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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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LA PLASTICA E' IL NOSTRO MONDO

di Elena Panero

 

Indice

1 ) Introduzione alla plastica

2) Un fenomeno recente e drammatico: il Pacific Trash Vortex

3) Papere intorno al Globo

4) Conclusioni

 

1 - Introduzione alla plastica

 

Plastica: quante volte usiamo un oggetto di plastica durante il giorno? Quante volte ne buttiamo uno? E quante volte cerchiamo di essere “amici dell’ambiente” e cerchiamo, o almeno lo speriamo, di mandare ad una “seconda vita” ciò che stiamo inserendo nel contenitore della plastica da riciclare?

Probabilmente siamo così abituati ad usare bottiglie, contenitori, flaconi ed altri oggetti in plastica, che non riflettiamo, o non sappiamo bene di preciso, da dove provenga tutta quella materia e, soprattutto, dove vada realmente a finire.

La plastica, o meglio, le plastiche, sono composte da macromolecole chiamate “polimeri”; questi a loro volta si compongono di catene di molecole più piccole dette “monomeri”.

Esistono diverse tipologie di plastica, ognuna formata in modo differente e destinata a specifici usi, ma tutte sono accomunate da particolari caratteristiche, quali la facilità di utilizzo, la leggerezza, l’economicità; sono inoltre deformabili con il calore ed utilizzabili per conservare i cibi.

Le plastiche più utilizzate si distinguono in:

PET

1-      PET (o PETE), POLIETILENTEREFTALATO (o Arnite)  – è la plastica che conosciamo come bottiglie per l’acqua minerale e bibite in generale, ma serve anche per la produzione di fibre sintetiche. E’ resistente al calore ed è impermeabile ai gas.

 

PE-HDPE-LD

2-      PE, POLIETILENE  – è la plastica più utilizzata; si distingue in Polietilene ad alta densità e Polietilene a bassa densità.

Serve per la produzione di bottiglie, flaconi, cosmetici, tubi per l’acqua e per il gas (quando è PE-HD, polietilene ad alta densità).

Serve invece a produrre imballaggi, sacchetti e pellicole per la conservazione dei cibi quando è prodotta con una densità minore; in questo caso si parla di PE-LD, polietilene a bassa densità.

 

PVC

           3-   PVC, POLIVINILCLORURO – è un tipo di plastica con buone qualità meccaniche, e viene utilizzata in prevalenza per la produzione di tubazioni, pellicole isolanti, serramenti esterni, giocattoli, grondaie e , ancora, contenitori vari e vaschette per le uova.

PP

4-       PP, POLIPROPILENE (o Moplen)– è una plastica con un buon isolamento elettrico e resiste bene al calore e agli agenti chimici. Viene utilizzata per la produzione di parti di elettrodomestici, oggetti di arredamento, mobili da giardino, moquettes, flaconi per detersivi ed altro ancora.

 

PS

5-      PS, POLISTIRENE (o Polistirolo) – si presenta come un tipo di plastica dura e rigida, usata per produrre scotch per le auto, vaschette per alimenti, posate, piatti, bicchieri, etc.

Nella versione espansa (polistirolo espanso), assume caratteristiche diverse e diventa pertanto molto leggera, molto elastica ed ha una bassa conducibilità elettrica. Viene usata per l’isolamento termico dei muri, per imballaggi ed altro ancora.

Tra tutti questi tipi di plastica, quelli realmente riciclabili sono quelli con le sigle PE, PET, PVC (borse di nylon, bottiglie per bibite ed acqua, flaconi per detersivi, bagnoschiuma, shampoo.., vaschette per alimenti, polistirolo espanso per imballaggi, etc.), mentre non sono riciclabili i contenitori che non portano le sigle PE, PVC, PET, i contenitori con residui di cibo o elementi chimici, i tubetti di dentifricio, gli spazzolini da denti, i rifiuti ospedalieri,  piatti e posate di plastica…

Dato l’enorme utilizzo delle materie plastiche e considerate le caratteristiche intrinseche delle stesse (in primo luogo la lenta degradabilità), diventa necessario riciclare il più possibile.

Il riciclo della plastica inizia con la “raccolta differenziata”, ormai più o meno estesa a molte Regioni Italiane.

Dalla raccolta differenziata il materiale viene portato in luoghi di smaltimento dove, tramite una selezione manuale o automatica, viene suddiviso, selezionato, compattato in balle di materiale omogeneo e convogliato verso un recupero o un riciclo.

Il riciclo può essere meccanico o chimico. Si parla di riciclaggio meccanico quando vi è la trasformazione, termica o meccanica,  da materia a materia; la plastica usata diventa nuovamente la base per la produzione di altri beni (in questo caso si parla di materia prima seconda, in quanto le caratteristiche di questo materiale è molto simile alle caratteristiche del materiale ex-novo).  Alcuni  esempi di oggetti riciclati sono dati da: indumenti in pile, contenitori, moquettes, tubi, carrelli della spesa.

Il riciclaggio chimico comporta la ri-trasformazione della plastica usata in monomeri; da qui si riparte per produrre nuovamente oggetti e materiali.

Quando non sia possibile riciclare, si ricorre al recupero energetico tramite termovalorizzatori. In pratica, i materiali plastici vengono utilizzati come combustibile per produrre energia. Si stima che il potere calorifico della plastica sia pari a quello del carbone; a testimonianza di ciò, una bottiglia di plastica può far rimanere accesa una lampadina da 60 watt per un’ora.

Negli ultimi anni la spinta al riciclaggio delle materie plastiche ha subito un forte incremento, anche grazie a quanto emerge da studi sull’inquinamento.

L’inquinamento derivante da materie plastiche non tocca ‘solo’ il territorio dove viviamo, ma anche i mari, dove da decenni si stanno concentrando ammassi di rifiuti.

 

2- Un fenomeno recente e drammatico: il Pacific Trash Vortex

A chi non è mai capitato di passeggiare tranquillamente lungo la battigia di una bella spiaggia e intravedere, tra la sabbia e qualche pietra, dei residui di plastica?

A volte questi residui sono facilmente riconoscibili (la parte  di uno spazzolino, un frammento di rete da pesca, una corda sfilacciata). Il fatto è che ciò che capita di vedere è solo una minima parte di quello che si cela in mare. Purtroppo.

Per rendersi conto della gravità del precario stato di salute dei mari,  ma in particolare degli Oceani, basta andare a vedere cosa sta succedendo nel Nord Pacifico dove, dal 1950, diverse tipologie di plastica, detriti e rottami  si “incontrano” e vengono inglobati in una massa di spazzatura che ha preso il nome di Pacific Trash Vortex (o ‘Asian Trash Trail’, ‘North Pacific Gyre’ o ancora’ Eastern Garbage Patch (EGB)’).

Quella che ormai si può definire quasi come ‘isola’, continua ad inglobare nuovi detriti e rifiuti che giungono fino a lì per mezzo delle correnti oceaniche. Una volta che i rifiuti ‘incontrano’ questa massa di spazzatura, vengono ‘assorbiti’ dalla stessa ed iniziano il loro viaggio sospesi nell’acqua,  seguendo la corrente del vortice Subtropicale del Nord Pacifico che, lento ma continuo, si muove in senso orario a forma di spirale.

L’isola (affermano diverse fonti) ha un’estensione pari all’area del Texas ed  una profondità che varia dai 10 ai 30 metri. Circa l’80% dei rifiuti qui inglobati derivano dalle coste, mentre il rimanente 20% deriva dagli scarichi o dalle perdite di navi e container. Si stima che la densità di questo agglomerato di spazzatura sia pari a 5,1 kg/km2.

La maggior parte dei rifiuti sono residui di oggetti formati da plastica; la plastica è ben conosciuta per la sua durabilità e stabilità, e queste caratteristiche sono da un lato un aspetto positivo di questo materiale, ma dall’altro – quando si tratta di rifiuti – diventano  una minaccia per la tutela dell’ambiente.  Infatti, un rifiuto in plastica inizia a subire una fotodegradazione già dopo appena un anno dal contatto con l’acqua, frantumandosi poi  in numerosi pezzetti, fino ad arrivare a disgregarsi in polimeri. Questi ultimi, data la loro dimensione, vengono scambiati in zooplancton dalle meduse, entrando nella catena alimentare degli animali marini.

Al contrario, quando i rifiuti si disgregano ed assumono la dimensione dei pellets da cui erano stati originati, vengono scambiati per piccole prede da uccelli, tartarughe e mammiferi marini.

Dalle analisi degli stomaci di volatili marini (per esempio albatros) e di tartarughe deceduti si è evinto che l’ingestione di particelle di plastica provoca la morte di queste creature. Spesso, inoltre, la plastica si trasforma in ‘spugna chimica’: essendo porosa, assorbe sostanze e veleni chimici che vengono ingeriti dagli animali insieme alla plastica stessa.

Un altro fenomeno causato dal Pacific Trash Vortex è l’allontanamento di specie animali e vegetali dal loro luogo di appartenenza; ad esempio, molluschi come le cozze o vegetali come le alghe, tipiche di una certa zona, si attaccano ad ammassi di plastica flottanti e vengono trascinati in altri luoghi per mezzo della correnti.  Il trascinamento di queste specie in altre zone non originarie, può rappresentare una minaccia per le specie di altre aree, causando squilibri nel già delicato sistema marino.

Altre specie di alghe, crostacei e pesci, invece, trovano negli agglomerati flottanti l’habitat ideale per riprodursi  e svilupparsi.

E’ il caso del Canthidermis, i cui avannotti si sviluppano ‘felicemente’ in questo tipo di ambiente.

Alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di altri quattro “vortici di immondizia”: due  nell’Oceano Atlantico, uno nell’Oceano Pacifico del Sud ed uno nell’Oceano Indiano.

Nonostante l’aspetto negativo di queste isole di immondizia, grazie a loro è stato possibile capire maggiormente il moto delle correnti e come si distribuiscono attorno al globo.

Vi sono diversi  studi in corso per raccogliere informazioni sull’andamento delle correnti oceaniche, e questi studi sono stati anche aiutati da un viaggio molto particolare: si tratta del viaggio delle papere di gomma.

 

3 -Papere intorno al globo

Era il lontano 1992 quando una nave cargo, partita da Hong Kong e che trasportava circa 30.000 animaletti di plastica colorata destinati a ‘nuotare’ nelle vasche di altrettanti bambini, si imbattè in una tempesta nell’Oceano Pacifico, perdendo tre dei suoi container.

Nei container il carico di animaletti era così diviso: 35% papere gialle, 26% castori rossi, 21% rane verdi e 18% tartarughe blu, ma le più famose tra tutti sono diventate le papere.

 

Da allora gli animaletti liberati iniziarono il loro viaggio in mare aperto, seguendo le correnti marine.

Due terzi si diressero verso sud, raggiungendo le coste dell’Indonesia, dell’Australia e del Sud America. Il rimanente, invece, incontrando una corrente oceanica differente, si diresse a nord.

Una parte degli animaletti riuscì ad attraversare lo Stretto di Bering e, dopo aver affrontato le gelide correnti artiche e percorrendo circa un chilometro e mezzo al giorno, riuscirono a raggiungere l’Oceano Atlantico.

Nel 2003 è addirittura scattata una ‘taglia’ di 100 USD su di loro, proposta dalla Casa Produttrice.

Finalmente nel 2007, a distanza di 15 anni, sono stati identificati al largo delle coste dell’Inghilterra, della Cornovaglia edell’ Irlanda del Sud.

Gli animaletti, che ormai sono un po’ “sbiaditi”, si riconoscono perché portano la scritta “The First Years”, loro marchio di fabbrica.

 

Fin dai loro primi avvistamenti anni prima, le paperelle ed i loro amici sono diventati l’oggetto di studio dell’oceanografo Curtis Ebbesmeyer che, dalla sua postazione a Seattle, ha monitorato e tracciato i loro spostamenti lungo le correnti oceaniche.

Gli studi di Ebbesmeyer aiutano a capire l’andamento delle correnti, dando così un prezioso contributo agli studi sulle variazioni climatiche.

 

4 - Conclusioni

Questo straordinario materiale che è la plastica, che ci facilita la vita nel quotidiano, non è eliminabile nel breve periodo. Ciononostante, è davvero importante essere coscienti della sua natura inquinante, ed è ancora più importante e necessario cercare di riciclarla e riutilizzarla in tutti i modi possibili.

Vi sono continue ricerche in merito, e fortunatamente molte situazioni stanno evolvendo e cambiando (nel torinese, per esempio, nei supermercati non si utilizzano più sacchetti di plastica, ma solo sacchetti di stoffa, di materiale biodegradabile o di carta), ma in parte sembra di essere già in ritardo.

Già negli anni ’80 si iniziava a sentir parlare di materie biodegradabili derivanti dal mais, ma ci sono voluti anni prima che queste idee brillanti diventassero conosciute ed utilizzate.

Attorno alla plastica ruota un mondo, come evidenzia il giornalista canadese Ian Connacher in una ricerca svoltasi in diversi Paesi e durata più di un anno; questa ricerca include approfondimenti sull’inquinamento causato dalla plastica e sui metodi che di volta in volta si sono “inventati” persone, piccoli villaggi  e compagnie private per poter riutilizzare i diversi materiali e dare, così, il loro contributo alla salvaguardia del nostro Pianeta.

Ancora una volta, la sensibilizzazione rispetto al problema della plastica e dell’inquinamento che ne deriva si rapporta ad un fattore essenziale: la conoscenza. Solo conoscendo cosa può causare –per esempio- un flacone abbandonato in mare, si può cercare di arginare un degradamento ambientale altrimenti in crescita.

 

Bibliografia e fonti

http://www.greenpeace.org/international/en/campaigns/oceans/pollution/trash-vortex/

http://blog.yachtandsail.it/post/473/pacific-trash-vortex-unisola-di-spazzatura

http://en.wikipedia.org/wiki/Great_Pacific_Garbage_Patch

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/06_Giugno/28/paparelle_oceano_correnti.shtml

http://www.psfk.com/2009/04/interview-filmmaker-ian-connacher-addicted-to-plastic.html

http://www.bioplastica.it/

http://www.materbi.it/

http://ecocompatibile.com/2/index.htm

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/06-Giugno/28/paperelle-oceano-correnti

http://www.corepla.it

http://www.plastica.it

 

Elena Panero

 

 

 

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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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