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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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IMPATTO AMBIENTALE DELLE ESTRAZIONI PETROLIFERE IN BASILICATA

di Antonio Florio

 

L’argomento petrolio oggi riveste una grande importanza non solo a scala mondiale o nazionale, ma anche a livello regionale o municipale. Quest’ultimo aspetto riveste un’importanza altrettanto rilevante, perché le scelte locali sono quelle che si ripercuotono anche nel breve periodo sulle singole comunità o addirittura sui singoli cittadini. È possibile che amministrazioni poco lungimiranti, o piegate ad interessi diversi da quelli delle popolazioni scelgano di intraprendere strade che non rispondono ai bisogni dei territori e dell’ambiente. La Basilicata, al cui interno si situano i territori interessati dal programma di sfruttamento petrolifero è una tra le regioni più piccole d’Italia (9992 km2), poco popolata (607.000 abitanti), con una densità di 60,08 ab./km2; Ha un territorio prevalentemente montuoso e collinare, scarsamente pianeggiante; Ha 131 comuni, due province, Matera e Potenza. È dotata di uno schema viario in via di completamento, che costituisce una specie di turbamento per la regione ed i suoi amministratori da sempre  preoccupati per l’isolamento geografico e socio economico. Attualmente circa il 90% del territorio della regione Basilicata è interessato da perforazioni, da permessi di ricerca, di coltivazione e da istanze di permessi di ricerca delle compagnie petrolifere. Le società petrolifere a seguito delle estrazione versano nelle casse delle amministrazioni le c.d.  Royalties ( aliquote del prodotto di coltivazione) disciplinate dal D.Lgs. n.652 del 1996. L’Articolo 19 del citato decreto stabilisce che il titolare di ciascuna compagnia è tenuto a corrispondere annualmente allo Stato il valore di un’aliquota del prodotto di coltivazione pari al 7%. Tale aliquota è così ripartita: 30% per lo Stato, 55% per le Regioni, 15% per i Comuni. Il ruolo delle Royalties dovrebbe essere quello di favorire lo sviluppo del territorio, in termini, ad esempio, di infrastrutture, occupazione e di risanamento ambientale. La Basilicata che per altri versi soffre di uno sviluppo ancora insufficiente, è peraltro ricca di risorse ambientali; tali risorse non solo possono attivare un ciclo economico positivo grazie al turismo, ma rappresentano una fonte economica significativa grazie al ricavato che si ha dalla loro esportazione, si pensi ad esempio alla risorsa idrica.

Il contrasto più forte con la scelta di consentire lo sfruttamento del petrolio è, probabilmente, dato dalla volontà di costituire il Parco Nazionale della Val d’Agri. Sono molti anni che si definisce imminente l’istituzione del Parco, ma finora il dibattito ha purtroppo riguardato solo l’eventuale perimetrazione di quest’ultimo, senza tener conto dell’individuazione contestuale di tutti gli strumenti programmatici, finanziari e di risorse umane e materiali per consentire un progresso reale del territorio salvaguardando l’ambiente. Il quadro argometato precedentemente rende evidente che le politiche ambientali non sono politiche di pura conservazione, ma consistono in una integrazione di strumenti di protezione e tutela e in strumenti che attivano processi di innovazione in grado di migliorare il sistema di produzione di beni e servizi e di smaltimento. L’uso ottimale delle risorse costituisce un asse portante di un corretto approccio alla questione ambientale: in altri termini è fortemente limitativo discutere di un problema ambiente, di un problema petrolio, di un problema acque, di un problema turismo e così via come problemi separati.

Bisognerebbe pertanto chiarire la compatibilità delle attività petrolifere in relazione alle aree in cui esse dovrebbero essere localizzate, includendo tutti i problemi legati a perforazione, estrazione, trattamento, trasporto; verificare la sostenibilità delle estrazioni in relazione all’intero contesto regionale in materia ambientale in riferimento non solo alle politiche di tutela e protezione, ma anche in riferimento alle politiche “attive” di promozione ambientale. Oggi sono evidenti gli effetti negativi delle estrazioni, ne sono un esempio le numerose aziende agricole, spesso piccole e piccolissime, che hanno dovuto chiudere, o lo scarsa appetibilità che hanno i prodotti agricoli della zona di Viggiano, comune nel quale è istallato il Centro Oli dell’Eni. Una vicenda recente di carattere simbolico riguarda la notizia della posa in opera di un oleodotto dell’Eni nell’azienda agrituristica “il Querceto” che si trova nel Comune di Villa d’Agri, questi lavori si ritiene che possano pregiudicare l’attività dell’azienda stessa. Finalmente, dopo l’acclarata inefficacia delle “politiche del petrolio” la Commissione degli Esperti incaricata dalla Regione Basilicata si poneva l’interrogativo della compatibilità tra ambiente e petrolio. Nel Rapporto Finale sui lavori della Commissione si legge che “dal punto di vista dei risvolti economici appare evidente che lo sfruttamento petrolifero è tendenzialmente conflittuale con lo sviluppo turistico e può avere impatti negativi sullo sviluppo della filiera agroalimentare”, nel medesimo rapporto si ricorda ai decisori che la Val d’Agri (e la Basilicata) sono aree “sismogeneticamente attive colpite da vasti fenomeni di dissesto idrogeologico”, in relazione al rischio di incidente e di contaminazione delle falde idriche. In tale rapporto viene inoltre riportato il riassunto degli impatti delle attività petrolifere che segue:

1) Impatto da attività ordinarie:

- Impatto paesistico durante la fase di perforazione;

- Sottrazione di territorio valutabile in circa 25000 m2 per ogni postazione petrolifera cui va aggiunta la sottrazione di spazio per la realizzazione delle strade di accesso;

- Sottrazione di territorio derivante dalle condotte con il Centro Oli valutabile in circa 33000 m2/km;

- Rumore dovuto all’attività dei motori elettrogeni;

- Sottrazione di territorio per la realizzazione dell’oleodotto;

- Produzione di grandi quantità di detriti ed inerti da opere civili;

- Produzione di reflui derivanti dalle attività di perforazione;

- Produzione di reflui derivanti dalle attività di trattamento che si svolgono nel Centro Oli;

- Emissioni in atmosfera durante le fasi di perforazione ed estrazione;

- Emissioni in atmosfera conseguenti alle attività di trattamento nel Centro Oli;

2) Impatti legati ad incidenti; quelli che possono causare i danni maggiori sono:

- Relativamente all’attività dei pozzi:

- inquinamento di falda durante la perforazione;

- blow-out;

- Relativamente all’attività di trasporto:

- fuoriuscita di petrolio;

- Relativamente al centro oli:

- incidenti in fase di rieniezione dell’acqua di processo;

- esplosioni e sversamenti.

Può essere utile riportare la produzione media dei rifiuti prodotti da una piattaforma di perforazione da 4000 m di profondità in fase di perforazione: RSU (t)     43 - FANGHI ESAUSTI (m3)    10 - DETRITI DI PERFORAZIONE (t)   7,5 - ACQUE REFLUE (m2 lavati)    8 - RIFIUTI SPECIALI (m3)    14 - LIQUAMI CIVILI (m3)    2.

Nell’attuale quadro è difficile pensare che le attività petrolifere possano stimolare quelle politiche attive nel campo ambientale che costituiscono parte integrante di un corretto approccio ai problemi ambientali; in definitiva, mentre i vantaggi che derivano dallo sfruttamento del petrolio investono soprattutto le compagnie, gli impatti ed i rischi investono soprattutto gli ambiti in cui hanno luogo tali attività; in altri termini il petrolio si pone come una risorsa tendenzialmente conflittuale con le altre risorse endogene di immediato utilizzo da parte delle popolazioni locali.

La valutazione attenta ed approfondita dell’impatto ambientale dovuto alle attività petrolifere porta infatti alla conclusione che i rischi per le acque, il suolo, l’atmosfera, la flora e la fauna sono talmente rilevanti da compromettere in modo irreversibile non solo i valori naturalistico-ambientali dell’intero territorio, ma anche il suo patrimonio culturale e le risorse economiche tradizionali rendendo pura utopia non solo la loro convivenza con un parco nazionale ma anche la semplice possibilità di salvaguardare le valenze ecologiche in esso esistenti. E questo in nome di una risorsa quale quella petrolifera destinata nel breve- medio termine ad essere sostituita da altre fonti energetiche, come attestano le varie stime degli esperti e l’aumento della ricerca delle stesse compagnie petrolifere verso il settore delle energie rinnovabili. In definitva la Regione Basilicata non è stata in grado di valorizzare al massimo, dal punto di vista finanziario, la risorsa petrolio, o meglio ancora, la risorsa Gas Naturale, nonostante si sia avvalsa di esperti che hanno espresso non poche perplessità sulla vicenda.

Le perplessità non si placano, anzi si confermano, se si osserva la problematica dal punto di vista ambientale; il petrolio è risultato essere in forte contrasto con il territorio interessato alle perforazioni. In definitiva si può sostenere che alla luce delle problematiche relative alle attività petrolifere da un lato e alla vicenda del Parco Nazionale o, più in generale, della tutela e valorizzazione dell’Ambiente dall’altro, segue che la presunta compatibilità dei due eventi è assai difficile da sostenere. Se lo sviluppo sostenibile implica la massimizzazione dei benifici netti sociali sotto il vincolo del mantenimento dei servizi e della qualità delle risorse naturali nel tempo, non si può che constatare l’insostenibilità dello sviluppo sinora realizzato in Val d’Agri per effetto dell’estrazione petrolifera.

Vi è un aspetto che probabilmente meriterebbe una più forte attenzione, e riguarda la scelta del modello di “sviluppo” che si vuole perseguire. Questo significa che le decisioni non si possono prendere con approssimazione, soprattutto quando si ripercuotono su numerosi aspetti, quali quelli sociali, economici, politici, ambientali, culturali. Pertanto un modello di sviluppo altro è necessario per la Val d’Agri, ma probabilmente per tutta la Basilicata. Si tratta di scegliere  ma anche di farsi partecipi di una svolta culturale oggi davvero cruciale, che veda in prima linea il risparmio energetico e fonti d’energia sostenibili, quali, proprio in strettissimo riferimento al territorio lucano, il vento, il sole, o l’acqua.

Fortunatamente, anche alla luce dei pessimi risultati ottenuti in Val d’Agri, alcune amministrazioni locali iniziano a rigettare il “modello petrolio” (come i Comuni di Brienza e Sasso di Castalda), e a perseguire, seppure tra molte difficoltà, la scelta di un rapporto con il territorio basato sul turismo, l’agricoltura di qualità, la tutela ambientale.

 

Antonio Florio

 


 

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