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INQUINAMENTO DA DIOSSINE: “CHI CERCA TROVA…”

 

di Ciancimino Loredana

 

INTRODUZIONE     

Con il termine generico di diossine si indica un gruppo di 210 composti chimici aromatici* policlorurati, costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e cloro, suddivisi in due famiglie: dibenzo-p-diossine (PCDD o propriamente diossine) e dibenzo-p-furani (PCDF o furani).

Si tratta di molecole particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente, tossici per l’uomo, gli animali e l’ambiente stesso, riconosciute  inquinanti organici. (Figura 1).

 

Figura  SEQ Figura \* ARABIC 1: Formula di struttura delle diossine

La tossicità* delle diossine dipende dal numero e dalla posizione degli atomi di cloro sull’anello aromatico, le più tossiche sono costituite da 4 atomi di cloro legati agli atomi di carbonio β dell’anello aromatico e pochi o nessun atomo di cloro legato agli atomi di carbonio α dell’anello aromatico.

Nella terminologia corrente il termine diossina, al singolare questa volta, viene usato come sinonimo della 2,3,7,8-tetracloro- dibenzo-p-diossina (TCDD), ossia del congenere* maggiormente tossico l’unico riconosciuto possibile cancerogeno per l’uomo) che ha 4 atomi di cloro nelle posizioni β e nessuno in α.

Tutte queste caratteristiche chimico-fisiche, rendono questi composti facilmente trasportabili  soprattutto dalle correnti atmosferiche e in misura minore, dai fiumi e dai mari, permettendo così la contaminazione di luoghi lontani dalle sorgenti di emissione.

 

1. BIOACCUMULO DELLE DIOSSINE

Le diossine, ubiquitarie nell’ambiente, a causa della loro persistenza e liposolubilità*, tendono ad accumularsi, nel tempo, negli organi e nei tessuti grassi degli esseri viventi (bioaccumulo*).

Il meccanismo primario di ingresso delle diossine è nella catena alimentare terrestre:  la deposizione atmosferica in fase di vapore  avviene sulle foglie delle piante e sul terreno, per cui se erba e suolo contaminati vengono ingeriti da animali da pascolo e da allevamento si manifesta  un accumulo di queste sostanze nei grassi delle loro carni e nei grassi del latte prodotto, inoltre, le diossine, possono essere trasportate dalle acque superficiali e raccolte nei sedimenti e raggiungere quindi la fauna ittica.

 Salendo nella catena trofica alimentare, si potrebbe verificare un aumento della concentrazione di tali sostanze, in questo caso si parla di biomagnificazione *, esponendo a maggior rischio il vertice di detta catena.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 2 :  Trasporto delle diossine

 

L’ingresso delle diossine nella catena alimentare acquatica avviene invece  mediante il cosiddetto particolato cioè  deposizione secca ed umida, erosioni, scarichi, ecc.,  nell’ambiente acquatico.

Gli animali acquatici assumono le diossine attraverso la bioconcentrazione * nell’acqua ed il trasferimento nelle reti trofiche, concentrazioni che dipendono, inoltre,  dalla percentuale di contenuto in grasso nei loro tessuti.

Le diossine, dunque, possono considerarsi dei contaminanti ubiquitari,  per cui, tutti gli esseri viventi hanno  accumulato una quantità di diossine più o meno significativa che varia in funzione dello stile di vita, delle caratteristiche fisiche, dell’alimentazione, delle caratteristiche ambientali.

Fortunatamente non tutte le diossine presenti nell’ambiente sono  biodisponibili  in forma tale da passare  nella catena alimentare ed arrecare danni alla salute.

 Nelle  aree non coinvolte da emissioni a carattere industriale, la presenza di diossine nell’ambiente deriva, piuttosto, dall’accumulo, continuo e prolungato di quantità anche piccole di questi contaminanti nelle cosiddette riserve ambientali.

 

2. EFFETTI SULLA SALUTE

L’uomo può venire in contatto con le diossine attraverso tre principali fonti di esposizione: ambientale, occupazionale, accidentale.

L’esposizione ambientale, può interessare ampie fasce della popolazione ed avviene, attraverso il contatto o l’inalazione di polvere o attraverso l’alimentazione con cibo contaminato.

L’esposizione occupazionale riguarda gruppi  di persone professionalmente esposte alla produzione di pesticidi o particolari prodotti chimici, mentre l’esposizione accidentale è dovuta ad incidenti.

La figura  3 riporta le percentuali di cibo contaminato da diossine.

 

                                                                   

 

Figura 3: esposizione a PCDD

 

L’assunzione di latte e latticini contaminati rappresenta approssimativamente il 37% dell’esposizione, tuttavia una percentuale apprezzabile del totale deriva dall’assunzione di carni bovine, suine e di pesce. I prodotti di origine vegetale contribuiscono in piccola percentuale.

Il metodo migliore per ridurre l’esposizione a queste sostanze risulta essere, ad oggi, l’adozione di un regime alimentare povero di grassi animali.

L’uomo, essendo al vertice della catena trofica, risulta esposto ai rischi di tali sostanze contaminanti anche a concentrazioni  basse, addirittura bassissime.

Gli effetti maggiormente noti sull’organismo, sviluppano delle patologie conseguenti a esposizioni acute tipiche di eventi incidentali e/o esposizioni professionali.

 

3. PATOLOGIE LEGATE ALLE DIOSSINE

La cloracne è stata storicamente la prima patologia collegata all’esposizione alle diossine, essa fu infatti individuata per la prima volta nel 1897 e  segnalata come malattia occasionale tra i lavoratori addetti  agli impianti per la sintesi dei policlorobifenili (PCB) e tra i lavoratori addetti alla produzione dei primi pesticidi degli anni 30.

La malattia si manifesta con eruzioni cutanee  e pustole simili a quelle dell’acne giovanile, ma  con possibile localizzazione estesa all’intera superficie corporea e con manifestazioni protratte, nei casi più gravi, per diversi anni.

Studi condotti su animali e sull’uomo evidenziano le alterazioni a carico del sistema immunitario indotte da diossine anche a dosi molto limitate, tali alterazioni consistono nella riduzione e nel danneggiamento dei linfociti, cellule coinvolte nella funzione importante di difesa dell’organismo.

Altri importanti effetti delle diossine sono stati rilevati  a livello del sistema endocrino, quest’ultimo interferisce con la produzione, rilascio, trasporto,metabolizzazione, legame, azione o eliminazione di ormoni naturali del corpo.

 Altri studi clinici evidenziano gli effetti particolarmente dannosi delle diossine durante lo sviluppo fetale  determinando alterazioni sia in senso immunodepressivo che ipersensibilizzante.

Nei feti esposti a concentrazioni di diossine pari o lievemente superiori ai valori di base durante la fase gestazionale sono stati riscontrati effetti sullo sviluppo del sistema nervoso e sulla neurobiologia del comportamento.

Sono stati osservati effetti tossici, sia cronici che acuti, che consistono generalmente in una riduzione della fertilità, disturbi della crescita, immunotossicità e cancerogenità in esemplari della fauna selvatica esposti alle diossine nel proprio ambiente, anche a livello delle prime fasi di vita (uova, embrioni, fasi larvali).

Molto spesso, fuori dal laboratorio è impossibile dimostrare chiaramente un

rapporto causa/effetto tra l’esposizione alle diossine ed i fenomeni osservati.

La tetraclorodibenzodiossina è stata riconosciuta quale agente cancerogeno per l’uomo  (classificata gruppo 1) dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.

L’esposizione cronica subletale alla TCDD, ad esempio, provoca un accumulo di porfirine nel fegato (porfiria: malattia che provoca una serie di effetti tra i quali distruzione di globuli rossi e fotosensibilità) ed un  incremento dell’escrezione urinaria di queste sostanze.

Nei casi conclamati, l’accumulo di porfirine si estende anche alla milza ed ai reni.

La TCDD risulta irritante per gli occhi, la cute e il tratto respiratorio. La sostanza può determinare effetti, anche in tempi ritardati rispetto all’esposizione, sul sistema cardiovascolare, sul tratto gastrointestinale, sul fegato, sul sistema nervoso e sul sistema endocrino. Contatti ripetuti o prolungati con la cute possono causare dermatiti.

Occorre inoltre osservare che, in alcuni casi, la relazione causa- effetto tra esposizione alla contaminazione ed effetti sull’organismo non è stata pienamente accertata.

                                                                                          

4. LE SORGENTI  DELLE DIOSSINE

Le diossine non vengono prodotte intenzionalmente, ma sono sottoprodotti indesiderati di una serie di processi chimici e/o di combustione.

Esse si  originano da processi chimici di sintesi  dei composti clorurati e da processi di combustione non controllata che coinvolgono vari prodotti quali:

materie plastiche, termoplastiche, termoindurenti, ecc.,  rifiuti contenenti composti clorurati, per cui tali processi vengono indicati come sorgenti primarie.

Le diossine, sono soggette a vari destini ambientali, una volta immesse nell’ambiente, danno origine a processi di accumulo in specifici comparti ambientali come suoli e sedimenti, a processi di bioaccumulo in specifici prodotti quali latte e vegetali a foglia larga ed organismi come la fauna ittica e gli erbivori, per divenire a loro volta sorgenti secondarie.

Le sostanze che producono diossine  a seguito della loro combustione vengono indicate come precursori, mentre quelle che presentano tracce/residui di diossine in conseguenza del loro processo di produzione costituiscono delle  riserve in grado di rilasciare diossine  nell’ambiente con modalità dipendenti dal tipo di utilizzazione e gestione.

Tra i processi chimici prevalgono, soprattutto, quelli di produzione delle plastiche, dei composti chimici, della carta e degli oli combustibili e come tali sono anche i responsabili diretti nella produzione sia di precursori sia di riserve.

I processi di combustione si possono distinguere in: combustioni incontrollate, combustioni controllate e quindi volontarie, combustioni controllate per la produzione di energia.

Fanno parte delle combustioni incontrollate: incendi accidentali, varie combustioni all’aperto di materiali eterogenei, quali rifiuti urbani, pneumatici, ecc., il cui contributo risulta di difficile quantificazione e valutazione; reflui e rifiuti derivanti da processi di sintesi dei composti clorurati, diserbanti, pesticidi, ecc., incendi boschivi in presenza di composti chimici clorurati per la combustione di lignina e cellulosa; eruzioni vulcaniche con meccanismo di produzione di diossine analogo agli incendi boschivi.

Tra le combustioni controllate volontarie vi fanno parte: rifiuti solidi urbani, carburante/combustibili nei processi di fusione dei metalli ferrosi e non ferrosi, carburante/combustibili nei processi di produzione del cemento, fanghi (incenerimento).

Tra le combustioni controllate per la produzione di energia: trasporti (per le riserve, invece, sono costituite da composti clorofenossilici come il vecchio diserbante 2,4,5-T o acido triclorofenossiacetico o il più attuale 2,4-D o acido diclorofenossiacetico, da composti intermedi di sintesi per i disinfettanti quali l’esaclorofene, da composti clorurati alifatici* che contengono tracce/residui di diossine come sottoprodotti indesiderati formati durante i processi produttivi.

 Altre importanti l’utilizzo di combustibili che contengono composti clorurati), combustione di legno trattato, combustione di oli combustibili.

Tra i precursori  troviamo: le termoplastiche, le cloroparaffine negli oli usati, i pentaclorofenoli (PCP/PCP-Na), i policlorobifenili (PCB), il cloro inorganico.

Questi composti chimici vengono utilizzati per la produzione di  conservanti del legno, di pesticidi, nell’industria del cuoio e della pelle in generale  e nell’industria delle plastiche.

Le riserve sono costituite da composti organici alogenati utilizzati nell’industria della plastica come il cloruro di vinile monomero , il polistirene (polistirolo) e il dicloroetilene che contengono anche essi tracce/residui di PCDD/F formatisi come sottoprodotti indesiderati durante i processi produttivi.

Si è osservato che circa il 42% delle emissioni è da imputare al macrosettore industria che riguarda le seguenti sottocategorie di combustione:

·        processi di combustione con contatto;

·        forni di processo senza contatto;

·         combustione nelle caldaie, turbine e motori a combustione interna.

Circa il 26% delle emissioni è da imputare invece ai processi di produzione che comprende le seguenti sottocategorie:

·        processi nell’industria petrolifera;

·        produzione di idrocarburi alogenati ed esafluoruro di zolfo.

·        processi nelle industrie chimiche inorganiche;

·         processi nelle industrie chimiche organiche;

·        processi nell’industria del legno, pasta per la carta, alimenti, bevande e altro;

·         processi nelle industrie del ferro e dell’acciaio e nelle miniere di carbone;

·         processi nelle industrie di metalli non ferrosi.

Circa il 13% delle emissioni è da attribuire ai processi di trattamento smaltimento rifiuti, che comprende le seguenti sottocategorie:

• incenerimento rifiuti;

• interramento di rifiuti solidi;

• incenerimento di rifiuti agricoli ;

• cremazione;

• altri trattamenti di rifiuti.

Circa il 10% delle emissioni è da attribuire al macrosettore della combustione non industriale, che comprende le seguenti sottocategorie:

·        impianti in agricoltura, silvicoltura e acquicoltura;

·        impianti commerciali ed istituzionali;

·         impianti residenziali;

I processi di combustione rappresentano dunque le attività macrosettoriali maggiormente responsabili delle emissioni in atmosfera di diossine.

Da una stima effettuata dall’Unione Europea sul rilascio di diossine  sulla matrice suolo, risulta che l’apporto maggiore della contaminazione è attribuibile alla produzione di pesticidi e agli incendi incontrollati (accidentali/dolosi).

 

4.1 Sorgenti primarie.

Le sorgenti primarie originano diossine tramite due tipologie di processo: i processi chimici-industriali, per effetto di sintesi chimiche ed i processi termici, per effetto del calore.

 

4.1.1 Processi chimici-industriali.

In tali processi chimici le reazioni avvengono generalmente allo stato liquido ed il prodotto è trattenuto all’interno dell’impianto di reazione. Le alte temperature, un ambiente basico, la presenza di raggi ultravioletti e la presenza di radicali nelle reazioni chimiche favoriscono  la formazione di diossine.

Nei processi chimici, la tendenza a generare  tali sostanze decresce nel seguente ordine:

clorofenoli > clorobenzeni > composti clorurati alifatici > composti clorurati inorganici, queste sostanze costituiscono delle riserve poichè vengono prodotte e utilizzate con tracce/residuo di diossine le cui concentrazioni possono variare secondo diversi ordini di grandezza.

 I raggi ultravioletti, tendono sia a degradare le diossine in presenza di idrogeno (ad esempio sulle foglie verdi delle piante) sia a contribuire alla loro formazione.

In passato, la principale  fonte d’origine era individuata nella produzione e nell’uso di prodotti chimici clororganici utilizzati nell’industria della carta, tra l’altro, era stata inoltre rilevata una concentrazione rilevante di diossine  nei prodotti finali del processo (pasta di carta, carta) e nei fanghi derivanti dagli stessi.

Con l’uso di nuove e migliori tecnologie, insieme ad una diversa utilizzazione delle varie sostanze, ha portato ad una riduzione delle concentrazioni di diossine nei prodotti finali e nei fanghi delle cartiere.

Altri prodotti contaminati dall’utilizzo di queste sostanze-riserve sono il legno, i prodotti in pelle e i prodotti di sughero trattati con pentaclorofenolo,i prodotti tessili, i fluidi dielettrici che contengono policlorobifenili ed altri additivi clorurati.

L’industria chimica contribuisce alla produzione di diossine anche attraverso anche la produzione di precursori quali prodotti, reflui e rifiuti contenenti composti clorurati.

Tra i precursori particolare rilevanza assumono le materie plastiche, termoplastiche e termoindurenti. Le plastiche termoindurenti, in particolare, per la loro caratteristica di essere lavorate ad alte temperature, in fase di produzione e successivamente solidificate tramite raffreddamento, tendono ad inglobare le diossine e a liberarle nell’ambito di una successiva combustione del materiale, accanto a quelle prodotte ex novo.

 

4.1.2 Processi di combustione.

Nelle combustioni le emissioni sono da attribuire alla presenza di precursori o di diossine nei prodotti/sostanze immesse attraverso determinate reazioni chimiche, alle temperature al di sopra dei 250°C e le diossine formatesi tendono ad essere rilasciate allo stato gassoso.

La Tabella 1 presenta le principali sorgenti termiche suddivise in puntuali, più facilmente misurabili e controllabili e diffuse, difficilmente misurabili e controllabili.

 

Tabella 1: Sorgenti di diossine da combustione

 

Sorgenti puntuali

• Incenerimento rifiuti: rifiuti solidi urbani, ospedalieri, combustione di residui plastici generati da pratiche agricole, combustione di gomme o pneumatici, rifiuti incontrollati, fanghi da acque reflue.

• Industria dell’acciaio: acciaierie, impianti di sintesi, produzione lastre d’acciaio.

• Impianti di riciclaggio: metalli non ferrosi (fusione; Al, Cu, Pb, Zn, Sn)

• Produzione di energia: impianti alimentati con combustibili fossili, legno, biogas da discarica.

Sorgenti diffuse

• Traffico: automobili e mezzi pesanti.

• Riscaldamento domestico: carbone, olio, gas, legno.

• Casuali: combustione PCB, incendi negli edifici, incendi boschivi, incendi di materiali vari all’aperto,eruzioni vulcaniche.

 

Incenerimento di rifiuti solidi urbani.

La presenza di elevate concentrazioni di diossina nei gas combusti dei processi di incenerimento dei rifiuti, ha portato le autorità nazionali ad una maggiore cautela nei riguardi delle tecnologie adottate.

A partire dagli anni ‘70 i livelli di concentrazione sono diminuiti del 99,8% grazie alla realizzazione di inceneritori che adottano delle metodologie di incenerimento più efficienti.

 

Combustione nei motori (trasporti).

Il cloro nel carburante degli autoveicoli è causa della formazione di diossine nel processo di combustione.

Studi di valutazione sulle emissioni di diossine relative ai trasporti su strada, mettono in risalto che il contributo è più alto per le automobili alimentate a benzina con piombo, mentre per i diesel e le auto alimentate a benzina senza piombo le emissioni sono molto più basse.

Nella Tabella 2 sono evidenziati i risultati relativi alle emissioni nella categoria trasporti.

 

Tabella 2: Emissioni di aria categoria trasporti stradali.

Sorgente di emissione Emissioni                          (g I-TEQ* /anno)

Veicoli alimentati con benzina con piombo                 97,8

Veicoli alimentati con benzina senza piombo              7,8

Veicoli alimentati con gasolio                                      5,5

 

Incenerimento di fanghi di depurazione.

Il contenuto di microinquinanti organoclorurati nei fanghi di depurazione, è inferiore rispetto a quello rilevato nei rifiuti solidi urbani, essendo presumibilmente presenti nei fanghi minori quantità di precursori come polivinilcloruro,policloribifenili, policloronaftaleni  ecc.

Con l’utilizzo di forni cosiddetti a piani, la camera di post-combustione ha il compito di riportare i fumi ad alta temperatura e di giungere alla completa combustione delle sostanze organiche presenti.

 

Combustione del legno.

In presenza di donatori di cloro la combustione del legno produce diossine con concentrazioni dipendenti dal fatto che la combustione interessi legno naturale o legno trattato con pentaclorofenolo.

 

4.1.3. Sorgenti di combustione incontrollate.

 

Incendi accidentali ed all’aperto.

E’ abbastanza difficile effettuare una stima precisa dei fattori di emissione specifici per questa categoria di sorgente, a causa della molteplicità dei materiali che possono bruciare come carta, plastica, cibo, vestiti, metalli, ecc. e della diversa natura degli incendi possibili come ad esempio incendi di edifici, di automobili, ecc.

 

Incendi boschivi.

Da studi svolti risulta che la concentrazione di diossine nei gas derivanti dalla combustione naturale di una foresta sia dovuta alla presenza di composti clorurati presenti in basse concentrazioni nell’ambiente, prima del verificarsi della combustione.

 

4.1.4 Processi di raffinazione e fusione dei metalli.

Le diossine prodotte da processi di raffinazione e fusione dei metalli sono dovute sia al tipo di combustibile bruciato nei forni per ottenere temperature sufficientemente alte da fondere i metalli sia alle materie immesse nel forno metallurgico. Le cause possono essere circoscritte nella presenza di frazioni aromatiche, residui pesanti suscettibili di cracking, ecc.

Inoltre, tutti i processi di rifusione di rottami non ferrosi e ferrosi possono potenzialmente dar luogo ad emissioni di diossine per la presenza di plastiche, oli, varie sostanze chimiche e PCB presenti nei componenti elettrici

vecchi.

 

4.1.5 Processi per la produzione di cemento.

I fattori responsabili della formazione di diossine sono: la fase di cottura che è la parte centrale della produzione cementiera, durante la quale i forni  raggiungono temperature di 1450°C ed è difficile, tra l’altro, ottenere una distribuzione uniforme della temperatura in ogni parte del forno, e quindi, può subire brusche variazioni per la grande quantità di materiali solidi presenti ed un sufficiente apporto di ossigeno.

 

5. Bioaccumulo.

Con il termine bioaccumulo si indica quel fenomeno di accumulo irreversibile di una sostanza nei tessuti degli organismi viventi: esso viene utilizzato, indirettamente, come parametro per la determinazione degli effetti tossici delle diossine.

Il bioaccumulo delle sostanze tossiche può avvenire o direttamente dall’ambiente in cui l’organismo vive, in questo caso le concentrazioni della sostanza nei tessuti dell’organismo diventano progressivamente più alte di quelle presenti nell’ambiente da cui è stata assorbita, oppure il bioaccumulo si può verificare attraverso l’ingestione lungo le catene trofiche oppure in entrambi i modi: nel primo caso il fenomeno viene definito bioconcentrazione, nel secondo caso biomagnificazione.

Nel caso della bioconcentrazione le concentrazioni della sostanza nei tessuti dell’organismo diventano progressivamente più alte di quelle presenti nell’ambiente da cui e stata assorbita.

 Il fattore di bioconcentrazione viene definito come il rapporto all’equilibrio, tra la concentrazione di una sostanza tossica nell’organismo e quella nel mezzo circostante.

 Elevati fattori di bioaccumulo sono responsabili del fenomeno di amplificazione delle concentrazioni, che portano quantità e concentrazioni nei comparti ambientali  potenzialmente preoccupanti.

 

6. Fattore di Tossicità Equivalente (TEF*).

Il fattore di tossicità equivalente esprime la tossicità dei singoli congeneri, in quanto solitamente, le diossine vengono rilevate come miscele complesse dei diversi congeneri, anche se non tutti i congeneri sono tossici o lo sono alla stessa maniera.

 Il legame tra le diossine ed il recettore Ah* è il passo chiave per il successivo innescarsi degli effetti tossici: la relazione tra struttura e attività è responsabile di un unico meccanismo d’azione, che determina i numerosi effetti tossici delle diossine e dei composti diossino-simili. Tali composti sono infatti tutti caratterizzati da una struttura chimica planare, che permette loro di interagire con lo stesso recettore citoplasmatico, il recettore arilico per gli idrocarburi AhR. L’affinità di legame tra molecola e recettore è direttamente proporzionale al numero di atomi di cloro sostituiti nelle posizioni laterali e risulta massima con tutte le posizioni occupate mentre diminuisce all’aumentare del numero di atomi di cloro in posizioni non laterali. Se ne deduce che la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCCD) è il composto con maggiore affinità di legame per il recettore.

La sostanza tossica entra all’interno della cellula attraverso la membrana plasmatica, legandosi  con il recettore citosolico AhR. In seguito a tale legame si presume che AhR vada incontro ad un cambiamento di conformazione che permette una traslocazione del complesso nel nucleo. Il complesso ligando-AhR subisce, quindi, una dimerizzazione con una proteina nucleare ARNT (AhR Nuclear Translocator): tale processo converte l’AhR nella forma DNA legante ad alta affinità.

 Il legame del complesso multimerico ligando:AhR:ARNT, stimola la trascrizione di alcuni geni con conseguente produzione di mRNA per il citocromo P4501A1 e quindi induzione enzimatica, inoltre vengono sintetizzati anche mRNA per proteine  responsabili di svariate manifestazioni cliniche.
Tuttavia, sebbene il ruolo di AhR negli effetti biologici e tossici prodotti dai ligandi di AhR  sia ben documentato, gli esatti eventi biochimici responsabili per i vari effetti avversi di tali sostanze chimiche rimangono ancora da chiarire. Il ruolo fisiologico di AhR rimane una questione chiave ed ancora non sono stati identificati ligandi endogeni ad alta affinità.
 Probabilmente la maggiore esposizione ai ligandi di AhR si ha mediante l’alimentazione. In effetti la maggior parte dei ligandi “naturali” identificati finora sono ricollegabili all’alimentazione o prodotti alimentari delle piante, tra questi composti ritroviamo i flavonoidi, i carotenoidi e i fenoli, anche se la maggior parte di essi presenta solo una debole attività. In ogni caso è stata riportata la presenza di ligandi per questo recettore in diversi tipi di vegetali, frutti, erbe e anche nel the. La cosa preoccupante è che diversi tipi di indoli alimentari quali il triptofano, possono essere convertiti, all’interno del tratto digerente dei mammiferi, in composti molto più potenti nell’attivazione della via di segnale di AhR.

 

 

Figura 4: Meccanismo d’azione della diossina (TCDD)

 

I TEF, quindi vengono calcolati confrontando l’affinità di legame dei vari composti organo clorurati con il recettore Ah, rispetto a quella della 2,3,7,8-TCDD, considerando l’affinità di questa molecola come il valore unitario di riferimento.

Per esprimere la concentrazione complessiva delle diossine nelle diverse matrici si è introdotto il concetto di tossicità equivalente (TEQ) che si ottiene sommando i prodotti tra i valori TEF dei singoli congeneri e le rispettive concentrazioni, espresse con l’unità di misura della matrice in cui vengono riscontrate.

 

Formula per il calcolo del TEQ

Le unità di misura della concentrazione vengono espresse, generalmente in:

suolo/sedimenti: mg/kg – g/kg – ng/kg;

acque: mg/l – g/l – ng/l;

aria: mg/m3 - g/m3 - ng/m3.

I fattori di emissione sono, invece espressi, in generale, su base oraria o giornaliera .

 

7. COMPORTAMENTO E DISTRIBUZIONE AMBIENTALE

 

7.1 Ambiente atmosferico.

Per comprendere il comportamento delle diossine nei diversi comparti ambientali occorre capire le leggi che regolano ne il loro movimento nell’ambiente atmosferico e quali caratteristiche chimico-fisiche devono essere considerate per individuare i possibili effetti sugli ecosistemi e il destino ambientale.

Le diossine  sono composti definibili semivolatili e nell’atmosfera, sono presenti sia in fase vapore che come particolato.

La deposizione sul suolo, sulla vegetazione e sulle superfici acquatiche di questi contaminanti può avvenire attraverso meccanismi di deposizione secca e umida.

La deposizione umida è il meccanismo primario attraverso il quale il particolato di piccole dimensioni viene rimosso dall’atmosfera, contaminando suolo, corpi idrici e vegetazione in due modi: o si dissolvono nelle precipitazioni o sono associate al particolato rimosso dalle precipitazioni.

La deposizione secca può avvenire nei due seguenti modi:

• deposizione umida (rimozione attraverso precipitazioni);

• deposizione secca di particolato (caduta gravitazionale delle particelle) ed infine deposizione secca della fase vapore (assorbimento di queste sostanze in fase vapore dalla vegetazione).

 

7.2 Ambiente terrestre.

L’ambiente terrestre può ricevere gli inquinanti ambientali attraverso le seguenti vie:

• deposizione atmosferica;

• spandimento di fanghi e composti;

• spandimento di sedimenti provenienti da esondazioni;

• erosione da aree contaminate nelle vicinanze.

Nel suolo la diossina, ad esempio, non presenta mobilità significativa in quanto è adsorbita dal carbonio organico del suolo stesso, una volta adsorbita, rimane relativamente immobile ed a causa della bassa solubilità in acqua non mostra tendenza alla migrazione in profondità.

 La via di fuga più probabile della diossina che si trova sulla superficie del suolo umido è la volatilizzazione e l’adsorbimento può attenuare tale processo.

La sua persistenza di negli strati superficiali del suolo è stimata con un’emivita pari a 9-15 anni, mentre l’emivita stimata per gli strati più profondi è di 25- 100 anni, il suolo, dunque, rappresenta un importante mezzo di accumulo.

  

7.3.Ambiente acquatico.

Le diossine sono molecole scarsamente idrosolubili, ma trovano nell’acqua un’ottima via di diffusione una volta adsorbite sulle particelle minerali ed organiche che si trovano in sospensione su di essa.

L’ambiente acquatico può ricevere le diossine attraverso:

1. deposizione atmosferica,

2. immissione di reflui industriali,

3. dilavamento di suoli contaminati.

Una volta immesse nei corpi idrici le diossine possono bioaccumularsi negli organismi, o volatilizzare e quindi rientrare in atmosfera, o adsorbirsi ai sedimenti.

 

7.4 Assorbimento e contaminazione nei vegetali.

L’assorbimento dei composti organici da parte delle piante è controllato da vari fattori:

• caratteristiche delle piante;

• fattori ambientali, come temperatura, contenuto di carbonio organico nei terreni, contenuto di acqua nel suolo;

• proprietà chimico-fisiche del composto, come peso molecolare, solubilità in acqua, coefficiente di ripartizione ottanolo-acqua, pressione di vapore* .

I vegetali possono essere contaminati da sostanze inquinanti attraverso tre importanti meccanismi:

1. deposizione atmosferica direttamente sulle foglie;

2. assorbimento radicale con il trasferimento dell’inquinante dal suolo alla parte alta della pianta attraverso l’assorbimento da parte delle radici;

3. volatilizzazione dal suolo.

La concentrazione totale di contaminante presente nelle piante si ottiene con la somma di contaminante assunto attraverso tutti questi meccanismi.

Figura 5: la contaminazione delle piante da diossina

 

7.4.1 Deposizione atmosferica.

La deposizione atmosferica può essere classificata secondo tre diverse tipologie:

• deposizione secca di gas;

• deposizione secca di particolato;

• deposizione umida.

L’incidenza di queste tre vie di contaminazione dipende dalla ripartizione

gas/particolato di PCDD/F in atmosfera.

Il trasferimento sulla vegetazione di tutti i congeneri delle diossine, avviene attraverso meccanismi di deposizione secca della fase vapore, mentre i congeneri epta e octa sostituiti contaminano suolo e vegetazione attraverso meccanismi di deposizione secca e umida di particolato.

La deposizione atmosferica di queste sostanze rappresenta una via di contaminazione molto significativa per i vegetali, poichè le diossine che  si depositano sulla loro superficie, vengono assorbite dalla cuticola cerosa presente sulla superficie fogliare.

Una volta che le diossine sono fissate sulla superficie delle foglie non vengono assorbite all’interno della pianta, in quanto non vi sono meccanismi in grado di trasportare queste sostanze all’interno dei tessuti dei vegetali.

I fattori principali che controllano la deposizione di diossine nella fase vapore sono la concentrazione in atmosfera di PCDD/F, la superficie di esposizione, la quantità e la qualità delle strutture cerose ed altre caratteristiche delle piante: dati sperimentali indicano che, per un breve periodo di esposizione, maggiore è la superficie specifica di esposizione della foglia, maggiore è la quantità di diossine assorbita.

 

7.4.2 Assorbimento radicale.

L’assorbimento radicale di diossine da parte delle piante rappresenta una via di contaminazione poco significativa, poichè nel suolo sono fortemente adsorbite al carbonio organico e quindi risultano poco disponibili per le piante.

Fa eccezione la famiglia delle cucurbitacee (zucche ecc.), le quali rilasciano particolari essudati radicali che mobilizzano le diossine in prossimità delle radici rendendole disponibili all’assorbimento radicale, da lì vengono trasportate, tramite i sistemi vascolari delle piante, dalle radici ai frutti.

 Mentre per i vegetali che crescono sottoterra, come patate e carote, l’assorbimento radicale è trascurabile, i bulbi vengono coinvolti solo da un assorbimento superficiale dovuto al contatto diretto delle diossine presenti nel suolo e quindi la rimozione della buccia comporta l’eliminazione del contaminante.

 

7.4.3 Volatilizzazione di diossine dal suolo.

La volatilizzazione di diossine dal suolo ed il conseguente assorbimento del vapore da parte delle foglie rappresenta un’altra via di contaminazione dei vegetali, anche se quest’ultima è rilevante nel momento in cui il suolo presenta alte concentrazioni di diossina.

Oltre alle zucchine, anche spinaci e mais possono presentare alte concentrazioni di diossina.

 

8.La politica ed i programmi internazionali di controllo.

Le conoscenze scientifiche hanno permesso che le autorità nazionali e la comunità internazionale sviluppassero una legislazione sempre più restrittiva, per la produzione, l’immissione sul mercato e lo smaltimento di prodotti contenenti diossine.

A livello internazionale le principali iniziative sono le seguenti:

• la dichiarazione adottata nel 1990 dalla Conferenza del Mare del Nord che ha stabilito una riduzione del 70% delle emissioni di diossine;

• la revisione del Protocollo della Convenzione di Barcellona sulla salvaguardia del Mediterraneo dall’inquinamento prodotto da fonti situate a terra, che contiene un elenco di sostanze da limitare, tra cui anche le diossine;

 • La convenzione di OSPAR (Oslo e Parigi), stipulata nel 1998, per la protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico nordorientale, con lo scopo di eliminare le emissioni, gli scarichi e le perdite di sostanze pericolose entro il 2020 e raggiungere cosi concentrazioni “quasi zero” di composti come diossine  nell’ambiente marino.

• La convenzione di Stoccolma, adottata il 23 maggio 2001, firmata da oltre 120 nazioni, è un trattato internazionale che vieta la produzione, l’uso ed il rilascio di sostanze chimiche pericolose conosciute come inquinanti organici persistenti.

Tale trattato rappresenta una svolta per l’industria e per i programmi ambientali, poichè si riconosce, per la prima volta, che il rilascio degli inquinanti tossici non può essere controllato e quindi deve essere impedito per proteggere la salute pubblica e l’ambiente.

La Convenzione di Stoccolma oltre a prevedere l’eliminazione di dodici composti ritenuti prioritari soprannominati “la sporca dozzina”, tra cui le diossine, regola anche l’immissione sul mercato di nuovi composti chimici che abbiano caratteristiche di tossicità.

La lista nera continua, includendo anche: DDT, esaclorobenzene, toxafene, mirex, aldrin, endrin, dieldrin, clordano, eptacloro. Si tratta di pesticidi agricoli, sostanze chimiche industriali e sottoprodotti della combustione praticamente ubiquitari.

 

9.La normativa Comunitaria

La Comunità europea è parte contraente di molte convenzioni a livello internazionale, l’intervento Comunitario su queste tematiche è legittimato dall’art. 152 del trattato della Comunità europea che prevede: “nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”.

Poi vi è l’articolo 174 che stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale debba contribuire alla salvaguardia, alla protezione e alla promozione della qualità dell’ambiente e della salute umana.

In ambito comunitario sono state emanate numerose direttive, si tratta in particolare della legislazione in materia di:

- restrizioni d’immissione sul mercato e di uso dei prodotti chimici (Direttiva

85/467/CE che proibisce l’immissione sul mercato e l’uso di tali sostanze);

- incenerimento dei rifiuti: Direttiva 2000/76/CE: tale Direttiva/testo unico, superando con effetto abrogativo dal 28 dicembre 2005 le precedenti 89/369/CEE sui nuovi inceneritori per rifiuti urbani, 89/429/CEE sugli inceneritori esistenti per i rifiuti urbani e 94/67/CEE sull’incenerimento dei rifiuti pericolosi, accorpa in forma compiuta tutte queste categorie di rifiuti;

-tutela delle acque (Direttiva 2000/60/CE, direttiva quadro sull’acqua;

-Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano;

-Direttive comunitarie 91/271/CE sulle acque reflue urbane e 91/626/CE sull’inquinamento da nitrati in agricoltura);

- controllo dei pericoli legati agli incidenti rilevanti (Direttiva 96/82/CE che mira a prevenire i pericoli e limitare le conseguenze degli incidenti);

-alimenti (Regolamento 466/2001/CE sui tenori massimi per alcuni contaminanti nei prodotti alimentari;

-Regolamento 2375/2001/CE; Direttiva 2002/69/CE che stabilisce metodi di campionamento e d’analisi per il controllo di diossine nei prodotti alimentari);

- alimentazione e mangimi per animali (Direttiva del Consiglio 1999/29/CE sulle sostanze e prodotti indesiderabili nella nutrizione degli animali;

-Regolamento 102/2001/ CE; Direttiva 2005/7/CE che stabilisce i requisiti per la determinazione dei livelli di diossine nei mangimi per animali).

 

10.LE NORME E I LIMITI PER LE DIOSSINE

 

10.1 Normativa in campo alimentare.

Le diossine sono contaminanti che permangono inalterati nell’ambiente per molti anni e riescono, direttamente o a mezzo di catene trofiche, ad arrivare fino agli alimenti, infatti oltre il 90% dell’esposizione umana alle diossine è riconducibile agli alimenti, tra i quali,  i prodotti della pesca ed altri prodotti di origine animale determinano oltre l’80% dell’esposizione totale.

Il comitato scientifico dell’alimentazione umana (Scientific Commitee on Food SCF65) dell’Unione Europea ha espresso, un parere sulla valutazione dei rischi delle diossine nei prodotti alimentari: stabilendo un valore cumulativo per la dose tollerabile settimanale (Tolerable Weekly Intake, TWI*) di diossine pari a 14 picogrammi (pg*) di equivalente tossico (TEQ*) per chilogrammo di peso di corporeo.

Dati rappresentativi sull’assunzione settimanale indicano che i valori medi di

diossine assunti con la dieta alimentare nell’Unione Europea sono compresi tra 8,4 e 21 pg di equivalente tossico (TEQ)/kg di peso corporeo/settimana, il che significa che una notevole parte della popolazione europea si troverebbe ancora al di sopra del limite della dose tollerabile settimanale.

Il Regolamento CE 2375/2001 del Consiglio, definisce i tenori massimi di taluni contaminanti, tra cui le diossine, presenti nelle derrate alimentari.

Per le diossine (Tab 3) i livelli massimi sono fissati principalmente per prodotti alimentari di origine animale.

 

Tabella 3: Livelli massimi di diossine nei prodotti alimentari

Prodotti                                                   Livelli massimi di diossine      (pg                   WHO-PCDD/F-TEQ/g grasso o prodotto)

Carne e prodotti a base di carne di:

- ruminanti (bovini, ovini)                                                                       3pg                                                              WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

- pollame e selvaggina d’allevamento                                                     2 pg                              WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

- suini                                                                                                      1 pg                               WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

Fegati e prodotti derivati                                                                           6 pg                               WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

Muscolo di pesce e prodotti della pesca e loro derivati                             4 pg                               WHO -PCDD/F-TEQ/g peso fresco

Latte e prodotti lattiero-caseari, compreso grasso butirrico                      3 pg                               WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

Uova di gallina e ovoprodotti                                                                    3 pg                               WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

Oli e grassi:

- Grasso animale:

- di ruminanti                                                                                         3 pg                                                                              WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

- di pollame e selvaggina                                                                       2pg                                          WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

- di suini                                                                                                 1pg                                         WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

- miscela di grassi animali                                                                      2pg                                       WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

 - Olio vegetale                                                                                   0,75 pg                                   WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

- Olio di pesce destinato al consumo umano                                         2pg                                              WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso

 

 

Nessun livello massimo, invece,  si applica  alla frutta e agli ortaggi, ai cereali, poiché tali prodotti alimentari presentano generalmente bassi livelli di contaminazione e quindi costituiscono un fattore che contribuisce solo marginalmente all’esposizione complessiva dell’uomo alle diossine.

Poichè la contaminazione di alimenti quali carne, latte e uova è direttamente correlata alla contaminazione dei mangimi, è stato ritenuto indispensabile definire non soltanto un livello massimo di tollerabilità di diossine negli alimenti animali ma anche misure volte a ridurne le emissioni nell’ambiente.

In Italia il D.Lgs. 10/5/2004 n.149 fissa i limiti massimi di sostanze e prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli animali: tale decreto recepisce le Direttive comunitarie n. 2001/102/CE, n. 2002/32/CE, n. 2003/57/CE e n. 2003/100/CE.

 

Tabella 5 : valori diossine OMS

Diossine (somma di dibenzo-p-diossine  e di dibenzofurani espressi in equivalenti di tossicità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.)

 

Prodotti destinati                                    Contenuto massimo in ng WHO -                  

all’alimentazione degli animali             PCDD/F-TEQ/kg di mangime

                                                                  al tasso di umidità del 12%

Tutti i componenti dei mangimi di origine vegetale                   0,73

compresi gli oli vegetali e sottoprodotti                                                                                                                                                          

 

Minerali intesi conformemente all’allegato

della direttiva 96125/CE relativa alla circolazione

ed all’utilizzo di materie prime per mangimi                               1                                  

 

Argilla caolinitica, solfato di calcio biidrato,

vermiculite, natrolite-fonolite,

alluminati di calcio sintetici,

 clinoptilolite di origine sedimentaria

e perlite  appartenente al gruppo

 degli agenti leganti, antiagglomeranti

e coagulanti autorizzati in conformità alla direttiva 70/524/CE            0,75                                                                                                                                                      

 

 Grasso animale compresi i grassi del latte e delle uova                           2                                                           

                                                                         

Altri prodotti di animali terrestri

compresi il latte ed i prodotti lattiero-caseari,

 nonché  le uova e gli ovoprodotti                                                        0,75                                                            

 

Olio di pesce                                                                                           6                                                         

Pesce, altri animali marini, loro prodotti

e sottoprodotti ad eccezione dell’olio di pesce

 e degli idrolisati proteici di pesci contenenti

oltre il 20% di grasso (1)                                                                       1,25

 

Mangimi composti, ad eccezione dei mangimi per animali da pelliccia,

 per animali da compagnia e per pesci                                                   0,75                                                                     

 

Mangimi per pesci, animali da compagnia                                             2,25                                                                                          

Idrolisati proteici di pesci contenenti oltre il 20% di grasso                  2,25                                                                

 

(1)  Il pesce fresco consegnato direttamente e utilizzato senza trattamento intermedio per la produzione di mangimi destinati ad animali da pelliccia è  esentato dal limite massimo ed un tenore massimo di 4,0 ng OMS PCDD/FTEQ/ kg di prodotto è applicabile al pesce fresco destinato ad essere direttamente somministrato ad animali da compagnia e ad animali da zoo o da circo. I prodotti, proteine animali lavorate, prodotte a partire da questi animali (animali da pelliccia, animali da compagnia, animali da zoo e da circo) non possono entrare nella catena alimentare  e ne è pertanto vietata la somministrazione agli animali da allevamento tenuti, ingrassati o allevati per la produzione di alimenti.

 

11.Normativa e linee guida in campo ambientale.

 

11.1 Emissioni in atmosfera.

Il D.M. 12/07/1990, recante linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione, stabilisce valori di emissione per varie tipologie di sostanze inquinanti. Secondo tale decreto i valori limite di emissione delle diossine sono di 0,01 mg/m³.

Il D.M. 25/02/2000 n. 124,  recante i valori di emissione e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della Direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, fissa valori limite di emissione in atmosfera per varie sostanze.

Tale decreto prevede che gli impianti di incenerimento siano progettati, equipaggiati e gestiti in modo che durante il periodo di effettivo funzionamento dell’impianto, comprese le fasi di avvio e di spegnimento dei forni ed esclusi i periodi di arresti o guasti, non vengano superati dei valori limite di emissione nell’effluente gassoso. In ogni caso il valore limite di emissione di tali sostanze non può essere superiore a 0,1 ng/m³, come valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 8 ore.

Il D.M. 19/11/1997 n. 503, regolamento recante norme per l’attuazione delle

Direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE concernenti la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e la disciplina delle emissioni e delle condizioni di combustione degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi, nonchè di taluni rifiuti sanitari, fissa dei valori limite di emissione per gli impianti di incenerimento la cui costruzione è stata autorizzata precedentemente o successivamente alla sua entrata in vigore il cui limite di emissione e pari a 0,004 mg/m³ (I-TEQ).

 Agli impianti di incenerimento la cui costruzione viene autorizzata successivamente alla entrata in vigore del presente decreto i valori limite  per le sostanze è pari a 0,1 ng/m³ come valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 8 ore.

La Direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’incenerimento dei rifiuti prevede una serie di valori limite di emissioni per varie sostanze.

Gli impianti di coincenerimento devono essere progettati, costruiti, attrezzati e fatti funzionare in maniera da non superare i valori limite di emissione per i gas discarico e prevede per  le diossine i seguenti valori:

• disposizioni speciali relative ai forni per cemento che coinceneriscono rifiuti: 0,1 ng/m³;

• disposizioni speciali per impianti di combustione che coinceneriscono rifiuti: 0,1 ng/m³,

• disposizioni speciali per settori industriali che coinceneriscono rifiuti precedentemente non contemplati: 0,1 ng/Nm³ (I-TEQ*).

Tutti i valori medi sono misurati in un periodo minimo di campionamento di 6 ore e massimo di 8 ore.

Tale Direttiva fissa anche dei valori limite di emissione relativi agli scarichi di acque reflue derivanti dalla depurazione dei gas di scarico evacuate da un impiantondi incenerimento o coincenerimento. Per le diossine tale valore è pari a 0,3 ng/l.

Il D.M. 5/02/1998, recante individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, fissando dei valori limite per le emissioni, convogliate in atmosfera, conseguenti al recupero di materia dai rifiuti non pericolosi.

 

11.2 Acque destinate al consumo umano.

Il D. Lgs. 2/2/2001 n. 31, recante attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano, fissa per una serie di sostanze i valori massimi ammissibili. Nella lista di queste sostanze non c’e riferimento alle diossine.

 

11.3 Acque superficiali.

La normativa italiana non presenta obiettivi di qualità per le acque superficiali.

Ma va comunque segnalato che per la Laguna di Venezia, rappresenta un ecosistema di rilevante importanza socio-economica ed ambientale, è stato emanato appositamente il D.M. 26/05/99, che  individua delle tecnologie da applicare agli impianti industriali ai sensi del punto 6 del D.M. 23/04/98 relativo ai requisiti di qualità delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione per la tutela della laguna di Venezia. Tale decreto infatti riconosce la pericolosità di vari inquinanti, tra cui le diossine ed è finalizzato a ridurre le emissioni e l’impatto sull’ambiente.

 

11.4 Acque sotterranee.

Il D.M. 25/10/1999 n. 471,  recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 5-2-97 n. 22 e successive modifiche ed integrazioni, fissa dei valori di concentrazione limite accettabili nelle acque sotterranee. Per le diossine tale valore e pari a 4 pg/l.

 

11.5 Sedimenti.

Le diossine, a causa delle sue caratteristiche chimico-fisiche mostrano un’elevata affinità verso i sedimenti.

La normativa italiana e quella comunitaria,  non definiscono i limiti di concentrazione nei sedimenti, infatti il D.Lgs. 11/5/1999 n. 152, recepimento della Direttiva 91/271/CEE e della Direttiva 91/676/CEE, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, stabilisce solo che le analisi sui sedimenti sono da considerarsi delle analisi supplementari eseguite, se necessario, per avere, ulteriori elementi  utili a determinare le cause di degrado ambientale di un corso d’acqua e considera le diossine tra i microinquinanti e le sostanze pericolose prioritarie da ricercare nei sedimenti.

 

Il D.M. 6/11/2003 n. 367, regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.Lgs. 152/99, fissa dei valori standard di qualita dei sedimenti di acque marine- costiere, lagune e stagni costieri per una serie di sostanze. Lo standard di qualità relativo a diossine e furani e di 1,5 10-3 mg/kg.

Il valore ISQG (Interim Sediment Quality Guideline) è un parametro che rappresenta la concentrazione al di sotto della quale raramente si dovrebbero verificare effetti biologici avversi, essi sono valutati, da studi che mettono in relazione la concentrazione del contaminante con gli effetti avversi che si manifestano.

Valori guida completi (SQG Sediment Quality Guideline) sono ottenibili solo nel caso in cui sia possibile mettere in relazione su base scientifica il tipo e le caratteristiche del sedimento (carbonio organico totale, distribuzione delle dimensioni delle particelle), le caratteristiche della colonna di acqua sovrastante (per es. pH, ossigeno disciolto) con il valore ISQG.

Il valore PEL( Permissible Exposure Limit, limite di esposizione ammessa) è un altro parametro che definisce la concentrazione al di sopra della quale e probabile si verifichino effetti avversi.

I valori guida rappresentano la base per la formulazione degli obiettivi di qualità da applicare allo specifico sito in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche (concentrazioni del fondo naturale, caratteristiche geochimiche) e biologiche del sito stesso.

 

11.6 Suolo.

Il D.M. 25/10/1999 n. 471 disciplina i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli e dei sottosuoli in base alle specifiche destinazioni d’uso dei siti, quali siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale oppure siti ad uso commerciale ed industriale.

 

11.7 Scarichi.

Il D.Lgs. 152/99 disciplina gli scarichi in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici ed impone il divieto di scarico per alcune sostanze. Nella lista di queste sostanze non c’è esplicito riferimento alle diossine ma ai composti organo alogenati e alle sostanze che possono dare origine a tali composti.

 

11.8 Fanghi

Il D.Lgs. 27/01/1992 n. 99, attuazione della Direttiva 86/278/CE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, non stabilisce valori limite di concentrazione per le diossine nei fanghi di depurazione.

Alla luce di nuovi studi in Europa, si sta riesaminando tutta la direttiva  86/278/CE, con la quale si dimostra la presenza incomoda di tutta una serie di composti chimici, potenzialmente pericolosi per la salute dell’uomo a causa della temuta trasferibilità tramite catena alimentare come, appunto, le diossine.

 

11.9 Rifiuti.

Il D.Lgs. 13/01/2003 n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, stabilisce requisiti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente, in particolare l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell’atmosfera, e sull’ambiente globale, compreso l’effetto serra, nonchè i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l’intero ciclo di vita della discarica.

Secondo il decreto non sono ammessi in discarica rifiuti che contengono o sono  contaminati da diossine e furani in quantità superiore a 10 ppb*.

 

11.10 Limiti di esposizione occupazionale.

In Italia non esistono valori limite di esposizione professionale stabiliti per le diossine negli ambienti di lavoro.

 

12. LE CONTAMINAZIONI E GLI INCIDENTI PIU RILEVANTI LEGATI ALLE DIOSSINE

 Negli anni ‘50 e ‘60, viene avviato il processo conoscitivo di contaminanti e

delle relative ricadute ambientali,in seguito agli incidenti avvenuti nelle industrie produttrici di fenoli clorurati e acido triclorofenossiacetico ( i fenoli clorurati vengono sintetizzati in quanto rientrano nella sintesi dell’acido triclorofenossiacetico, usato come potente erbicida, fungicida e battericida, sebbene l’uso sia stato limitato a partire dagli anni ottanta), con rilasci di quantità tali di diossine da provocare cloracne ed altre patologie negli individui, e morte negli animali.

 Negli anni ‘70 e ’80 si verificano incidenti e  contaminazioni  che hanno causato il rilascio di quantità rilevanti di diossine tali da provocare ugualmente effetti sull’uomo.

Il processo conoscitivo e di studio è tuttora in corso ed è  caratterizzato invece dalla individuazione di diossine in una varietà di emissioni e di matrici ambientali, a concentrazioni molto basse o, addirittura, bassissime.

I livelli di contaminazione sono tali da richiedere studi ambientali, anche complessi, che consentano l’individuazione di eventuali catene trofiche critiche per l’uomo o gli animali.

 

12.1 Nitro, Virginia USA (1949).

Il primo incidente industriale, ufficialmente registrato come causa di cloracne tra i lavoratori, risale al 1949, avvenne in un impianto chimico della Monsanto, a Nitro, West Virginia (USA).

L’impianto produceva il 2,4,5-T acido triclorofenossiacetico, un erbicida che

costituiva circa il 50% del defoliante “Agent orange”, a partire dal 2,4,5-triclorofenolo, mentre per il resto del 50% conteneva  il 2,4-D acido diclorofenossiacetico.

Nel 1949, un reattore pressurizzato dell’impianto esplose, determinando l’esposizione di centinaia di lavoratori.

Quasi immediatamente i lavoratori esposti iniziarono ad ammalarsi, presentando eruzioni cutanee , tra cui 228 svilupparono cloracne, dolori articolari ed in altre parti del corpo, debolezza, irritabilità e nervosismo, perdita del desiderio sessuale, mal di testa e capogiri.

La causa della cloracne fu individuata  nelle diossine solo otto anni dopo l’incidente, nel 1957. Si scoprì, infatti, che le diossine si formavano come sottoprodotto della produzione del 2,4,5-T, che, di per se, presentava una tossicità moderata.

Le diossine erano presenti nella forma 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina

(TCCD), quella in seguito considerata come la più tossica.

 

12.2 Midland, USA (Anni ‘60).

 Sin dal 1948, la Dow Chemical  oggi la più grande industria chimica degli USA leader per la produzione di plastiche e pesticidi, produceva gli erbicidi 2,4-D acido diclorofenossiacetico e 2,4,5-T acido triclorofenossiacetico, entrambi contaminati da diossine, che si originavano nel processo di produzione, mescolando questi due erbicidi in parti uguali, la ditta produceva

il cosiddetto ”Agent Orange”.

Prima del 1963-1964, la ditta otteneva il 2,4,5-triclorofenolo, necessario per la sintesi dei suoi erbicidi, dalla clorurazione diretta del fenolo, ma aumentando la  richiesta di Agent Orange, in conseguenza del suo uso nella guerra in Vietnam, spinse la società  a modificare l’impianto di produzione di triclorofenolo, utilizzando reazioni di idrolisi del tetraclorobenzene con soda caustica e metanolo, ad alta temperatura e pressione.

Nel precedente processo di clorazione le diossine presenti erano principalmente costituite da epta e octaclorodiossine e la formazione di diossina era trascurabile, nel nuovo impianto invece, si formava TCDD in concentrazioni pari a 1.818 ppm * ed ogni stadio delle reazioni chimiche produceva diossine.

L’impianto si trovò  a livelli pericolosi per la salute umana, infatti nel 1964 furono riportati 35 casi di cloracne, mentre nel precedente impianto risultavano massimo1-2 casi all’anno. Esso venne allora chiuso per due anni, durante i quali fu riprogettato e decontaminato.

Nel 1966, il nuovo impianto riprese a funzionare e la concentrazione di diossine nei prodotti in uscita fu, mediamente, 0,5 ppm, nonostante tutto si registrarono 40 nuovi casi di cloracne e nel 1970, si raggiunse il record di 90 nuovi casi di cloracne.

L’impianto di produzione di triclorofenoli fu successivamente smantellato e messo in sicurezza quando fu bandita la vendita del 2,4,5 triclorofenolo.

Anche la gestione dei reflui industriali determinò conseguenze sull’ambiente: gli scarichi nel fiume dell’impianto di trattamento biologico dei reflui fenolici furono considerati responsabili del sapore sgradevole del pesce.

Oltre all’impianto di trattamento biologico, la fabbrica di Midland era dotata di inceneritori che bruciavano i reflui fenolici troppo concentrati, che il depuratore non era in grado di trattare.

Fino al 1968, tali inceneritori non avevano adeguati sistemi di abbattimento del particolato carico di diossine e si ritiene che la maggior parte di esse che tuttora contaminano l’area di Midland siano state emesse dai vecchi bruciatori.

Per studiare gli impatti di tali emissioni, a partire dall’anno 2000, il Dipartimento per la Qualità Ambientale del Michigan portò avanti delle indagini che mostravano alti livelli di diossine in suoli posti a valle rispetto allo stabilimento, frequentemente inondati dalle acque del fiume Tittabawassee.

La contaminazione includeva i cortili e i giardini delle abitazioni, parchi e scuole, ubicati in prossimità della piana alluvionale del fiume.

Studi condotti nelle aree selvagge attorno al fiume Tittabawassee mostrano non solo alti livelli di diossine, ma anche un accentuato fenomeno di bioaccumulo lungo la catena trofica e tali livelli di diossine interessavano infatti pesci, anatre e uova di gallina.

I risultati, pubblicati nel Dicembre 2003, hanno evidenziato che questa contaminazione diffusa ha esposto uccelli e mammiferi piscivori

a rischi significativi nella riproduzione e nei primi stadi vitali. Infatti il rischio di mortalità degli embrioni e dei primi stadi di vita aumentava in maniera rilevante.

Più in particolare, carpe, pesci gatto, alose e branzini risultavano contaminati a livelli tali da provocare problemi riproduttivi a uccelli e mammiferi piscivori di cui costituiscono il nutrimento.

Lo Stato del Michigan suggerì alla popolazione di usare varie precauzioni, come ad esempio indossare maschere durante la tosatura dell’erba e fare la doccia dopo lavori in giardini e cortili.

 

12.3 Vietnam (1963-1975).

“Agent Orange” (Agente Arancione) era il nome in codice di un erbicida ( v. cap. prec.), sviluppato per scopi militari, utilizzato per defoliare le boscaglie, per impedire che il nemico vi si potesse proteggere o nascondere, adatto, per applicazioni in territori con clima tropicale soprattutto per il fogliame largo, come quello che caratterizzava le giungle del sud-est asiatico. Il nome derivava dal colore della banda che avvolgeva le cisterne usate per contenere il prodotto e fu intensamente utilizzato in Vietnam, ma anche in Cambogia e Laos.

L’Agent Orange, era costituito da una miscela, in parti uguali, di 2,4-D (acido diclorofenossiacetico) e 2,4,5-T (acido triclorofenossiacetico) e veniva  sparso tramite aerei e veicoli a terra, oppure direttamente a mano. Si stima che durante la guerra, in Vietnam, furono usati 72 milioni di litri di questo prodotto, ma non fu l’unico pesticida usato dagli Americani in Vietnam, altri prodotti diserbanti e disseccanti furono utilizzati quali Agente blu, rosso, bianco, tutti contenenti diossine  altamente tossiche per l’uomo.

Circa 11.250 km² di terreni coltivati del Vietnam del Sud furono defoliati  per almeno trenta anni e l’esposizione all’Agente Arancione causò, nei soldati vietnamiti e americani, nella popolazione, le seguenti patologie e disfunzioni di vari organi: cloracne, cancro al polmone, bronchi, laringe, prostata, aborto, effetti teratogeni, spina bifida nei figli dei militari.

Nel 1970, l’uso di 2,4,5-triclofenossibenzacetico in Vietnam fu bandito, ma circa trent’anni dalla fine della guerra in Vietnam, alcune popolazioni del Vietnam del Sud hanno ancora dei valori di diossine nel sangue di 100 volte superiore al normale definito come il livello di diossine nel sangue trovato in un campione di 100 residenti di Hanoi, dove non fu mai usato il prodotto.

I parametri che emergono da questi studi indicando che la diossina è entrata nella catena alimentare ed i valori più alti sono quelli con regimi alimentari basati sul pesce.

 

12.4 Bolsover, INGHILTERRA (1968).

Nel 1991, studi condotti per il Ministry of Agriculture, Fishery and Food rivelarono elevate concentrazioni di diossine  nel latte di mucca proveniente da tre fattorie, che fu  ritirato dal mercato, fino a quando la concentrazione di diossine non tornò inferiore alla concentrazione massima ammissibile.

La contaminazione fu attribuita ad un’industria che produceva fertilizzanti, pesticidi .

Anche le acque reflue risultarono fortemente contaminati da diossine a livelli 1.000 volte superiori ai limiti di sicurezza: infatti nel 1991 furono trovati nei sedimenti del fiume Doe Lea, nel Derbyshire, la più alta concentrazione di diossine mai registrata in sedimenti fluviali inglesi, ma fu  deciso di non rimuoverla e di lasciarla disperdere con le correnti e contemporaneamente furono attivate una serie di attività di ricerca, volte a chiarire il ruolo delle  alte concentrazioni di diossine sui suoli alluvionali adiacenti.

 

12.5 Times Beach USA (1971).

Agli inizi degli anni ‘70, la città di Times Beach si stava occupando delle polveri causate da strade sterrate circostanti e poiché  asfaltare tali sterrate risultava eccessivamente costoso, nel 1971, si diede incarico ad una ditta di trasporto rifiuti di nebulizzare olio sulle sterrate. Tale la ditta sparse grandi quantità di olio esausto sulle strade allo scopo di contenere le polveri nelle stalle e nelle aree di equitazione. Centinaia di animali  come uccelli, cani, gatti, cavalli e polli, furono trovati morti e vari bambini ed un adulto presentarono la tipica cloracne. Da qui iniziarono le indagini che rilevarono che l’olio esausto utilizzato dalla ditta era stato mischiato con acque reflue, contaminate da elevate quantità di diossine  provenienti dai reattori di un impianto per la produzione di erbicidi.

 La stampa iniziò  a parlare della scoperta di diossine nella città che scoppiò nel panico ed ogni malattia, aborto e moria di animali furono attribuite al fenomeno legato alle diossine.

Nel 1985, tutta la città fu evacuata ed il sito fu messo in quarantena.

Un inceneritore venne costruito e gestito da una impresa che provvedeva  anche allo scavo ed alla rimozione del terreno contaminato, dopo la bonifica, l’inceneritore fu smantellato. Tuttavia alcuni studi e test condotti  mostrarono

una efficienza di distruzione e rimozione della 2,3,7,8-tetraclorodibenzo- p-diossina pari ad almeno il 99%, utilizzando tali inceneritori.

Le ricerche che furono svolte successivamente circa gli effetti delle diossine sugli uomini e sugli animali ingenerarono dubbi sulla reale necessità di evacuare la città.

 

12.6 Seveso, ITALIA (1976).

Il giorno di sabato 10 luglio 1976, a Seveso, una nube tossica fuoriuscì da un reattore dell’impianto della azienda chimica ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società) con 170 dipendenti e di proprietà della società Givaudan di Ginevra, a sua volta acquisita dal gruppo Hoffmann-La Roche.

L’impianto era situato nel comune di Meda, al confine con la cittadina di Seveso, circa 15 km a nord di Milano e produceva intermedi per l’industria cosmetica e farmaceutica, tra i quali il 2,4,5-triclorofenolo (TCP), composto tossico non infiammabile utilizzato come base per la sintesi di erbicidi.

La nube tossica proveniva da un reattore di idrolisi alcalina, in glicole etilenico, di 1,2,3,4 tetraclorobenzene (TCB) a 2,4,5-triclorofenato di sodio, composto intermedio della preparazione di triclorofenolo. Causa diretta dell’emissione fu una sovrapressione anomala, causata da una reazione esotermica nella vasca del triclorofenolo, insorta nel reattore dopo qualche ora dalla sospensione delle operazioni.

Tale sovrapressione provocò lo scoppio del disco di rottura nella valvola di

sicurezza. La temperatura raggiunse i 250°C e la diossina (TCDD), assieme agli intermedi di reazione, triclorofenato di sodio, glicole etilenico e soda, fuoriuscì per molte ore dal camino sul tetto dello stabilimento disperdendosi nell’atmosfera.

La nube venne rapidamente propagata dal vento nel territorio circostante, densamente popolato.

Se da una parte l’elevata velocità del vento, insolita per quel periodo, favorì l’allargamento della fascia colpita, dall’altra favorì anche la dispersione della diossina e quindi un calo delle concentrazioni.

Almeno 2.000 kg di inquinanti sono stati emessi in atmosfera.

Già il 14 luglio gli effetti dell’esposizione alla nube cominciarono ad essere avvertiti dalla popolazione: furono segnalati numerosi casi di intossicazione, ricoveri e moria di molti animali, inoltre si registrarono 200 casi di cloracne.

Il 24 luglio un’area di quindici ettari venne evacuata e cinta di reticolati, militarizzata e suddivisa in tre zone a seconda del grado di tossicità raggiunto,  settecento persone vennero fatte sfollare, e l’allarme si estese anche ad altri undici comuni limitrofi, tra cui Meda, Desio, Barlassina, Bovisio Masciago, Nova Milanese, Seregno, Lentate sul Severo e Cesano Maderno.

Le analisi dimostrarono che la diossina presente nella parte superficiale del terreno, pari ad oltre il 90% della diossina misurata, nei primi cinque mesi si ridusse del 50%, a causa della fotodecomposizione, per poi tendere a stabilizzarsi. A causa di ciò, furono demoliti lo stabilimento e molte abitazioni. Il terreno contaminato, macerie degli edifici e le attrezzature usate per le operazioni di bonifica furono collocate in discariche speciali controllate, poste a poca distanza dal sito dell’incidente.

In altre zone i primi 25 cm di terreno furono rimossi, eliminando la diossina del 90% e riducendo le concentrazioni entro i limiti di tollerabilità.

Gli interni ed esterni degli edifici, i giardini, le aree agricole e zootecniche vennero ripuliti e scrostati, finche non si raggiunsero i limiti di tollerabilità. Solo allora le autorità sanitarie autorizzarono il reingresso della popolazione evacuata.

In altre zone  la semplice aratura, ridusse, nei primi 7 cm di terreno, i livelli di diossina in maniera apprezzabile.

L’aratura comportava, infatti, il trasferimento della diossina dagli strati più profondi a quelli superficiali, facilitando il processo di decomposizione fotochimica.

Per quanto riguarda le acque superficiali e sotterranee e i sedimenti, le analisi

fornirono costantemente risultati negativi.

Anche il pulviscolo volatile fu costantemente monitorato, soprattutto durante i lavori di recupero dei suoli contaminati. I valori, ovviamente, diminuivano all’aumentare della distanza dall’impianto.

Per quanto riguarda la vegetazione, immediatamente a seguito dell’incidente i

Valori raggiungevano qualche mg/kg (ppm, parti per milione).

Subito dopo l’incidente, si registrò un notevole incremento della mortalità degli animali domestici, come conigli e polli, nelle vicinanze dell’impianto, mortalità che raggiunse livelli del 100% nelle fattorie in cui gli animali venivano nutriti con foraggio o verdure provenienti dalle aree contaminate.

Le misure di diossina nel latte di mucca mostravano livelli più alti nelle fattorie vicine all’impianto.

Gli animali allevati in fattorie appartenenti a tali aree vennero tutti abbattuti.

Per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie tossiche, la compagnia

Mannesmann Italiana nel 1982, asportò, in condizioni di massima sicurezza, i rifiuti prodotti dal reattore, ponendoli in 41 fusti che furono successivamente trasportati al luogo di destinazione.

I materiali provenienti dalle operazioni di bonifica dei terreni e demolizione degli edifici furono raccolti in due vasche costruite nei comuni di Seveso e Meda.

 

12.7 FRANCIA (1998).

Nel marzo 1998 furono riscontrati in Francia  molti casi di contaminazione da diossine nel latte, concentrazioni allarmanti di diossine furono inoltre riscontrati nel burro e in formaggi, mentre  il livello di diossine presente nei prodotti derivati dal latte non deve superare la quantità di 3 picogrammi per grammo di grassi.

 A seguito di ciò, le prefetture proibirono la vendita di latte ad almeno 16 aziende agricole.

Gli inceneritori per rifiuti urbani furono ritenuti responsabili di tale contaminazione: si stabilì infatti che le sostanze inquinanti presenti nelle loro emissioni, ricadendo al suolo ed accumulandosi lungo la catena alimentare, avessero contaminato il latte prodotto nelle vicinanze.

 

12.8 BELGIO (1999).

 Nel 1999 in Belgio si verificò una massiccia contaminazione da diossine degli allevamenti di pollame e anche dei prodotti secondari come le uova.

Nel mese di gennaio, in vari allevamenti di polli da riproduzione, fu rilevato un calo nella percentuale di schiusa delle uova, la metà delle quali si aprivano scoppiando.

I pulcini sopravvissuti mostravano sintomi di intossicazioni e gravi disturbi del sistema nervoso. Il 26 aprile, test analitici dimostrarono elevati livelli di

diossine negli alimenti degli animali e nel grasso di pollo.

Secondo gli esperti, tale contaminazione fu provocata dai mangimi destinati agli allevamenti avicoli.

Dai dati disponibili, risultò che nei polli vi era una quantità di diossina 500 volte superiore a quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica come “tollerabile” dall’organismo umano.

La causa fu poi finalmente individuata  in alcune società belghe che riciclavano grassi animali e vegetali e raccoglievano olio fritto e scarti di macelleria e di mattatoio per produrre mangimi, negli stabilimenti di tali aziende furono trovati grassi animali ad alto contenuto di diossine, forse contaminati da residui di oli minerali usati per lubrificare i motori delle automobili o da residui di oli di origine industriale o, addirittura, da grassi fritti vegetali riciclati, prelevati dagli scarti dell’industria agro-alimentare, dai ristoranti e da varie comunità e rifiuti degli inceneritori comunali.

Un’altra possibile fonte di contaminazione potrebbe essere stata la procedura utilizzata per liquefare i grassi, probabilmente basata su una grossa caldaia.

A causa dell’utilizzo di autobotti non lavate per il trasporto delle merci, la contaminazione si sarebbe trasferita da un produttore all’altro.

I prodotti contaminati furono venduti a 10 fabbriche di mangimi belghe, una

olandese, una francese, che, a loro volta lo hanno distribuito agli animali da allevamento.

In Italia, oltre al blocco delle importazioni dal Belgio, venne disposto il sequestro cautelare su tutto il territorio nazionale delle partite di volatili da cortile, delle loro carni e dei prodotti a base di carne, delle uova e dei prodotti a base di uova, introdotti dal Belgio. Successivamente, l’allarme venne esteso ai suini e ai prodotti alimentari di origine suina ed ai bovini, di cui venne disposto il sequestro non solo degli alimenti a base di carne ma anche del latte e suoi derivati.

L’emergenza dei “polli alla diossina” non e stata, tuttavia, un’esclusiva belga: nel 1997, circa 350 aziende statunitensi che allevavano pollame furono costrette dal governo federale a bloccare le vendite in quanto, nei loro prodotti, erano state trovate diossine in quantità superiore al livello di attenzione, pari ad un pg/g di grasso.

Analogamente a quanto avvenuto in Belgio, si scoprì che le diossine arrivavano ai polli attraverso i mangimi. In particolare, risultò contaminato uno dei tanti additivi: la bentonite. Essa costituisce un materiale poroso che viene aggiunto ai mangimi per evitare che formino granuli e quindi si appurò che l’inquinante era presente nella cava dove il minerale era estratto.

 

CONCLUSIONI

La contaminazione da diossine osservata, porta ad una serie di riflessioni ma, in particolare, evidenzia che la caratteristica più rilevante di questi contaminanti è la loro progressiva concentrazione ad ogni passaggio di catena trofica ed il conseguente incremento di rischio sanitario ma anche ambientale, dovuto ad un innaturale allungamento delle usuali catene trofiche con l’introduzione, nell’alimentazione e gli animali di allevamento, di farine e mangimi contenenti grassi e proteine di origine animale nonchè con l’introduzione, in ultimo,  di additivi come la bentonite non adeguatamente controllati.

In definitiva, le catene alimentari si sono allungate anche da un punto di vista “geografico”, per cui è molto difficile trovare il punto di partenza,  la sorgente dunque, che ha innescato le situazioni di emergenza.

 

GLOSSARIO

 

Bioaccumulo: capacità di una sostanza di accumularsi all’interno di un organismo (a seguito di una esposizione ad essa attraverso l’ambiente circostante e/o attraverso la catena alimentare). Le sostanze ad elevato potere di bioaccumulo sono quelle con elevata solubilità nei grassi.

 

Bioconcentrazione: processo che porta ad una maggiore concentrazione di una sostanza in un organismo rispetto a quella presente nell’ambiente.

 

Biomagnificazione: processo nel quale un composto chimico si accumula in modo seriale attraverso la catena alimentare passando da concentrazioni più basse nelle specie preda a concentrazioni più alte nelle specie predatrici.

               

Composto alifatico : composto organico in cui gli atomi di carbonio sono a catena aperta.

 

Composto aromatico: composto organico che contiene uno o più anelli aromatici nella sua struttura.

 

Congenere: membro di una famiglia di sostanze chimiche che differiscono fra loro solo per il numero e la posizione del medesimo sostituente.

 

Liposolubilità: tendenza di una sostanza a dissolversi nei grassi.

 

Picogrammo (pg): unità di misura pari ad un miliardesimo di milligrammo.

 

POPs (Persistent Organic Pollutants): composti organici persistenti, per lo più di origine antropica.

 

Ppb: parti per bilione (1 bilione = 1 miliardo).

 

Ppm: parti per milione.

 

Ppq: parti per quadrilione.

 

Ppt: parti per trilione (1 trilione = 1000 miliardi).

 

Pressione di vapore: la pressione di vapore descrive la tendenza di una sostanza a trasferirsi da e verso la fase gassosa ed è, per definizione, la pressione di vapore saturo di un composto chimico all’equilibrio (dinamico) con la sua fase condensata sia essa liquida o solida.

 

Recettore biologico: proteina localizzata sulla superficie o all’interno delle cellule in grado di riconoscere e legare in maniera selettiva una determinata sostanza chiamata legante (per esempio un ormone, un antigene, uno zucchero). Il legame tra il recettore biologico ed il legante può essere visto come quello che occorre tra una serratura ed una chiave, dove il recettore rappresenta la serratura ed il legante la chiave. Il legame di una sostanza al proprio recettore provoca una cascata di reazioni che culminano in una precisa risposta della cellula alla sostanza legata, che agisce da segnale.

 

Tossicità: capacità di una sostanza di provocare effetti dannosi sugli organismi viventi quando supera un certo livello di concentrazione. E’ strettamente legata alla sua possibilità di assorbimento, trasporto, metabolismo ed escrezione nell’organismo vivente. Si parla di tossicità acuta per risposte che si manifestano in tempi brevi e di tossicità cronica per risposte che si rendono palesi dopo tempi prolungati.

 

TDI: (Tolerable Daily Intake): dose tollerabile giornaliera, e una stima della quantità di un contaminante nel cibo o nell’acqua potabile che può essere ingerita giornalmente nell’arco della vita senza causare rischi apprezzabili alla salute.

TEF: (Toxicity Equivalence Factor): Fattore di Equivalenza Tossica.

Permette di confrontare il livello di tossicità dei diversi congeneri, appartenenti alla famiglia delle diossine, in relazione alla 2,3,7,8 TCDD.

TEQ: quantità totale di tossicità che si genera sommando la tossicità relativa di ogni singolo congenere.

TWI: (Tolerable Weekly Intake): dose tollerabile settimanale e una stima della quantità di un contaminante nel cibo o nell’acqua potabile che può essere ingerita settimanalmente nell’arco della vita senza causare rischi apprezzabili alla salute.

 

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·        Strategia comunitaria sulle diossine, i furani e i bifenili policlorurati, Bruxelles 24.10.2001.

 (Apr.2013)

 Loredana Ciancimino

 

 

 


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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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