Spain

United Kingdom

 

Year

Tg (million tonnes)

Tg (million tonnes)

Tg (million tonnes)

Tg (million tonnes)

Tg (million tonnes)

Tg (million tonnes)

Tg (million tonnes)

Total emissions (sectors 1-7, excluding 5. LULUCF)

1990

5.567.026

4.244.651

563.240

1.231.753

517.049

285.123

771.691

1991

5.467.607

4.259.627

587.285

1.185.680

518.135

291.552

778.516

1992

5.278.227

4.167.796

578.965

1.134.553

515.808

298.780

753.657

1993

5.188.618

4.099.564

553.162

1.123.913

509.798

287.339

732.817

1994

5.158.975

4.096.223

548.132

1.104.989

502.280

303.125

722.054

1995

5.214.688

4.136.737

556.972

1.101.334

529.444

314.967

712.011

1996

5.321.270

4.220.177

571.973

1.122.112

522.306

307.752

733.152

1997

5.217.139

4.153.818

564.893

1.084.380

528.433

328.280

707.693

1998

5.169.055

4.171.400

578.381

1.060.039

539.425

338.741

703.138

1999

5.060.167

4.106.413

561.667

1.027.399

545.554

367.322

670.557

2000

5.062.303

4.114.482

557.068

1.024.672

549.812

380.797

672.551

2001

5.116.970

4.158.862

559.195

1.040.698

555.300

380.500

676.020

2002

5.071.816

4.130.878

549.682

1.020.493

556.073

397.390

654.711

2003

5.148.740

4.178.162

554.089

1.013.821

570.744

404.601

660.505

2004

5.148.450

4.174.104

552.808

999.939

574.116

420.447

658.704

2005

5.116.735

4.144.796

556.485

977.585

572.638

435.112

654.728

2006

5.099.814

4.108.170

540.303

983.437

562.046

427.281

649.609

2007

5.038.775

4.046.189

530.187

957.335

552.629

438.677

640.020

2008

4.939.738

3.970.473

527.026

958.061

541.485

405.740

628.206

Gli anni evidenziati indicano il momento in cui è avvenuta la firma (giallo)e poi l’adesione (azzurro) dei Paesi in tabella, e infine l’entrata in vigore (verde, del protocollo di Kyoto

 

Osservando i valori di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, scelte perché utilizzano tutte il nucleare dal 1970 (first commercial operation and synchronized; put into grid)[31] circa e sono spesso citate come esempio da seguire, si può notare che nei 18 anni presi in considerazione, il trend delle emissioni è andato, si, diminuendo ma non in maniera costante e soprattutto non come ci si aspetterebbe se il nucleare fosse davvero la soluzione contro le emissioni di gas serra. La Spagna, al 2008, ha addirittura aumentato le sue emissioni, rispetto al 1990, di 220.000 milioni di tonnellate (Tg)! La Francia è passata da 563.240 Tg a 527.026 Tg  con una differenza di soli 36.213 Tg, che è senz’altro una buona notizia ma, di certo, è un risultato che non giustifica il ricorso all’energia nucleare, ammesso e non concesso che sia merito di questa risorsa la diminuzione di questi valori. Infatti nel 1991, 1992, 1996, 1998 le emissioni erano addirittura aumentate rispetto al dato di partenza del 1990. La Germania ha avuto una diminuzione più netta (da 1.231.753 Tg a 958.061 Tg) ma viene da chiedersi come mai i valori di gas serra fossero così alti in primo luogo, visto che, anche nel caso dei tedeschi come dei francesi, l’utilizzo del nucleare risale a molto prima del 1990 e avrebbe quindi avuto tutto il tempo di manifestare effetti “positivi” sull’aria dei cieli teutonici. L’Italia invece, da 517.049 Tg ha dapprima diminuito le sue emissioni, nel 1992, 1993, 1994, per poi aumentare in maniera discontinua fino al valore di 574.116 Tg nel 2004, diminuendo poi nuovamente fino a 541.485 Tg nel 2008. Se confrontiamo i dati del  2005, anno dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, con quelli finali del 2008, il nostro Paese è quello che ha la più consistente diminuzione di gas serra (-31.153 Tg) rispetto a Francia (-29.459 Tg), Spagna (-29.372 Tg), Inghilterra (-26.522 Tg) e Germania (-19.524 Tg). In conclusione la diminuzione di emissioni di gas serra (quando c’è) sembra essere più il risultato della presa di coscienza del problema e dell’impegno preso con il protocollo di Kyoto (entrato in vigore il 16 febbraio 2005), piuttosto che della presenza di centrali nucleari. Quindi rimangono dei leciti e consistenti dubbi sull’ effettiva positività dell’impatto sui livelli di gas serra di questi “dinosauri” della tecnologia mentre non c’è alcun dubbio sulla loro produzione di scorie radioattive e sulle enormi problematiche, non ancora risolte, che il loro stoccaggio comporta.

Immagine tratta da EEA greenhouse gas data viewer

 

Un altro punto che non depone a favore dell’energia atomica, sono i costi e i tempi di realizzazione.

Sul sito di “Enea per la stampa”[32] viene spiegato che il costo medio attuale di una centrale nucleare è di circa 2500-3000 Euro/kW elettrico installato che corrisponderebbe a circa 3 miliardi di Euro in conto capitale per una centrale da 1000 MW elettrici. Invece il costo di un reattore EPR detto di III Generazione (come quello che si sta realizzando a Olkiluoto in Finlandia e come quelli che dovrebbero essere realizzati in Italia) da 1600 MW elettrici viene valutato attualmente, da 4 a 4,5 miliardi di euro.

I tempi di costruzione teorizzati per gli EPR (European Pressurized Reactor) sono di circa 50 mesi, tuttavia non si può dire quanto sia precisa questa stima poiché il primo e, finora, unico reattore di questo tipo è quello finlandese, ancora in fase di costruzione. L’iter burocratico è cominciato nel 1998; l’approvazione da parte del Governo c’è stata nel 2002; la licenza alla costruzione è stata rilasciata nel 2005 e l’impianto sarà probabilmente messo in funzione nel 2013. Un tempo complessivo molto lungo perché in effetti la centrale di Olkiluoto doveva essere ultimata entro il 2009. Questo ritardo ha fatto quasi raddoppiare i costi previsti che, da circa 3 miliardi di euro, sono cresciuti fino a circa 6 miliardi.

In generale, la valutazione dei costi di una centrale deve tenere conto, oltre quelli di costruzione, anche di quelli di esercizio, del ciclo del combustibile (tutte le fasi di lavorazione fino allo smaltimento delle scorie) e i costi per lo smantellamento e il recupero del sito. Il tutto andrà a influire sul prezzo finale dell’elettricità prodotta. Su questo punto le opinioni sono divise: i favorevoli al ritorno al nucleare sono ottimisti e prevedono prezzi bassi, i contrari invece sostengono che non saranno così convenienti da giustificare l’enorme investimento che potrebbe essere indirizzato, almeno in parte, a sostegno di progetti sostenibili dal punto di vista economico e ambientale e con tempi di ritorno dell’investimento molto più brevi. Inoltre sempre più spesso, vengono citati sudi economici secondo i quali i prezzi dell’energia prodotta con i pannelli solari fotovoltaici sarà presto più conveniente di quella nucleare[33].

 

Infine c’è da considerare la disponibilità di uranio da utilizzare. Nel 2009 le risorse recuperabili di questo materiale erano stimate attorno alle 5.404.000 tonnellate nel mondo (Reasonably Assured Resources plus Inferred Resources, to US$ 130/kg U, 1/1/09, da OECD NEA & IAEA, Uranium 2009: Resources, Production and Demand - "Red Book"). L’utilizzo attuale è di circa 68.000 tonnellate di uranio all’anno, quindi le risorse misurate di uranio nella categoria di costo leggermente al di sopra gli attuali prezzi di mercato e usate solo in reattori convenzionali, sono sufficienti per 80 anni[34]. Secondo il sito www.world-nuclear.org in futuro, grazie all’incremento delle seppur costose esplorazioni per la ricerca di uranio, la disponibilità di questo materiale potrebbe aumentare. Ma anche se ciò accadesse e non fosse solo una visione ottimistica, si tratta comunque di una risorsa finita ed è quindi probabile che, come avviene per il petrolio, una volta raggiunto il punto di produzione massima, segua la legge del picco di Hubbert e il suo prezzo aumenti drasticamente finché il graduale esaurimento renderebbe gli investimenti necessari così elevati da non essere più sostenibili.

 

Un possibile risvolto positivo sono l’impulso ad alcuni settori dell’economia e l’impatto positivo sull’occupazione.

Secondo Ance (lAssociazione nazionale costruttori edili) e Anie (Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche), l’occupazione creata dalla costruzione delle quattro centrali nucleari che si vorrebbero fare in Italia, sarà di 25.000 addetti che però scenderà a poco più di 1000 quando gli impianti saranno stati completati NOTEREF _Ref287033036 \f \h  \* MERGEFORMAT 28. Inoltre, secondo un briefing di Greenpeace del 19 Gennaio 2010[35], le stime date da Enel riguardo alle commesse a disposizione delle imprese italiane nella costruzione delle centrali EPR (70% dell’investimento totale secondo Enel), sono decisamente inesatte: la parte non convenzionale del progetto (il reattore) con relative commesse sarà appalto esclusivo della ditta francese Areva che detiene i brevetti, mentre la restante parte, quella convenzionale, sarà affidata alle ditte italiane. La società francese EDF (Électricité de France), sul suo sito web, a proposito dell’impianto EPR che si sta costruendo a Flamanville, scrive che il 60% dell’ammontare totale dei costi riguarda la parte nucleare (non convenzionale) del progetto da cui le nostre imprese sarebbero quindi tagliate fuori venendo coinvolte solo per la restante parte (40%). In ogni caso, oltre alle imprese che parteciperanno alla costruzione, è intuibile che le figure professionali che troveranno occupazione grazie a questi progetti, saranno molto specializzate. L’impatto positivo diretto riguarderà pochi settori del mondo del lavoro.

 

Infine il problema più grave di tutti: lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi.

Giuseppe Onufrio, Direttore esecutivo di Greenpeace Italia, in un articolo pubblicato sul bimestrale “Quale Energia”[36], riporta che i rifiuti nucleari provenienti dall'esercizio degli impianti in Italia sono circa 20.000 m3, che con lo smantellamento delle centrali nucleari potrebbero arrivare (dati Task Force Enea) a quasi 100.000 m3. I rifiuti radioattivi sono classificati in base a tre categorie di pericolo crescente dalla I alla III: alla prima categoria appartengono i rifiuti che richiedono tempi dell'ordine di mesi o al massimo di alcuni anni, per il decadimento della radioattività; alla seconda categoria, i rifiuti che richiedono tempi fino ad alcuni secoli per il decadimento della radioattività; alla terza categoria appartengono i rifiuti radioattivi che richiedono tempi dell'ordine di migliaia di anni ed oltre per decadere. Questi ultimi vengono prodotti in quantità minore rispetto agli altri ma emettono la maggior parte della radioattività (94%).Oltretutto i nuovi reattori EPR avranno un maggiore tasso di burn-up (teoricamente per migliorare le prestazioni) e come conseguenza produrranno scorie con un tasso di radioattività sette volte maggiore della media di quelle prodotte dai reattori tradizionali.

Il nodo del problema sono proprio questi rifiuti nucleari a lungo termine che devono essere isolati dalla biosfera per tempi più lunghi di quanto non sia la storia della nostra civiltà. Non sembrano esistere luoghi abbastanza sicuri: le soluzioni, anche quelle “geologiche profonde” tentate da altri Paesi, non hanno dato i risultati sperati. Onufrio cita come esempio il caso delle miniere saline di Asse dove, a partire dal 1960, furono stoccati 126.000 bidoni di scorie radioattive ma dal 1988 vi è una perdita di circa 12 mila litri di acqua al giorno che sta compromettendo gravemente la sicurezza del sito. In Francia, il Centro di stoccaggio dei rifiuti di bassa attività di La Manche che ospita 520.000 m3 di rifiuti nucleari (in contrasto col nome del centro, anche rifiuti ad alta attività e a lunga vita), è soggetto a perdite di acqua contaminata che sono state scoperte solo nel 2006 e hanno coinvolto la falda acquifera minacciando l’area circostante . Infine anche gli Stati Uniti hanno dovuto rinunciare ad una soluzione geologica profonda sulla Yucca Mountain relativamente vicino a Las Vegas, poiché il servizio geologico statunitense ha trovato una faglia sismica al di sotto del sito. Quando non ci sono certezze su un punto così drammaticamente importante del problema, come è possibile pensare di lanciarsi “a fari spenti nella notte” ovvero nell’ avventura nucleare?

Riassumendo: i vantaggi prospettati sembrano di scarsa entità o addirittura dubbi a fronte della certezza di costi elevatissimi, tempi di realizzazione molto lunghi, pericolosità elevata e non eliminabile delle scorie prodotte per salute umana e ambiente, rischio altissimo in caso di incidente. Tornare al nucleare sembrerebbe proprio una follia.

 

Efficienza energetica

Prima di pensare di investire risorse ingenti sulle tecnologie nucleari è assolutamente doveroso ottimizzare l’efficienza energetica, riducendo gli sprechi al minimo in ogni settore e sviluppando, applicando e sperimentando, nel contempo, tutte le tecnologie alternative a quelle basate sulle fonti fossili per la produzione di energia, purché siano sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

Ottimi risultati si sono ottenuti con l’introduzione delle detrazioni fiscali su Irpef e Ires destinate a coloro che realizzano interventi di risparmio energetico per il riscaldamento invernale degli immobili già esistenti. Le tipologie di interventi considerate sono: la riqualificazione globale degli edifici, l’installazione di pannelli solari, l’installazione di caldaie a biomassa, la coibentazione di pareti orizzontali e verticali, la sostituzione di impianti termici con caldaie a condensazione o con pompe di calore ad alta efficienza. Secondo quanto riportato dal coordinatore Gruppo Lavoro Efficienza Energetica di ENEA in un articolo, con la coibentazione di tetti, solai e pavimenti è possibile risparmiare in media 20,56 MWh per singolo intervento, traducibili in 1.645 euro (considerando il costo di un kWh termico da caldaia a gas)[37].

Simili interventi di efficienza energetica andrebbero incentivati anche per quando riguarda il condizionamento degli ambienti durante il periodo estivo, la progettazione e l’utilizzo di elettrodomestici, televisori e computer che consumano sempre meno, di illuminazione stradale meno energivora e così via. Il risparmio è l’efficienza energetica sono a tutti gli effetti delle fonti di energia che possono sostituirsi alle centrali necessarie a produrne quella stessa quantità che non c’è più stato bisogno di consumare.

 

Esistono già degli esempi da cui prendere spunto: il fenomeno delle “Transitino town”, che sta prendendo piede anche in Italia; il progetto “Solare collettivo”, cominciato in Piemonte come una campagna di raccolta fondi per costruire impianti di energia rinnovabile a favore di tutti i partecipanti, trasformatosi in una nuova cooperativa che mette insieme i produttori e i consumatori che diventano quindi anche gli operatori della compagnia che produce energia da fonti rinnovabili; la già citata gestione sostenibile dell’energia operata dalla comunità di Prato allo Stelvio in Val Venosta; “Myzerowaste”[38], un sito e un progetto nato dall’iniziativa di comuni cittadini britannici, per riciclare tutto il riciclabile e ridurre al minimo i rifiuti domestici prodotti. Oppure il modello di economia libera dal concetto di interesse della Jak Bank di Skovde in Svezia[39], una banca cooperativa con 35.000 soci sparsi sul territorio. Ogni socio detiene una sola azione, per cui tutti hanno la stessa importanza e possono ricevere prestiti nella forma più conveniente possibile poiché lo scopo di questa banca non è di creare profitto ma di mettere a disposizione un servizio di assistenza economica ai propri soci.

 

Conclusioni

L’energia, come l’acqua, è una risorsa di primaria importanza che non deve essere inquinata dagli interessi economici di imprese che mirano solo al profitto. E’ abbastanza utopistico aspettarsi che gli imprenditori mettano il benessere della popolazione e dell’ambiente al primo posto davanti alla possibilità di avere facili guadagni per loro e per la loro azienda. Le fonti rinnovabili dovrebbero essere incentivate solo nel modo e nella misura che permetta alle stesse comunità di cittadini di rendersi energeticamente indipendenti. Per ora su piccola scala. Sarebbe meglio creare una rete di piccoli comuni autosufficienti in tutta Italia, dove la gestione delle fonti rinnovabili è affidata alla cittadinanza, il cui primario interesse sarebbe creare condizioni di vita ottimali e non il mero lucro. Le grandi e piccole imprese, invece andrebbero premiate qualora sostituissero (non aggiungessero semplicemente) progressivamente il loro approvvigionamento energetico da fonti fossili e fortemente inquinanti con quello da fonte rinnovabile.

E’ necessario cambiare il modello di vita che ci spinge verso consumi sempre maggiori e il modello economico che mette al primo posto, davanti a obiettivi più importanti, il profitto mentre considera l’aumento dei consumi addirittura un indice di crescita invece che un pericolo. E’ necessario passare da un modello sociale centrato sull’individualismo ad uno centrato sulla coesione e la collaborazione di gruppo per finalità di raggiungimento del benessere comune e quindi anche dei singoli, che ne sono l’elemento costituente. E’ necessario un cambiamento perché, come insegna la natura stessa, chi non cambia prima o poi si estingue.

 


[1] Valutazione Impatto Ambientale con annessa valutazione di incidenza per la realizzazione del parco eolico “Castelguidone” – Comitato di coordinamento regionale per la Valutazione di Impatto Ambientale - http://www.regione.abruzzo.it/xambiente/index.asp?modello=schedaIntervento&servizio=xList&stileDiv=mono&template=default&b=via&b=via476&tom=476

[2] Wind Turbines are Hazardous to Human Health - Alec N. Salt, Ph.D., Cochlear Fluids Research Laboratory, Washington University in St. Louis - http://www.epaw.org/documents.php?lang=en

[4] Questione eolica - Impatto ambientale - Comitato Nazionale del Paesaggio - http://www.comitatonazionalepaesaggio.it/eolico/impatto.html

[5] Fotovoltaico a Rovigo - L'impianto leader d'Europa – di Carlo Cavriani (Rovigo, 17 marzo 2010) ilrestodelcarlino.it - http://www.ilrestodelcarlino.it/rovigo/economia/2010/03/17/306069-fotovoltaico_rovigo.shtml

[6] Norme del secondo conto energia – Decreto 19 febbraio 2007 – Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare - http://www.gse.it/attivita/ContoEnergiaF/servizi/FtvConcentrazione/Documents/DM_20_02_07.pdf

[7] Norme del terzo conto energia - Decreto 6 agosto 2010 - Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare - http://www.gse.it/attivita/ContoEnergiaF/servizi/FtvConcentrazione/Documents/DM%206%20agosto%202010.pdf

[8] Sintesi non tecnica dello Studio di Impatto Ambientale di un impianto fotovoltaico della potenza di picco di 2540,60 kWp - http://www.sardegnaambiente.it/index.php?xsl=612&s=113279&v=2&c=4807&idsito=18

[10] PV CYCLE Association - http://www.pvcycle.org/

[11] Composti organici aromatici clorurati costituiti da due anelli benzenici legati fra loro da due atomi di ossigeno e con uno o più atomi di cloro.

[12] Dr. Federico Valerio - S.S. Chimica Ambientale - Istituto Nazionale Ricerca Cancro, Genova. Informazioni tratte da http://web.me.com/federico.valerio/Federico_Valerio/Centrali_a_biomasse.html

[13] Matteo Rocco - Universita’ di Padova - Facolta’ di Ingegneria - Corso di Laurea in Ingegneria Elettrotecnica - elaborato finale - La centrale a biomassa: incentivi del mercato elettrico ed impatto ambientale nel territorio circostante

[16] Dott. Ing. Nicola Graniglia - Il gas naturale - http://www.chim.unisi.it/basosi/didattica/IL%20GAS%20NATURALE.pdf

[17] Nicola Armaroli (ricercatore dell'Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività del CNR di Bologna), Claudio Po (medico presso l'Unità Operativa Rischio Ambientale dell'Asl di Bologna); Paolo Baggio (Università di Trento), Giovanni Antonio Longo e Andrea Gasparella (Università di Padova). Informazioni tratte da Pia Bassi - «La Stampa» e Gianmarco Guazzo -  lanuovaecologia.it  http://www.disinformazione.it/centraliturbogas.htm

[18] Dott. Montanari, intervista telefonica a cura del Dott.Luca Zoboli - Rete cittadini Aprilia contro la turbogas (http://www.noturbogasaprilia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=71&Itemid=9)

[19] Marco Caldiroli – Medicina Democratica – Centro per la Salute “Giulio A. Maccaro” – castellana - Varese – “Impatto ambientale di centrali termoelettriche alimentate a gas metano” - http://servizi.comune.fe.it/attach/ambiente/docs/impatto-ambientale-di-centrali-termoelettriche.pdf

[21] Report- “BIOM ASSE DI MA SSA” di Emilio Canalini – puntata del 31/10/2010 - http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-9dbca710-20ea-42d0-b4c4-2cf34c2f54c0.html

[22] Inceneritore per rifiuti (o termovalorizzatore) -  http://www.educambiente.tv/inceneritore.html

[23] “termovalorizzatori per morire” – di Fulvio Ascensi – blogdsalbano - http://www.youtube.com/watch?v=iKRNIBaS-gM

[24] La guerra in casa – Dr.ssa Antonietta M. Gatti - http://www.nanodiagnostics.it/images/La_guerra_in_casa.pdf

[28] Sergio Zabot – “Il gioco dell’oca” – art. pubblicato su Quale Energia n°5, anno 2010, pag. 43.

[29] “L’inganno” di Michele Buono and Piero Riccardi – Report 29/03/2009 - http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-54475a0a-4100-4797-9df9-d01a36195f19.html

[31] Informazioni tratte dal sito http://www.icjt.org/npp/world.html

[34]Supply of Uranium (updated December 2010) - http://www.world-nuclear.org/info/inf75.htm

[35] Bufale nucleari - briefing di Greenpeace, 19 Gennaio 2010 - http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/rapporti/nucleare-enel-bufale/

[36] La scoria infinita - Giuseppe Onufrio, Direttore esecutivo di Greenpeace Italia - http://qualenergia.it/articoli/20101127-la-scoria-infinita

[37] Soluzione 55% - Giampaolo Valentini – ENEA-Coord. Gruppo Lavoro Efficienza Energetica - art. pubblicato su Quale Energia n°5 anno 2010

[38] Myzerowaste – Making our world a cleaner place - http://myzerowaste.com/

[39] SENZA INTERESSI - Giorgio Simonetti - Puntata di Report del 18/05/2008 - http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-62da1054-7a22-4a34-beae-003dec4098d9.html

Rossana Bagnasco

 

 

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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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