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Anno XV num.3
Mag./Giu. 2016

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LA SCRITTURA

 di Federica Aceti

 

Ogni giorno, ciascuno di noi compie azioni incondizionate, abituali come mangiare, bere, dormire e scrivere.

Scriviamo per il piacere che ci provoca l’imprimere sulla carta le nostre esperienze, le nostre emozioni, per far conoscere il nostro pensiero, per tenere i conti, per raccontare delle storie  o per ricordare cosa dobbiamo fare domani.

La scrittura è una delle conquiste più importanti dell’umanità, ma la gente ignora quanto lungo e complesso sia stato questo percorso. Partendo dalla scuola, nessuno ci ha mai spiegato come sia nata, ma ce l’hanno sempre presentata come qualcosa che è sempre esistita.

È per questo motivo che ho deciso di elaborare la mia tesina su questo argomento.

Nonostante esistano varie scuole di pensiero, io concordo con quelle che sostengono che la scrittura sia nata nel Paleolitico, quando l’uomo ha cominciato a tracciare graffiti e pitture sulle rocce e sulle pareti delle caverne. Che siano stati realizzati a scopi magici e propiziatori o per raccontare scene di caccia, senza di essi molte cose che conosciamo oggi su quest’Era rimarrebbero ignote.

La prima forma di scrittura, come la intendiamo oggi, fu inventata dai Sumeri, in Mesopotamia nel 3300 a.C., per soddisfare le esigenze dei sacerdoti, ovvero registrare i tributi. Inizialmente la scrittura era realizzata con disegni schematici (pittogrammi) tracciati su tavolette d’argilla fresca, sulle quali lo scriba imprimeva la punta triangolare di uno stilo di canna affilato, per raffigurare i prodotti che arrivavano nel tempio/magazzino.

Questi disegni rappresentavano un oggetto, non un nome o una parola; è per questo motivo che, con il passare del tempo, i Sumeri scomposero le parole della loro lingua in sillabe e attribuirono a ognuna di queste un segno convenzionale; da questo la nascita della scrittura sillabica o, più comunemente conosciuta, cuneiforme (in quanto ogni sillaba ricordava la forma di un cuneo/chiodo).

Fino alla prima metà del II millennio, l’andamento della scrittura cuneiforme era verticale, e da destra a sinistra; dopo si diffonde un andamento orizzontale da sinistra a destra.

Contemporaneamente ai Sumeri, anche gli Egiziani inventarono la scrittura; essa era costituita dai così detti geroglifici, ovvero segni sacri, in quanto venivano considerati dotati di poteri magici; per questo motivo gli scribi tracciavano con grande cura ogni segno, fino a farne una piccola opera d’arte. Inoltre, ogni segno veniva considerato “vivente” e chi scriveva doveva badare a questo aspetto (per esempio, se si tracciava il geroglifico di un leone, gli scribi ne mutilavano una gamba per impedirgli di balzare fuori dal testo e ferire il lettore).

I geroglifici erano in parte:

-          Pittogrammi: un segno rappresentava un oggetto

-          Ideogrammi: un segno indicava un’idea astratta, un concetto

-          Fonetici: un segno stava per il suono della parola che rappresentava.

 

I segni erano disposti da destra a sinistra o da sinistra a destra, in verticale o in orizzontale; l’inizio della riga di scrittura dipendeva da dove gli esseri animati guardavano.

Il supporto utilizzato per questa scrittura era il papiro, costituito da fogli simili alla carta, ottenuti macerando, intrecciando e battendo sottili listarelle ricavate dai gambi della pianta, appunto chiamata, papiro, che cresceva nelle paludi e con cui gli Egiziani fabbricavano anche barche, sandali e ceste. I fogli di papiro, una volta scritti, venivano arrotolati e conservati negli archivi dei templi.

Il più antico alfabeto conosciuto è quello fenicio, puramente consonantico (ovvero senza vocali), nato nel 1500 a.C.. Esso si basava sul principio che ad ogni suono del linguaggio corrisponde un segno. Molti alfabeti nati dopo quello fenicio, prendono spunto da questo per evolversi e migliorarlo; come l’alfabeto greco, nel quale vengono integrate all’interno anche le vocali. La scrittura diventa uno strumento per scrivere miti, annali e cronache.

Verso la fine dell’VIII sec. A.C., nel golfo di Napoli (zona molto aperta e favorevole agli scambi), gli Etruschi vengono a contatto con i Greci. Uno dei risultati più significativi di questo contatto è l’adozione della scrittura. L’alfabeto inizia a diffondersi tra i popoli dell’Italia antica.

Nell’uso testuale gli Etruschi adottarono l’alfabeto greco compiendo alcune modifiche e abbandonando alcuni segni sentiti inutili per la loro lingua.

Tutte le manifestazioni a noi note in lingue italiche sono scritte in alfabeti di derivazione greca, etrusca e, in misura minore, latina.

L’alfabeto latino nasce nel VII secolo a.C. da quello etrusco. In origine era composto da 20 caratteri e solo da lettere maiuscole; fu solo nel Medioevo che entrarono nell’uso anche le lettere minuscole. Il maiuscolo fu mantenuto per scritture formali; da qui l’uso dell’iniziale maiuscola per aprire una frase o per indicare nomi propri. Oggi è l’alfabeto più diffuso nel mondo. La sua espansione nell’Europa settentrionale e centrale avvenne attraverso la diffusione del Cristianesimo.

Tra gli altri alfabeti noti ricordiamo quello:

-          Ebraico: scrittura consonantica; le vocali possono essere aggiunte sotto le consonanti per favorire la comprensione. Si legge da destra a sinistra.

-          Arabo: si compone di 28 lettere, tutte consonanti, mentre le vocali sono segnalate mediante segni che di solito vengono omessi. Si legge da destra a sinistra e nei libri la prima pagina è quella che per noi è l’ultima.

-          Runico: ne esistono due tipi; quello a 24 segni e quello di 16 segni adottato dai Vichinghi. I popoli germanici e scandinavi ritenevano che questi segni avessero poteri magici e credevano che non venissero scolpiti dagli incisori, ma si creassero autonomamente.

-          Cirillico: usato per le lingue dei russi, ucraini, bulgari e serbi. Il nome deriva dal suo inventore, San Cirillo. Si compone di 31 segni.

 

La scrittura era una pratica riservata a pochi eletti, anche perché imparare a scrivere richiedeva anni di studio; come gli scribi, nel Medioevo i monaci svolgevano il lavoro di copisti, ovvero riscrivevano a mano le grandi opere dell’antichità classica, greca e latina. Era un lavoro molto prezioso, ma lungo, faticoso e soggetto ad errori. I monaci scrivevano sulla pergamena (inventata da Eumene II di Pergamo nel 200 a.C.), materiale ricavato dalla pelle di pecora trattata.

Con l’arrivo della stampa a caratteri mobili (invenzione di Gutenberg del 1452) la scrittura diventa accessibile a tutti. Nasce così il libro grazie alla possibile riproduzione in serie di qualsiasi opera.

I caratteri mobili, per poter essere usati nella composizione del testo, venivano riposti in un apposito contenitore chiamato “cassa tipografica”. Esso era suddiviso in “cassa alta” (disponeva di 98 scomparti, e conteneva nella parte destra le piccole maiuscole disposte in ordine alfabetico, segni commerciali e qualche segno di punteggiatura; la parte sinistra conteneva le maiuscole, le lettere accentate e le doppie) e “cassa bassa” (conteneva 54 scomparti con le minuscole, i numeri e gli spazi). Il compositore prelevava i singoli caratteri e li affiancava rovesciati, da sinistra verso destra, su uno strumento chiamato compositoio. Dopo di che si procedeva alla stampa del foglio, mediante l’utilizzo del torchio. Esso, nel corso degli anni, subì numerosi perfezionamenti, volti a semplificarne il funzionamento e ad incrementare la produttività.

Nel 1855 Giuseppe Ravizza brevettò il primo “cembalo scrivano”, alias la macchina da scrivere, uno strumento rivoluzionario di scrittura, dotato di una piccola tastiera sulla quale erano dipinte le lettere dell’alfabeto e i segni di interpunzione.

Devono passare più di cento anni prima di arrivare agli albori della tecnologia moderna. Nel 1983 nasce il primo personal computer, uno strumento che ha avuto, nel giro di pochi anni, una rapida evoluzione. La sua memoria e capacità di calcolo possono rendere più efficaci e produttive le attività di tutti. Da esso nasce la videoscrittura, una pratica che modifica profondamente la tradizionale attività di scrittura.

Il processo di scrivere a mano o al computer è radicalmente diverso. Nel primo caso si tratta di un’attività motoria specializzata che comporta l’uso di una sola mano scrivente, mentre l’altra offre solo un sostegno sul foglio. Quando scriviamo a mano, c’è un rapporto diretto tra il nostro atto di scrivere e il prodotto grafico ottenuto; per cui la nostra esperienza coinvolge tutto il corpo e tutti i sensi. Da qui la possibilità di personalizzare nel tempo la grafia in una maniera unica e inimitabile.

Al contrario, nella scrittura al computer si perde completamente questa componente di contatto tra il processo e il prodotto grafico. Si usano entrambi le mani per schiacciare i tasti, senza la consapevolezza del movimento necessario per eseguire ogni lettera e sguardo sullo schermo per controllare quanto si sta scrivendo. Si perde così completamente il contatto con il corpo, la combinazione dei sensi correlati a precisi movimenti di motricità, mentre la scrittura diventa impersonale.

 

Dopo aver guardato, in modo sintetico, la storia della scrittura, scrivere non è più un fatto banale ed anonimo come lo era prima, ma diventa qualcosa di molto più interessante. Ci si rende conto che ogni lettera ha una sua storia che spesso risale a migliaia di anni fa.

Platone criticava questa “nuova invenzione”, perché, a suo parere, impediva il ricordo, che aiuta il risveglio della verità nell’interiorità dell’anima e biasima l’eliminazione della parola viva del maestro, sostituita dal libro che non può rispondere alle domande dell’allievo.

“Le immagini dipinte ti stanno davanti come se fossero vive, ma se chiedi loro qualcosa, tacciono solennemente. Lo stesso vale anche per i discorsi: potresti avere l’impressione che essi parlino, quasi abbiano la capacità di pensare, ma se chiedi loro qualcuno dei concetti che hanno espresso, con l’intenzione di comprenderlo, essi danno una sola risposta e sempre la stessa”

A difesa della scrittura e della pittura Ricoeur (filosofo francese), invece, non le considera uno smorto doppione della realtà, ma occasione e strumento di un incremento di senso. Inoltre sottolinea come l’assenza del dialogo tra maestro e allievo viene colmata dal lettore, che prende il posto dell’interlocutore assente e, con la sua interpretazione del messaggio dell’opera, favorisce l’incremento del senso dell’opera stessa.

Vorrei concludere dicendo che noi possiamo conoscere più profondamente noi stessi, trovare la nostra identità se narrativizziamo le nostre esperienze, la nostra vita come in un racconto. Dall’oceano dei pensieri e delle azioni possiamo risalire alla sorgente se cogliamo noi stessi come in un racconto.

Quando scrivi qualcosa non hai il controllo su quello che gli altri capiranno; l’importante è che esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché chi lo legga sia guidato dalla sua luce.

(Tesina finale Master Editoria on-line)

 

Federica Aceti

 


 

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