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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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Tesi di MASTER in “GESTIONE E SICUREZZA AMBIENTALE ”

IMPATTI AMBIENTALI

di Salvatore Lo Presti

 

INTRODUZIONE

Stupidità? Istinto? Inconsapevolezza? O magari ci si illude di essere superiore a tutto e a tutti (Madre Natura compresa)?

 

Il passato ci insegna che il fatto dell’uomo di intervenire spesso anche contro natura gli ha risolto enormi problemi di sopravvivenza e di evoluzione sociale e civile. Un  esempio realistico è stato  la  rivoluzione anti-ecologica dell’uomo nell’invenzione dell’agricoltura, e cioè il primo esperimento biotecnologico di massa, che altro non è che l’intervento dell’uomo sulla natura per provvedersi di cibo più abbondante e risolvere quindi il problema della fame. Il problema etico nei riguardi dell’ambiente non è solo la predicazione e la sua traduzione socio-politica di comportamenti umani volti a salvaguardare l’habitat naturale e a rispettare la natura,senza però farne una specie di divinità pagana.

Crescere oltre il numero sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani prendono spunto dalle opportunità che risultano apparenti nell’immediato, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti. Contando su ciò che è prossimo nello spazio o nel tempo, calcoliamo  la inesorabile progressione dell’impoverimento delle risorse naturali. Allo stesso modo, non è lecito esaurire una risorsa non rinnovabile (ad esempio, i combustibili fossili) o danneggiare in modo irreversibile il patrimonio naturale o culturale, vanificandone la possibilità di fruizione da parte delle generazioni future.

Il principio d’integrazione tra ambiente e sviluppo impone radicali innovazioni culturali e politiche a tutti i livelli, individuali e di sistema, sociali e istituzionali.

 

IMPATTI AMBIENTALI

Nel corso degli ultimi decenni i problemi di inquinamento e di deterioramento delle risorse naturali si sono aggravati notevolmente. Ciò ha prodotto una intensificazione delle iniziative di politica ambientale, sia a livello nazionale che internazionale, e la necessità di perseguire lo sviluppo sostenibile, ossia uno sviluppo in grado di garantire i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.

I motivi che hanno determinato questo aumento di attenzione sono riconducibili ad aspetti ed impatti ambientali, purtroppo negativi, e sicuramente tutti collegati l’uno all’altro quali:

·        assottigliamento dello strato di ozono stratosferico;

·        riscaldamento globale;

·        piogge acide;

·        deforestazione;

·        degrado del suolo;

·        impoverimento delle risorse naturali;

·        inquinamento atmosferico;

·        inquinano di falde, fiumi, laghi e mari;

·        riduzione della biodiversità;

·        eccessiva produzione di rifiuti;

·        disastri ecologici.

 

UN GRIDO D’ALLARME

Dobbiamo obbligatoriamente costruire il nostro futuro

Le previsioni sono molto catastrofiche e fino a questo momento i governi hanno privilegiato, un pò ovunque e soprattutto in Italia, gli strumenti amministrativi , ossia l'utilizzo di norme di legge per imporre determinati comportamenti e standard, seguite da meccanismi di controllo e sanzione. Nel nostro Paese la normativa in materia ambientale, derivante quasi esclusivamente dal recepimento di direttive comunitarie, si sta evolvendo in senso sempre più restrittivo e vincolante, con controlli sempre più incisivi e sanzioni sempre più pesanti, gli obblighi ci sono, come pure le leggi, ma appare evidente che tutto ciò non basta.

E’ vero che siamo noi i responsabili dell’inquinamento ma è altrettanto vero che a ciò ci siamo abituati, seguendo spesso un stile di vita, una metodologia, che ci è stata fatta accettare anche consapevolmente ma passivamente. Bisogna ripartire, bisogna rifare sotto certi aspetti un ritorno al passato, adottando stili di vita meno inquinanti e evitando sprechi di qualunque genere. Piccoli passi e piccole cose, ma che sicuramente nel tempo porteranno ottimi risultati. L’azione prioritaria deve partire dalla fase di creazione per passare successivamente alla fase del consumo.

 

OBBLIGHI PER LE IMPRESE

Molte imprese hanno aderito a partire dal 1991 alla “Carta delle Imprese per uno Sviluppo Sostenibile”, tale adesione dal punto di vista gestionale significa:

·        riconoscere nella gestione dell'ambiente un'importante priorità aziendale;

·        migliorare continuamente il comportamento e le prestazioni ambientali;

·        formare e motivare il personale ad una conduzione ambientalmente responsabile della propria attività;

·        valutare e limitare preventivamente gli effetti ambientali delle attività aziendali;

·        orientare in senso ambientale le innovazioni tecnologiche e la ricerca;

·        dialogare con i dipendenti e il pubblico affrontando insieme i problemi ambientali;

·        orientare i clienti, i fornitori e subappaltatori nella gestione corretta dei prodotti e dei servizi.

Questi impegni consentono alle imprese di raggiungere un certo grado di compatibilità ambientale, che non implica automaticamente il perseguimento della sostenibilità, per la quale occorre un impegno di tutte le imprese e di tutti i cittadini, ma sicuramente la favorisce. Lo sviluppo economico va rivalutato come strumento primario di benessere e, conseguentemente, di crescita culturale delle popolazioni; in quanto tale, rappresenta uno dei valori fondamentali che un sistema politico deve perseguire. Si deve però evitare che l’espansione del benessere si traduca in una catastrofe ecologica.

Le economie dovranno perciò essere orientate verso obiettivi di qualità, per garantire la sostenibilità ecologica dello sviluppo. Altra conseguenza di rilievo è la necessità di tener conto delle implicazioni ambientali delle diverse politiche e delle loro interrelazioni.

Dal principio di precauzione discende il fatto che la presenza di incertezze

scientifiche su un determinato problema ambientale, sui nessi causali e sugli effetti, non esime dall’intervenire in modo cautelativo.

Il principio di prevenzione ha il merito storico di aver operato un rovesciamento dell’approccio, che ha improntato per lungo tempo le politiche pubbliche per l’ambiente.

Sempre maggiore importanza sta assumendo il principio del "chi inquina paga", sia con l’estensione del concetto di responsabilità del produttore, sia con la definizione delle fattispecie di danno ambientale, sia con gli indirizzi in materia d’internalizzazione dei costi esterni. Non si tratta certamente di criteri meramente punitivi, né di licenze d’inquinare a pagamento, quanto piuttosto dell’utilizzazione di strumenti economici atti a orientare verso la sostenibilità le attività di produzione e consumo, premiando le attività virtuose e penalizzando quelle difformi.

 

Di rilievo è anche il principio di sussidiarietà, e non solo per le concrete applicazioni già in atto all’interno dell’Unione Europea, quanto soprattutto per il forte potenziale d’innovazione nell’articolazione dei poteri e nel rapporto pubblico/privato all’interno degli Stati.

Le problematiche relative alla condivisione delle responsabilità, infine, hanno un ruolo centrale nell’attuazione delle strategie di sostenibilità che, non rispondendo alla logica del comando/controllo, richiedono una ridefinizione sostanziale dei ruoli, delle responsabilità e dei diritti dei diversi attori.

L'approccio della sostenibilità non si propone, quindi, di bloccare il progresso delle società umane, ma di guidarlo nel rispetto dei vincoli dati dalla capacità di rigenerazione delle risorse e di assorbimento dei rifiuti e dell'inquinamento da parte dell'ambiente naturale.

Sullo sviluppo sostenibile esistono varie teorie, approcci, punti di vista e significati:

proprio perché non esiste una sola soluzione a un dato problema ambientale, lo sviluppo sostenibile può essere realizzato con successo soltanto se i vari punti di vista forniscono il loro contributo alla soluzione.

Lo sviluppo sostenibile non nega la crescita e considera lecito e necessario per il suo perseguimento l’intervento dell’uomo sulla natura, almeno finché ne preserva o meglio ancora ne accresce senza danni la capacità di sostenere la presenza della specie umana.

Per le imprese quindi crescono le difficoltà dovendosi adeguare ad una legislazione in continua evoluzione. Le norme in materia ambientale non possono, quindi, essere più disattese in quanto possono essere notevoli le conseguenze negative sia in termini di costi legati ad incidenti ambientali, incidenti sul lavoro, sanzioni, sia in termini di immagine negativa, cattivi rapporti con i dipendenti, ostilità della popolazione locale, ecc. La variabile ambiente sta diventando, quindi, sempre più importante e critica per l'impresa, anche di piccole e medie dimensioni, ai fini della sua competitività e della sua redditività.

Per questo motivo le aziende sono sempre più impegnate a ridurre i consumi di materiali, eliminare i prodotti e le sostanze nocive, trovare materiali riutilizzabili e altri iniziative ambientali, al punto che l’ambiente può essere considerato un fattore di competitività che può creare nuove opportunità di mercato verso clienti maggiormente sensibili alle problematiche ambientali. Può essere quindi proficuo adottare un approccio proattivo, volto all’aumento di efficacia e di efficienza nella gestione delle problematiche ambientali, per individuare delle soluzioni strategiche e operative innovative, in modo tale che l'ambiente possa essere vissuto non solo come un vincolo ma anche come una fonte di opportunità, come un fattore attraverso il quale recuperare competitività e migliorare l'immagine aziendale.

 

CONTAMINAZIONI

La diffusa contaminazione di ecosistemi terrestri e acquatici dovuta all’immissione di composti di origine antropica ad elevata persistenza è ormai è un problema che sta assumendo una rilevanza sempre maggiore.

Le cause della contaminazione possono essere molteplici, ma senza dubbio le attività industriali rappresentano la prima causa di rischio. Tali attività, infatti, se attuate senza adeguati sistemi di contenimento in fase di produzione e di smaltimento dei sottoprodotti e rifiuti del ciclo produttivo possono generare la contaminazione del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee; per tutti questi fattori si rende ancor più evidente la necessità di salvaguardare l’ambiente.

Ogni azienda ha dunque delle responsabilità in materia di ambiente e ciò implica un impegno tecnico, organizzativo e finanziario.

In questo quadro, uno degli strumenti in grado di garantire un controllo delle variabili ambientali è rappresentato dai sistemi di gestione ambientale.

 

SOSTENIBILITA’

Secondo la sostenibilità ambientale l’uso delle risorse ambientali, per essere sostenibile, deve rispettare i vincoli dati dalla capacità di rigenerazione e di assorbimento da parte dell’ambiente naturale. La finalità di fondo è data non dalla necessità di mantenere un equilibrio statico, che di per sé non esiste in natura, ma di salvaguardare e non compromettere i processi dinamici di autorganizzazione dei sistemi bioecologici.

Tale riflessione ha favorito l’elaborazione di nuovi indicatori, quali ad esempio lo spazio ambientale e l’impronta ecologica, che consentono di calcolare e di valutare l’impatto delle comunità umane, a livello locale e nazionale, sul sistema naturale globale.

Grazie all’utilizzo di questi indicatori che rilevano, da un punto di vista quantitativo e qualitativo, il livello di utilizzo delle risorse naturali (aria, acqua, suolo) è possibile elaborare politiche realmente sostenibili in grado di guidare le attività umane senza mettere a rischio i delicati equilibri ecologici del pianeta.

La sostenibilità economica presuppone di integrare nel calcolo economico di un intervento oltre ai due tradizionali parametri del capitale e del lavoro anche il capitale naturale, dato dall’insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, laghi, foreste, fauna, flora, territorio), dai prodotti della natura (agricoltura, caccia, pesca) e dal patrimonio artistico costruito dalle società umane.

La dimensione economica della sostenibilità richiede, in particolare, di porre l’accento e l’attenzione sulla qualità e non sulla quantità della crescita attraverso una maggiore efficienza nell’uso dell’energia e delle materie e una riduzione delle emissioni di sostanze nocive e nella produzione di scarti e rifiuti. Il principio di riferimento è produrre gli stessi beni e servizi utilizzando meno risorse naturali, attraverso una maggiore efficienza sia nell’uso dell’energia e delle materie prime, sia una riduzione delle emissioni di sostanze nocive e della produzione di rifiuti.

La tecnologia diventa in questa azione una grande alleata dell’ambiente e già oggi è in grado di dare delle risposte positive ed innovative (lampadine a fluorescenza, elettrodomestici a basso consumo di acque ed energia, ecc.). L’ecoefficienza significa anche sfida per le imprese, sempre più

chiamate a soddisfare e stimolare una crescente domanda di beni e servizi di qualità. La qualità è da considerarsi il valore aggiunto per le imprese da spendere sul mercato con un duplice risultato positivo: da un lato ampliare i margini di crescita e quindi di guadagno per l’impresa e dall’altro diminuire l’impatto ambientale della produzione e del consumo.

La sostenibilità sociale, infine, pone l’accento sulla necessità di migliorare le condizioni di vita attraverso un migliore accesso ai servizi sanitari, educativi, sociali, al lavoro, ma anche il riconoscimento e la valorizzazione del pluralismo culturale e delle tradizioni locali, il sostegno e la ricerca della partecipazione popolare, nonché un cambiamento sostanziale negli stili di vita dei consumatori, promuovendo comportamenti sociali e istituzionali sostenibili. Ciò significa, soprattutto nei paesi ricchi (economicamente), promuovere comportamenti sociali e istituzionali che favoriscano l’assunzione di nuovi valori, attitudini, stili di vita in modo da modificare le scelte di consumo ed i modelli di comportamento.

Si tratta di responsabilizzare il cittadino, l’utente, il consumatore sia per l’influenza diretta che le sue scelte hanno nei confronti dell’impatto ambientale e sociale (ad esempio il consumo energetico domestico, l’uso dell’auto, i prodotti fabbricati sfruttando il lavoro minorile), sia perché la sua scelta può influenzare in via indiretta le scelte a monte delle imprese, acquistando o meno un prodotto o un servizio, e decretando così il successo dello stesso sul mercato. Grande impegno deve essere rivolto nell’azione informativa e formativa dei cittadini, che devono essere messi nelle condizioni di poter conoscere e saper distinguere i beni e servizi socio ed ecocompatibili.

 

“MIGLIORE” GESTIONE DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI

NORMATIVA A LIVELLO EUROPEO

L’attuale politica di gestione dei rifiuti dell’Unione Europea si basa sul cosiddetto concetto della “gerarchia dei rifiuti”: in altri termini, in primo luogo c’è la prevenzione ossia ridurre la produzione di rifiuti; qualora non sia possibile, i rifiuti devono essere riutilizzati, riciclati e recuperati, nell’ordine, ove ciò risulti fattibile, mentre lo smaltimento in discarica deve essere il più possibile limitato.

Lo smaltimento in discarica è la soluzione peggiore per l’ambiente, perché rappresenta una perdita di risorse.

Per i rifiuti, l’obiettivo specifico è ridurre la quantità finale del 20% entro il 2010 e del 50% entro il 2050.

Le azioni previste dal VI Programma d’Azione per l’Ambiente sono:

·        elaborare una strategia per la gestione sostenibile delle risorse, fissando priorità e riducendo il consumo;

·        stabilire un onere fiscale sull’uso delle risorse;

·        eliminare le sovvenzioni che incentivano l’uso eccessivo di risorse;

·        inserire considerazioni di uso efficiente delle risorse nella politica integrata dei

         prodotti, nei programmi di etichettatura ecologica, nei sistemi di valutazione ambientale, ecc.;

·        elaborare una strategia per il riciclo dei rifiuti;

·        migliorare i sistemi vigenti di gestione dei rifiuti ed investire nella prevenzione quantitativa e qualitativa;

·        integrare la prevenzione dei rifiuti nella politica integrata dei prodotti e nella strategia comunitaria sulle sostanze chimiche.

La Strategia tematica dell’Unione Europea sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti, approvata nel dicembre del 2005, è basata su due premesse principali :

·        La politica sui rifiuti deve essere incentrata sull’impatto ambientale derivante dall’uso delle risorse: la politica sui rifiuti deve essere collegata alla politica sulle risorse, il problema principale non è la scarsità delle risorse, ma l’impatto ambientale derivante dal loro utilizzo.

·        La politica sui rifiuti deve adottare un approccio orientato al ciclo di vita: la politica sui rifiuti deve essere collegata anche alla politica integrata dei prodotti (IPP).

Quest’ultima è intesa a ridurre gli impatti ambientali dei prodotti durante il loro intero ciclo di vita adottando, se possibile, un approccio di mercato. Essa mira a integrare fra loro le diverse politiche e gli strumenti che incidono sui prodotti nell’arco del loro ciclo di vita – dalle misure per una progettazione ecocompatibile e le valutazioni del ciclo di vita, passando attraverso gli appalti pubblici e le campagne di informazione fino ai meccanismi basati sul principio della responsabilità del produttore – per far sì che prodotti “più verdi” occupino quote sempre maggiori di mercato.

Il raggiungimento di tali obiettivi richiede grande impegno da parte dei produttori, dei consumatori e dei governi. Le misure di prevenzione dei rifiuti e le azioni volte a promuovere il riciclaggio non devono quindi generare effetti perversi in altre fasi del ciclo di vita dei prodotti.

La strategia infine prevede una razionalizzazione della legislazione attuale in materia di rifiuti, al fine di migliorarne l’attuazione.

Il primo è la modifica della direttiva quadro sui rifiuti che sarà fusa con le direttive sui rifiuti pericolosi; in questo contesto verrà introdotto il concetto del ciclo di vita, saranno chiariti il concetto di quando un rifiuto cessa di essere tale e le definizioni di “recupero” e “smaltimento”, sarà introdotta la definizione di “riciclaggio” e verrà risolto il problema della sovrapposizione tra vari atti legislativi sui rifiuti e altre normative ambientali. In secondo luogo sarà abrogata la direttiva sugli oli usati (esausti) e alcune delle disposizioni in materia di raccolta contenute in quel testo saranno inserite nella nuova direttiva quadro sui rifiuti. Sarà poi presentata una proposta di rifusione delle tre direttive sui rifiuti provenienti dall’industria del biossido di titanio.

 

NORMATIVA A LIVELLO NAZIONALE

La gestione dei rifiuti in Italia è regolamentata dalla parte IV (articoli 177-266) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (Norme in materia ambientale), in vigore dal 29 aprile 2006, emanato in recepimento delle direttive comunitarie in materia di rifiuti, rifiuti pericolosi, imballaggi e rifiuti di imballaggio. Dalla stessa data il provvedimento ha abrogato e sostituito, tra gli altri, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.22 (cd. Decreto Ronchi).

Dell’uscente quadro normativo sui rifiuti rimarranno in vigore, in base ad un regime transitorio che andrà fino all’emanazione delle regole di attuazione del nuovo D.Lgs. 152/2006, le norme tecniche regolamentali predisposte in base all’uscente D.Lgs. 22/1997.

Il D.Lgs. identifica come finalità principale della gestione dei rifiuti la necessità di assicurare un elevato grado di protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti.

Il decreto è ispirato ai principi di precauzione, prevenzione, proporzionalità, responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui si originano rifiuti.

Particolare importanza riveste il principio in base al quale è vietato abbandonare e depositare in modo incontrollato rifiuti sul suolo e nel suolo, oltre che immetterli nelle acque superficiali e sotterranee (art.192).

Si tratta di un divieto che si pone alla base di tutta la normativa in tema di rifiuti, in quanto, proprio in virtù del fatto che non è consentito abbandonare i rifiuti o depositarli in maniera incontrollata, essi dovranno essere avviati, dai loro produttori o

detentori, ad impianti di recupero o di smaltimento, debitamente autorizzati le procedure indicate nel D.Lgs. 152/2006. Un altro importante divieto è quello di miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, ovvero di categorie diverse di rifiuti pericolosi tra loro (art.187).

 

Il D.Lgs. disciplina le attività di gestione del rifiuto in modo tale da favorire la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti ed incentivarne il riciclaggio ed il recupero per ottenere prodotti, materie prime o combustibili o altre fonti di energia. Il recupero è privilegiato rispetto allo smaltimento, che costituisce pertanto solo la fase residuale della gestione dei rifiuti, in quanto, in base all’art.182, comma 1, l’autorità competente deve effettuare una verifica sull’impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero.

In sintesi il D.Lgs.152/2006 prevede:

·        la ridefinizione delle priorità nella gestione dei rifiuti (in accordo a quelle stabilite a livello Ue);

·        una rivisitazione della materia delle autorizzazioni;

·        la nascita dell’Albo nazionale gestori ambientali (in sostituzione dell’Albo nazionale gestori rifiuti)

·        la nascita di un’Autorità d’ambito, che coordini i rapporti tra gli Enti locali e gli Ato (peraltro, anche la disciplina degli Ambiti territoriali ottimali viene profondamente rivista);

·        una ridistribuzione delle competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni;

·        una rivisitazione (ed una moltiplicazione) dei Consorzi (obbligatori e non);

·        una diversa definizione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani;

·        agevolazioni burocratiche per le imprese “virtuose”;

·        modalità per la gestione di particolari categorie di rifiuti (elettrici ed elettronici,

          sanitari, veicoli fuori uso, prodotti contenenti amianto, pneumatici fuori uso,

         combustibile derivato da rifiuti).

 

MAGGIORE INCRIMINATO “LA PLASTICA”

I numeri che girano intorno al mercato della plastica sono sorprendenti; nel 2008 in Europa il consumo di materie plastiche ha raggiunto i 48.5 milioni di tonnellate, con Germania, Italia, Francia, Spagna e Inghilterra che hanno inciso da sole sul 66% dell’intero consumo europeo. Considerando che i rifiuti derivanti da plastica sono circa il 10-15% dei rifiuti urbani prodotti e che, nel caso specifico italiano la produzione pro capite di rifiuti urbani si aggira intorno ai 546 kg/abitante , ognuno di noi produce mediamente ogni anno circa 65 kg di plastica.

A prescindere dall’efficacia (o meno) della legislazione italiana nell’applicazione di importanti normative in campo di tutela ambientale, l’interesse verso le plastiche biodegradabili è una tematica molto sentita a livello globale e l’attuale panoramica di prodotti disponibili è decisamente vasta.

Batteri, mais, rape, patate, pomodori e tanti altri prodotti della Natura costituiscono un pool “bio” potenzialmente vastissimo per la creazione di nuovi materiali plastici biodegradabili che potrebbero essere la salvezza per la nostra civiltà, innegabilmente inserita, senza troppi giri di parole, in una vera e propria “età della plastica”.

 

RIFIUTI: fare la spesa senza plastica

Solo trent’anni fa si andava a fare la spesa sotto casa con la sporta o con la retina di tela appallotolata in fondo alla borsetta. Poi sono arrivati gli iper e i super mercati da scorta settimanale, i centri commerciali, spesso fuori città e raggiungibili solo in macchina. Le sporte di plastica, prima gentilmente “regalate” dopo non più, alle casse, hanno avuto il sopravvento.  

Il sacchetto uscirà tra non molto dalle nostre vite: dal 1 gennaio 2011 (salvo ennesime proroghe!) l'Italia dovrebbe infatti decretarne il divieto. Alcuni Paesi come la Cina lo hanno fatto già. L'Irlanda ne scoraggia il consumo applicando una tassa di 22 centesimi per ogni shopper acquistato.

Alcuni negozi e magazzini sono già corsi ai ripari sostituendo, in tutto o in parte, le buste di plastica con borse riutilizzabili.

 

Il sacchetto in cifre

Oggi in Europa, secondo la Commissione, si producono ogni anno circa 100 miliardi di sacchetti di plastica, per produrre i quali servono 910 mila tonnellate di petrolio.

Gli italiani ne sono tra i più assidui utilizzatori, con un consumo di circa 20 miliardi, 300 all'anno a testa, neonati compresi, pari all'emissione di circa 8 kg di CO2 a famiglia.

Solo l'1% nel mondo viene riciclato e, d'altra parte, riciclarli costa di più che produrli. Il resto finisce in discarica, negli inceneritori, in gran parte abbandonato nell’ambiente.

 

Un nemico per tutti

Un sacchetto di plastica può rimanere nell’ambiente fino a 1000 anni, a fronte di una “vita media” brevissima, il tempo necessario al trasporto della spesa fino a casa e, quando va bene, al riutilizzo come contenitore della spazzatura.

La sua capacità di viaggiare anche per centinaia di migliaia di chilometri, sospinto dal vento e dalle correnti, fa sì che sia tra le cause principali dell’inquinamento dei mari e della morte di diverse specie animali. Si stima che ogni anno i sacchetti uccidano 1 milione di uccelli e oltre 100mila esemplari tra mammiferi marini e tartarughe, che li inghiottono scambiandoli per cibo o che vi rimangano intrappolati, morendo per fame o asfissia.

L’indistruttibilità della plastica ne fa un serial killer dagli effetti potenzialmente illimitati: dopo la morte dell’animale, torna infatti libera nell’ambiente, capace di nuocere ancora.

E anche quando si degrada alla luce e al calore, non smette di fare danni: le minuscole frazioni in cui il sacchetto si scompone vanno a contaminare il suolo e le acque penetrando nella catena alimentare a partire dagli organismi più piccoli.

 

Imparare a farne a meno

In attesa che lo stop ai sacchetti di plastica diventi realtà anche nel nostro Paese, vale la pena cominciare ad organizzarsi fin da ora.

• Evitiamo di richiederli alla cassa del negozio e arriviamo già muniti di borse riutilizzabili. In commercio ormai se ne possono trovare di tutte le dimensioni e di tutti i materiali. Disegnate o a sfondi colorati, di juta, di cotone (anche equosolidale) o di plastica riciclata o resistente. Sono pratiche, lavabili e non corrono il rischio di rompersi quando trasportiamo oggetti pesanti o di vetro.

Unica accortezza: portarsele dietro quando si fa la spesa. Per non dimenticarsi, basterà lasciarle in macchina, in ufficio o ripiegate in borsa, pronte all'uso e riuso.

 

• In alternativa e se ci si è dimenticati del sacchetto, chiediamo quelli di carta o di plastica di origine vegetale, come il “mater-bi”, brevetto italiano di plastica da granoturco. I sacchetti in mater-bi si degradano molto più velocemente di quelli in polietilene (entro sei mesi la degradazione è del 90%) e possono essere usati, in caso di raccolta differenziata, come contenitori della frazione organica. In quest'ultimo caso, oltre che degradabili, i sacchetti a base di amido sono anche compostabili: degradando assieme all'umido contribuiscono a produrre il fertilizzante (vedi scheda).

• I carichi più pesanti e ingombranti, possono essere trasportati, più agevolmente e con meno fatica, anche da trolley e carrellini.

• Se al supermercato andiamo in bicicletta, una valida soluzione può essere quella di attrezzarla con un rimorchio, da montare e smontare all'occorrenza.

Se, invece, utilizziamo la macchina, può essere comodo lasciare nel baule una o più scatole di cartone: usciremo con il carrello pieno di spesa, ma senza più borse di plastica. In alternativa, alcuni grandi magazzini vendono borse che si agganciano ai bordi del carrello della spesa. Una volta fatti i nostri acquisti, la borsa potrà essere sfilata dal carrello e riposta nel bagagliaio dell'auto.

 

Cosa fare 

• evitare di chiedere sacchetti di plastica al negozio e arrivare già muniti di borse riutilizzabili, per i carichi più pesanti munirsi di pratici carrellini, attrezzare la propria bici con un rimorchio per trasportare la spesa.

 

• nei Comuni dove si effettua la raccolta dell'umido, utilizzare sacchetti in plastica di origine vegetale, degradabili e compostabili, oppure quelli in carta.

 

• fare attenzione alle proprie scelte d'acquisto: prediligere prodotti sfusi o con imballaggi ridotti e facilmente riciclabili, informarsi presso i negozi se fanno il “vuoto a rendere”, bere acqua del rubinetto

 

INTERVENTI MOLTO LIMITATI

Week-end di iniziative davanti ai supermercati ma anche blitz, convegni e appuntamenti per promuovere buone pratiche di riduzione dei rifiuti. E’ questo il programma di “Ridurre si può” la campagna di Legambiente che, intende sensibilizzare alla diminuzione degli innumerevoli sprechi nella produzione dei beni e negli acquisti e per promuovere acquisti consapevoli, privi di imballaggi inutili, favorendo prodotti sfusi, alla spina, con confezioni monomateriali riciclate o riciclabili, ma anche per incentivare l’uso degli shopper in bioplastica e delle sportine riutilizzabili in tessuto.

Sono tanti i  milioni di tonnellate di rifiuti prodotti in Italia , di cui il 50% circa è stato smaltito in discarica e solo il 27,5% avviato alle raccolte differenziate. L’immondizia che produciamo non accenna a diminuire, anzi negli ultimi due decenni nel nostro Paese è cresciuta di anno in anno.

La produzione dei rifiuti riguarda prima dei consumi gli aspetti della produzione e della distribuzione, il cui marketing di vendita è legato al confezionamento dei prodotti.

Sono moltissimi, infatti, i prodotti in cui il packaging viene utilizzato in un modo esagerato, spesso con confezioni inutili che hanno l’unica funzione di rendere appariscenti gli oggetti che acquistiamo. Evitare di comprare imballaggi inutili oltre a non incentivarne la produzione, favorisce anche un’ottimizzazione del trasporto, con packaging ridotti e merci compresse e trasportabili in numero maggiore per ogni viaggio. La ricerca di nuovi materiali e soluzioni ci permette di avere prodotti quasi totalmente disimballati e certamente più “leggeri” perché meno impattanti in termini di consumo di risorse. Nuovi ed evoluti materiali, anche in plastica rigenerata, ci consentono di ridurre gli spessori dei sacchi e degli imballi garantendo prestazioni tecniche eccellenti e preservando integralmente le caratteristiche funzionali dei nostri prodotti.

Il vantaggio è sicuramente di carattere ambientale ma anche economico. Un buon esempio in proposito è rappresentato dal latte alla spina: in Italia esistono ormai 1250 distributori di latte crudo alla spina e grazie ad essi si risparmia in media il 30% rispetto al prodotto imbustato.

Dopo anni di battaglie ambientaliste e la recente proroga di un anno da parte del governo, finalmente anche nel nostro Paese dal 1° gennaio 2011 i sacchetti non biodegradabili saranno messi al bando, per lasciare il posto agli shopper biodegradabili, ricavati da materie prime rinnovabili come il mais (ne basta mezzo chilo per produrre 100 buste) e con infiniti vantaggi.

 

Ridurre l’impatto sull’ambiente è una possibilità concreta,e per farlo bisogna promuovere e progettare eventi e sistemi a basso impatto ambientale, limitando le emissioni di CO2 ed il consumo di energia non rinnovabile.

E’ pure vero che ridurre può anche significare crisi economica, ma è un prezzo che in un certo modo dobbiamo pure pagare.

E’ necessario trovare un equilibrio fra i vari obiettivi che spesso sono in conflitto tra loro. Non c’è sviluppo sostenibile se non esiste integrazione e equilibrio fra le tre dimensioni e cioè: sviluppo sociale, sviluppo economico e sviluppo ambientale.

In questo particolare momento, Stati Uniti e Cina hanno un modo di gestire tutto a loro modo, e le classi politiche sono poche attenti a questi temi.

(Dic. 2010)

 

Salvatore Lo Presti

 

 

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