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LA PLASTICA E' IL NOSTRO MONDO
di Elena Panero
Indice
1 ) Introduzione alla plastica
2) Un fenomeno recente e drammatico:
il Pacific Trash Vortex
3) Papere intorno al Globo
4) Conclusioni

Plastica: quante volte usiamo un oggetto di
plastica durante il giorno? Quante volte ne buttiamo uno? E quante volte
cerchiamo di essere “amici dell’ambiente” e cerchiamo, o almeno lo
speriamo, di mandare ad una “seconda vita” ciò che stiamo inserendo nel
contenitore della plastica da riciclare?
Probabilmente siamo così abituati ad usare
bottiglie, contenitori, flaconi ed altri oggetti in plastica, che non
riflettiamo, o non sappiamo bene di preciso, da dove provenga tutta
quella materia e, soprattutto, dove vada realmente a finire.
La plastica, o meglio, le plastiche, sono
composte da macromolecole chiamate “polimeri”; questi a loro volta si
compongono di catene di molecole più piccole dette “monomeri”.
Esistono diverse tipologie di plastica,
ognuna formata in modo differente e destinata a specifici usi, ma tutte
sono accomunate da particolari caratteristiche, quali la facilità di
utilizzo, la leggerezza, l’economicità; sono inoltre deformabili con il
calore ed utilizzabili per conservare i cibi.
Le plastiche più utilizzate si distinguono
in:

1-
PET (o PETE),
POLIETILENTEREFTALATO (o Arnite) –
è la plastica che conosciamo come bottiglie
per l’acqua minerale e bibite in generale, ma serve anche per la
produzione di fibre sintetiche. E’ resistente al calore ed è
impermeabile ai gas.
 
2-
PE, POLIETILENE –
è la plastica più utilizzata; si distingue
in Polietilene ad alta densità e Polietilene a bassa densità.
Serve per la produzione di bottiglie,
flaconi, cosmetici, tubi per l’acqua e per il gas (quando è PE-HD,
polietilene ad alta densità).
Serve invece a produrre imballaggi,
sacchetti e pellicole per la conservazione dei cibi quando è prodotta
con una densità minore; in questo caso si parla di PE-LD,
polietilene a bassa densità.

3- PVC, POLIVINILCLORURO
– è un tipo di plastica con buone qualità meccaniche, e viene utilizzata
in prevalenza per la produzione di tubazioni, pellicole isolanti,
serramenti esterni, giocattoli, grondaie e , ancora, contenitori vari e
vaschette per le uova.

4-
PP, POLIPROPILENE (o Moplen)–
è una plastica con un buon isolamento elettrico e resiste bene al calore
e agli agenti chimici. Viene utilizzata per la produzione di parti di
elettrodomestici, oggetti di arredamento, mobili da giardino, moquettes,
flaconi per detersivi ed altro ancora.

5-
PS, POLISTIRENE (o
Polistirolo) – si presenta come
un tipo di plastica dura e rigida, usata per produrre scotch per le
auto, vaschette per alimenti, posate, piatti, bicchieri, etc.
Nella versione espansa (polistirolo
espanso), assume caratteristiche diverse e diventa pertanto molto
leggera, molto elastica ed ha una bassa conducibilità elettrica. Viene
usata per l’isolamento termico dei muri, per imballaggi ed altro ancora.
Tra tutti questi tipi di plastica, quelli
realmente riciclabili sono quelli con le sigle PE, PET, PVC (borse di
nylon, bottiglie per bibite ed acqua, flaconi per detersivi,
bagnoschiuma, shampoo.., vaschette per alimenti, polistirolo espanso per
imballaggi, etc.), mentre non sono riciclabili i contenitori che non
portano le sigle PE, PVC, PET, i contenitori con residui di cibo o
elementi chimici, i tubetti di dentifricio, gli spazzolini da denti, i
rifiuti ospedalieri, piatti e posate di plastica…
Dato l’enorme utilizzo delle materie
plastiche e considerate le caratteristiche intrinseche delle stesse (in
primo luogo la lenta degradabilità), diventa necessario riciclare il più
possibile.
Il riciclo della plastica inizia con la
“raccolta differenziata”, ormai più o meno estesa a molte Regioni
Italiane.
Dalla raccolta differenziata il materiale
viene portato in luoghi di smaltimento dove, tramite una selezione
manuale o automatica, viene suddiviso, selezionato, compattato in balle
di materiale omogeneo e convogliato verso un recupero o un riciclo.
Il riciclo può essere meccanico o chimico.
Si parla di riciclaggio meccanico quando vi è la trasformazione,
termica o meccanica, da materia a materia; la plastica usata diventa
nuovamente la base per la produzione di altri beni (in questo caso si
parla di materia prima seconda, in quanto le caratteristiche di
questo materiale è molto simile alle caratteristiche del materiale
ex-novo). Alcuni esempi di oggetti riciclati sono dati da: indumenti
in pile, contenitori, moquettes, tubi, carrelli della spesa.
Il riciclaggio chimico comporta la
ri-trasformazione della plastica usata in monomeri; da qui si riparte
per produrre nuovamente oggetti e materiali.
Quando non sia possibile riciclare, si
ricorre al recupero energetico tramite termovalorizzatori. In
pratica, i materiali plastici vengono utilizzati come combustibile per
produrre energia. Si stima che il potere calorifico della plastica sia
pari a quello del carbone; a testimonianza di ciò, una bottiglia di
plastica può far rimanere accesa una lampadina da 60 watt per un’ora.
Negli ultimi anni la spinta al riciclaggio
delle materie plastiche ha subito un forte incremento, anche grazie a
quanto emerge da studi sull’inquinamento.
L’inquinamento derivante da materie
plastiche non tocca ‘solo’ il territorio dove viviamo, ma anche i mari,
dove da decenni si stanno concentrando ammassi di rifiuti.

A chi non è mai capitato di passeggiare
tranquillamente lungo la battigia di una bella spiaggia e intravedere,
tra la sabbia e qualche pietra, dei residui di plastica?
A volte questi residui sono facilmente
riconoscibili (la parte di uno spazzolino, un frammento di rete da
pesca, una corda sfilacciata). Il fatto è che ciò che capita di vedere è
solo una minima parte di quello che si cela in mare. Purtroppo.
Per rendersi conto della gravità del
precario stato di salute dei mari, ma in particolare degli Oceani,
basta andare a vedere cosa sta succedendo nel Nord Pacifico dove, dal
1950, diverse tipologie di plastica, detriti e rottami si “incontrano”
e vengono inglobati in una massa di spazzatura che ha preso il nome di
Pacific Trash Vortex (o ‘Asian Trash Trail’, ‘North Pacific Gyre’ o
ancora’ Eastern Garbage Patch (EGB)’).
Quella che ormai si può definire quasi come
‘isola’, continua ad inglobare nuovi detriti e rifiuti che giungono fino
a lì per mezzo delle correnti oceaniche. Una volta che i rifiuti
‘incontrano’ questa massa di spazzatura, vengono ‘assorbiti’ dalla
stessa ed iniziano il loro viaggio sospesi nell’acqua,
seguendo la corrente del vortice Subtropicale del Nord Pacifico che,
lento ma continuo, si muove in senso orario a forma di spirale.

L’isola (affermano diverse fonti) ha
un’estensione pari all’area del Texas ed una profondità che varia dai
10 ai 30 metri. Circa l’80% dei rifiuti qui inglobati derivano dalle
coste, mentre il rimanente 20% deriva dagli scarichi o dalle perdite di
navi e container. Si stima che la densità di questo agglomerato di
spazzatura sia pari a 5,1 kg/km2.
La maggior parte dei rifiuti sono residui di
oggetti formati da plastica; la plastica è ben conosciuta per la sua
durabilità e stabilità, e queste caratteristiche sono da un lato un
aspetto positivo di questo materiale, ma dall’altro – quando si tratta
di rifiuti – diventano una minaccia per la tutela dell’ambiente.
Infatti, un rifiuto in plastica inizia a subire una fotodegradazione già
dopo appena un anno dal contatto con l’acqua, frantumandosi poi in
numerosi pezzetti, fino ad arrivare a disgregarsi in polimeri. Questi
ultimi, data la loro dimensione, vengono scambiati in zooplancton dalle
meduse, entrando nella catena alimentare degli animali marini.
Al contrario, quando i rifiuti si disgregano
ed assumono la dimensione dei pellets da cui erano stati originati,
vengono scambiati per piccole prede da uccelli,
tartarughe e mammiferi marini.

Dalle analisi degli stomaci di volatili
marini (per esempio albatros) e di tartarughe deceduti si è evinto che
l’ingestione di particelle di plastica provoca la morte di queste
creature. Spesso, inoltre, la plastica si trasforma in ‘spugna chimica’:
essendo porosa, assorbe sostanze e veleni chimici che vengono ingeriti
dagli animali insieme alla plastica stessa.
Un altro fenomeno causato dal Pacific Trash
Vortex è l’allontanamento di specie animali e vegetali dal loro luogo di
appartenenza; ad esempio, molluschi come le cozze o vegetali come le
alghe, tipiche di una certa zona, si attaccano ad ammassi di plastica
flottanti e vengono trascinati in altri luoghi per mezzo della
correnti. Il trascinamento di queste specie in altre zone non
originarie, può rappresentare una minaccia per le specie di altre aree,
causando squilibri nel già delicato sistema marino.
Altre specie di alghe, crostacei e pesci,
invece, trovano negli agglomerati flottanti l’habitat ideale per
riprodursi e svilupparsi.
E’ il caso del Canthidermis, i cui avannotti
si sviluppano ‘felicemente’ in questo tipo di ambiente.
Alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza
di altri quattro “vortici di immondizia”: due nell’Oceano Atlantico,
uno nell’Oceano Pacifico del Sud ed uno nell’Oceano Indiano.
Nonostante l’aspetto negativo di queste
isole di immondizia, grazie a loro è stato possibile capire maggiormente
il moto delle correnti e come si distribuiscono attorno al globo.
Vi sono diversi studi in corso per
raccogliere informazioni sull’andamento delle correnti oceaniche, e
questi studi sono stati anche aiutati da un viaggio molto particolare:
si tratta del viaggio delle papere di gomma.

Era il lontano 1992
quando una nave cargo, partita da Hong Kong e che trasportava circa
30.000 animaletti di plastica colorata destinati a ‘nuotare’ nelle
vasche di altrettanti bambini, si imbattè in una tempesta nell’Oceano
Pacifico, perdendo tre dei suoi container.
Nei container il carico
di animaletti era così diviso: 35% papere gialle, 26% castori rossi, 21%
rane verdi e 18% tartarughe blu, ma le più famose tra tutti sono
diventate le papere.
Da allora gli animaletti liberati iniziarono
il loro viaggio in mare aperto, seguendo le correnti marine.
Due terzi si diressero verso sud,
raggiungendo le coste dell’Indonesia, dell’Australia e del Sud America.
Il rimanente, invece, incontrando una corrente oceanica differente, si
diresse a nord.
Una parte degli animaletti riuscì ad
attraversare lo Stretto di Bering e, dopo aver affrontato le gelide
correnti artiche e percorrendo circa un chilometro e mezzo al giorno,
riuscirono a raggiungere l’Oceano Atlantico.
Nel 2003 è addirittura scattata una ‘taglia’
di 100 USD su di loro, proposta dalla Casa Produttrice.
Finalmente nel 2007, a distanza di 15 anni,
sono stati identificati al largo delle coste dell’Inghilterra, della
Cornovaglia edell’ Irlanda del Sud.
Gli animaletti, che
ormai sono un po’ “sbiaditi”, si riconoscono perché portano la scritta
“The First Years”, loro marchio di fabbrica.
Fin dai loro primi avvistamenti anni prima,
le paperelle ed i loro amici sono diventati l’oggetto di studio
dell’oceanografo Curtis Ebbesmeyer che, dalla sua postazione a Seattle,
ha monitorato e tracciato i loro spostamenti lungo le correnti
oceaniche.
Gli studi di Ebbesmeyer aiutano a capire
l’andamento delle correnti, dando così un prezioso contributo agli studi
sulle variazioni climatiche.

Questo straordinario materiale che è la
plastica, che ci facilita la vita nel quotidiano, non è eliminabile nel
breve periodo. Ciononostante, è davvero importante essere coscienti
della sua natura inquinante, ed è ancora più importante e necessario
cercare di riciclarla e riutilizzarla in tutti i modi possibili.
Vi sono continue ricerche in merito, e
fortunatamente molte situazioni stanno evolvendo e cambiando (nel
torinese, per esempio, nei supermercati non si utilizzano più sacchetti
di plastica, ma solo sacchetti di stoffa, di materiale biodegradabile o
di carta), ma in parte sembra di essere già in ritardo.
Già negli anni ’80 si iniziava a sentir
parlare di materie biodegradabili derivanti dal mais, ma ci sono voluti
anni prima che queste idee brillanti diventassero conosciute ed
utilizzate.
Attorno alla plastica ruota un mondo, come
evidenzia il giornalista canadese Ian Connacher in una ricerca svoltasi
in diversi Paesi e durata più di un anno; questa ricerca include
approfondimenti sull’inquinamento causato dalla plastica e sui metodi
che di volta in volta si sono “inventati” persone, piccoli villaggi e
compagnie private per poter riutilizzare i diversi materiali e dare,
così, il loro contributo alla salvaguardia del nostro Pianeta.
Ancora una volta, la sensibilizzazione
rispetto al problema della plastica e dell’inquinamento che ne deriva si
rapporta ad un fattore essenziale: la conoscenza. Solo conoscendo cosa
può causare –per esempio- un flacone abbandonato in mare, si può cercare
di arginare un degradamento ambientale altrimenti in crescita.

http://www.greenpeace.org/international/en/campaigns/oceans/pollution/trash-vortex/
http://blog.yachtandsail.it/post/473/pacific-trash-vortex-unisola-di-spazzatura
http://en.wikipedia.org/wiki/Great_Pacific_Garbage_Patch
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/06_Giugno/28/paparelle_oceano_correnti.shtml
http://www.psfk.com/2009/04/interview-filmmaker-ian-connacher-addicted-to-plastic.html
http://www.bioplastica.it/
http://www.materbi.it/
http://ecocompatibile.com/2/index.htm
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/06-Giugno/28/paperelle-oceano-correnti
http://www.corepla.it
http://www.plastica.it
Elena Panero
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