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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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LO SVILUPPO (IN)SOSTENIBILE

di Giulio Tiradritti

Capitolo 1

Nel 1987 la World Conservation Strategy utilizzò, per la prima volta, il concetto di Sviluppo Sostenibile, già menzionato nel rapporto Bruntland del 1983. “E’ lo sviluppo che soddisfa le attuali necessità delle persone senza compromettere la capacità delle generazioni future”. Questa definizione, a mio avviso, contiene una sorta di vago indirizzo, tipico di questi grandi scienziati, che ragionano sui problemi ambientali, così come si ragiona su qualsiasi altro tipo di problema, ma si ritorna al problema, senza indicarne mai la possibile soluzione. Certamente è molto difficile fare pressione sui poteri forti economici nazionali ed internazionali, ma se non lo fanno almeno loro che hanno il carisma e la capacità intellettive, chi altro lo deve fare? Si riuniscono, si costituiscono i Vertici sull’ambiente, sull’economia, sulla sostenibilità, ma poi si sta sempre al punto di partenza: e cioè che andiamo verso il collasso ambientale, che aumenta la deforestazione e scompaiono gli animali, vittime innocenti della peggiore specie, cioè quella dell’essere umano.

Certamente è sempre meglio dare una soluzione graduale, come quella di dire che serve lo sviluppo sostenibile, piuttosto che non dire niente. Ma se si cambiassero delle parole, il senso della frase è il medesimo, ad esempio, lo sviluppo insostenibile : “E’ lo sviluppo che consente alle generazioni presente di inquinare e consumare risorse lasciando però anche alle altre generazioni, si spera, la possibilità di poterlo fare”. Invece bisognerebbe avere il coraggio di dire, forse già lo hanno fatto, ma non se ne parla abbastanza, di dire che solamente liberando la scienza, la tecnologia e la produzione dalle catene dell’economia e del profitto si può generare uno sviluppo sociale. Non si può essere ambientalisti e liberali: o si è l’uno, o si è l’altro.

 

Capitolo 2

Il compromesso sullo sviluppo

Naturalmente lo sviluppo sostenibile è basato, come tutte le politiche, sui compromessi. La mia posizione, quella che è riportata sopra, è l’approccio critico; ma poi c’è anche quello ufficiale, che la produzione, confidando nella scienza e nella tecnica senza però mettere in discussione i valori che sostiene la possibilità di limitare i dislivelli di sviluppo tra paesi ricchi e paesi poveri solo incrementando la dominano l’attuale modello di sviluppo (utilitarismo, economicismo, individualismo, competitività aggressiva..) e il modello sociale liberista, competitivo e capitalista. Sarà. Ma in questo tipo di rapporti, c’è sempre chi ci guadagna e chi ci rimette, inevitabilmente.

I disastri ambientali, il degrado degli ecosistemi e le risorse naturali costituiscono i segni più visibili dell’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo; il degrado ambientale si manifesta soprattutto in:

inquinamento dell’ambiente fisico (aria, acqua e suolo) per mezzo dell’emissione di agenti contaminati e della formazione di rifiuti;

perdita di biodiversità e delle specie naturali legata alla riduzione e al deterioramento degli spazi naturali e delle aree ecologicamente sensibili;

utilizzazione eccessiva delle risorse naturali (non rinnovabili o rinnovabili a lungo termine) con conseguente rischio della loro diminuzione e del loro esaurimento.

A seconda della dimensione geografica di questo degrado ambientale si hanno una dimensione di carattere locale, circoscritta in zone specifiche, e una dimensione globale, che si manifesta attraverso l’emissioni di contaminati e l’utilizzo eccessivo delle risorse energetiche e naturali che deteriorano l’ambiente globale.

 

Accordi globali sulla sostenibilità

Nei vertici mondiali delle Nazioni Unite i governi stessi, ma anche le ONG, i vari movimenti sociali trovano un “foro” di discussione adeguato per problemi globali come quelli relativi alla sostenibilità. Nel diritto internazionale gli accordi raggiunti si traducono in termini come Trattato, Patto, Convegno e Convenzione. Importante è sottolineare come ci siano anche dei vertici alternativi a quelli degli Stati e dei Governi, come ad esempio il Global Social Forum. Le principali fasi che hanno costituito il formarsi di Eventi e Trattati sulla politica ambientale sono stati:

1972 Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite sull’ambiente denominata “Una sola Terra”. Per la prima volta a livello mondiale dopo il Rapporto del Club di Roma “I limiti dello Sviluppo” si manifesta a livello mondiale la preoccupazione per la problematica ambientale.

1973-77 I Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente, in cui viene stabilito il principio di “chi inquina paga”. Si definiscono tre linee di azione: ridurre e prevenire l’inquinamento, migliorare l’ambiente naturale, e azioni della comunità all’interno delle organizzazioni internazionali.

1977-81 II Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente, in cui si ampliano aspetti come la protezione e la Gestione razionale degli spazi naturali (Sistema di Cartografia Ecologica), Protezione della Fauna e della Flora.

1983 Commissione Bruntland.

1982-86 III Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente.

1987 Rapporto Bruntland. Viene formalizzato dalle Nazioni Unite tramite la commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo “Il nostro futuro comune” il concetto di “Sviluppo Sostenibile”.

1987-92 IV Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente.

1990 Libro Verde sull’ambiente urbano. Le città vengono riconosciute come il motore dei cambiamenti. I problemi urbani vengono focalizzati in modo integrale, tenendo in considerazione gli aspetti ambientali, insieme a quelli economici e sociali. Questo obiettivo si concretizza nel 1994 con la Carta di Aalborg.

1992 Conferenza di Rio de Janeiro. Summit mondiale. Costituisce una delle tappe più importanti in ambito di consenso internazionale sul concetto di sviluppo sostenibile. Nella Dichiarazione di Rio vengono costituiti alcuni impegni internazionali importanti, come la Dichiarazione dei Principi Relativi alle Foreste, la Convenzione sul Cambiamento Climatico, la Convenzione sulla Diversità Biologica e il punto di partenza delle negoziazioni della Convenzione sulla Lotta alla Desertificazione. Viene costituito il Documento Agenda 21 da cui nascono le 21 Agende locali.

1992-99 V Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente dell’UE “Verso uno Sviluppo Sostenibile”. Il suo obiettivo principale è quello di integrare le politiche ambientali con il resto delle politiche economiche e sociali dell’UE.

1994 Prima Conferenza delle città europee sostenibili. Aalborg (Danimarca). Tramite il Consiglio internazionale di iniziative locali per l’ambiente (ICLEI), ottanta autorità locali europee hanno sottoscritto la Carta delle città e dei paesi europei verso la sostenibilità (Carta di Aalborg). Oggi, più di 2000 autorità locali e regionali hanno aderito a questa campagna.

1995 Conferenza dei Ministri e dei Responsabili per l’ambiente delle Regioni dell’Unione europea, in materia ambientale, Valencia, con l’elaborazione della Carta delle nazionalità e delle regioni europee per l’ambiente (Carta di Valencia).

1996 II Conferenza delle città europee sostenibili (Lisbona), continuità della politica ambientale delle città, dalla Carta di Aalborg al piano d’azione di Lisbona (“Dalla Carta all’azione”).

1996 Conferenza delle Nazioni Unite sugli Insediamenti Umani Habitat II. Istanbul.

1997 Vertice straordinario Rio + 5. New York.

1998-99 Conferenze regionali. Dopo quella di Lisbona le prossime conferenze si sono svolte a Turku (settembre 1998), Sofia (novembre 1998), Siviglia (gennaio 1999; Dichiarazione di Siviglia) e L’Aja (giugno 1999).

2000 III Conferenza delle Città e dei paesi verso la sostenibilità (Hannover). In parallelo, l’Assemblea generale dell’ONU approva la “Dichiarazione del Millennio”, proclamando obiettivi di pace, disarmo, eliminazione della povertà, promozione dei diritti umani e tutela dell’ambiente comune.

2002-2012 VI Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente dell’UE. I punti di partenza sono i principi di: precauzione, prevenzione e “chi inquina paga”. Una delle azioni chiave su cui si basa questo VI programma è la strategia per l’Ambiente Urbano, il cui principale obiettivo è quello di ridurre l’impatto negativo delle città sull’ambiente con lo sviluppo di piani di gestione (progetti sostenibili di trasporto urbano, costruzione e progettazione sostenibile di edifici, ecc.).

2002 Conferenza di Rio + 10. II Summit mondiale (Johannesburg). Si è portato avanti il tema dello Sviluppo Sostenibile con l’obiettivo del vertice quello di ridurre la povertà e il degrado ambientale.

2004 Aalborg +10. Ispirare il futuro.

2007 V Conferenza europea delle città e dei paesi sostenibili. Siviglia.

 

I principali documenti internazionali sull’ambiente

Agenda 21

L’Agenda 21 è un piano strategico globale adottato da 173 governi in occasione del Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992. Esso costituisce un piano di azione che elabora strategie e misure integrate per contenere gli effetti del degrado ambientale e per promuovere uno sviluppo compatibile con l’ambiente e sostenibile in tutti i paesi. Si compone di 40 capitoli, suddivisi in quattro blocchi:

I Le dimensioni socio-economiche (capitoli 1-8).

II I vettori ambientali come risorsa per lo sviluppo sostenibile (capitoli 9-22).

III Gli agenti del cambiamento (capitoli 23-32).

IV Strumenti di attuazione (capitoli 33-40).

Questo documento ha aperto la strada alla conoscenza, la promozione e lo scambio di idee e di opinioni tra i cittadini e le autorità locali, le organizzazioni civiche, sociali, le associazioni imprenditoriali e industriali locali, al fine di far aumentare la consapevolezza sui temi ambientali ad una maggiore pluralità di cittadini, ed aumentare quindi il consenso verso lo sviluppo sostenibile. Da allora più di 5000 città in tutto il Mondo hanno iniziato la loro Agenda 21 locale. L’Agenda 21 è stata assunta dai principi della Carta di Aalborg sulla centralità delle città nella loro trasformazione verso la sostenibilità: “Il nostro attuale modello di vita urbana, e in particolare i nostri schemi di divisione del lavoro e delle funzioni, l’utilizzo del territorio, i trasporti, la produzione industriale, l’agricoltura, i consumi e le attività ricreative, e quindi il nostro tenore di vita, ci rende responsabili di molti problemi ambientali che affettano l’umanità” (Carta di Aalborg, Danimarca 1994).

Il Protocollo di Kyoto e la Conferenza di Bali

Il Protocollo di Kyoto è l’accordo internazionale più importante in relazione al cambiamento climatico. Esso ha le sue radici nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite a New York, il 9 maggio 1992. In questa Convenzione vi è stata la pubblicazione del primo rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (International Panel Climate Change, IPCC). L’organo supremo della Convenzione è la Conferenza delle Parti (COP), che riunisce annualmente tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione. La prima Conferenza delle parti (COP1) è stata tenuta a Berlino nel 1995. Dopo due anni e mezzo di intense trattative, è stato adottato il Protocollo di Kyoto nella COP3 di Kyoto (Giappone), l’11 dicembre 1997. Anche se 84 paesi hanno firmato il protocollo, il che significa la loro intenzione di ratificarlo, molti sono stati riluttanti a far si che il protocollo entrasse i vigore prima di avere una chiara idea sulle norme del trattato, dado inizio ad una nuova serie di negoziati, conclusisi con la COP 7 con l’adozione degli accordi di Marrakesh (2001), che stabilivano le norme dettagliate di applicazione del protocollo di Kyoto, così come alcune importanti misure per l’adozione della Convenzione.

Nel maggio 2002 l’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore il 16 gennaio 2005, in seguito alla ratifica da parte della Russia, dato che la sua entrata in vigore deve essere approvata da 55 paesi che rappresentano il 55% delle emissioni dei gas da effetto serra. Tuttavia, diversi paesi industrializzati hanno rifiutato di ratificare il protocollo, come gli Stati Uniti e l’Australia. Il protocollo di Kyoto segna obiettivi vincolanti per le emissioni di gas: diossido di carbonio (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), per fluorocarburi (PFC) e esafluoruro di zolfo (SF) per le principali economie mondiali che l’hanno accettato. L’obiettivo del taglio globale del 5% sui livelli del 1990 dei gas da effetto serra per i paesi industrializzati oscilla tra la riduzione del 28% del Lussemburgo e del 21% in Danimarca e Germania, e un aumento massimo delle emissioni del 25% in Grecia e del 27% in Portogallo. I principali meccanismi su cui si articola il protocollo di Kyoto nei rapporti con i paesi in via di sviluppo nel raggiunger gli obiettivi sono:

Il commercio dei diritti di emissione: i paesi più impegnati nella riduzione delle emissioni possono vendere i crediti di emissione in eccesso ai paesi che ritengano più difficile il raggiungimento degli obiettivi.

L’applicazione congiunta: questo meccanismo regola i progetti di cooperazione tra paesi obbligati a contenere o ridurre le loro emissioni, in modo che la quantità di risparmio grazie a nuove installazioni è condivisa tra i partecipanti al progetto.

Meccanismi di sviluppo pulito: questo meccanismo è simile al precedente, diretto ai paesi con impegni di riduzione delle emissioni in modo che possano vendere o compensare le emissioni equivalenti che sono state ridotte attraverso progetti realizzati in altri paesi senza impegni di riduzione, di solito paesi in via di sviluppo.

Nel dicembre 2007 a Bali, in Indonesia, si è tenuto il terzo incontro di monitoraggio e il 13° vertice sul clima (COP13). E’ stato raggiunto un accordo su un processo di due anni chiamato “Mappa di Bali”, che mira a stabilire un regime post-2012 nella XV Conferenza sui cambiamenti climatici (COP15) nel dicembre 2009 a Copenhagen, Danimarca.

 

Gli obiettivi di sviluppo del millennio

Nel settembre del 2000 i leader di 189 paesi si sono riuniti presso la sede dell’ONU a New York e hanno approvato la “Dichiarazione del Millennio”, un accordo per lavorare insieme per costruire un mondo più sicuro, più prospero e più equo. I suoi obiettivi, dovrebbero quantomeno essere tentati di raggiungere entro l’anno 2015 e sono conosciuti come l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio (OMS). Chiunque si rende conto che sotto nessun criterio oggettivo questi obiettivi possono essere raggiunti nei tempi prestabiliti, e forse, per molto ancora nei tempi in divenire. Comunque, gli obiettivi, ahimè ambiziosi, che si era posto l’Obiettivo di Sviluppo sono:

1 Sradicare la povertà estrema e la fame. Ci sono 800 milioni di persone con un’alimentazione insufficiente per soddisfare il loro fabbisogno energetico quotidiano, in modo da poter ridurre della metà, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di popolazione che vive in condizioni di povertà estrema (con meno di un dollaro al giorno); garantire una piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti, compresi donne e giovani; ridurre della metà, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di popolazione che soffre la fame.

2 Garantire l’educazione primaria universale. Ci sono oltre 115 milioni di bambini in età scolare che, non potendo andare a scuola, sono privati di questo diritto umano. L’educazione, in particolare delle bambine, offre benefici sociali ed economici a tutta la società. L’OMS ha un unico obiettivo, che stabilisce che entro il 2015 tutti i bambini devono poter completare un ciclo completo di istruzione primaria. Si considerano tre indicatori, il primo si riferisce ai tassi di iscrizione, il secondo è una misura di completamento, e il terzo si riferisce ai tassi di alfabetizzazione dei giovani (dai 15 anni ai 24 anni, uomini e donne).

3 Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne. Eliminare la disparità dei sessi nell’insegnamento primario e secondario preferibilmente per il 2005, e per tutti i livelli di insegnamento entro il 2015.

4 Ridurre la mortalità infantile. Ogni anno muoiono 11 milioni di bambini (30000 bambini al giorno) prima di compiere i 5 anni di età. Ridurre di due terzi, fra il 1990 e il 2015, la mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni è l’obiettivo del Millennio numero 4.

5 Migliorare la salute materna. Ogni anno, per oltre mezzo milione di donne la gravidanza e il parto si concludono con la morte e questo numero moltiplicato per venti rappresenta il numero di donne che subiscono lesioni o gravi disabilità. Attualmente vi sono 200 milioni di donne che non hanno accesso ai servizi di contraccezione sicura ed efficace di cui hanno bisogno. Si cerca di ridurre di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna, e di rendere possibile, entro il 2015, l’accesso universale ai sistemi di salute riproduttiva.

6 Combattere l’HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie. L’AIDS è diventata la principale causa di morte prematura in Africa Sub-sahariana e la quarta causa di morte nel mondo, mentre la malaria provoca un milione di decessi, per lo più bambini, e stima che ha contribuito a ridurre la crescita economica nei paesi africani di un 1,3%, mentre è ricomparsa anche la tubercolosi.

7 Garantire la sostenibilità ambientale. Per raggiungere questo obiettivo, si cerca di coordinare alcuni tipi di politiche: integrare i principi di sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi dei paesi, cercando di invertire la tendenza attuale alla perdita di risorse ambientali; ridurre il processo di annullamento della biodiversità raggiungendo, entro il 2010, una riduzione significativa del fenomeno; ridurre della metà, entro il 2015, la percentuale di popolazione senza un accesso sostenibile all’acqua potabile e agli impianti igienici di base; ottenere un miglioramento significativo della vita di almeno 100 milioni di abitanti delle baraccopoli entro l’anno 2020.

8 Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Attraverso una partnership mondiale per lo sviluppo, si dovrebbe: sviluppare al massimo un sistema commerciale e finanziario che sia fondato su regole, prevedibile e non discriminatorio; tenere conto dei bisogni dei paesi meno sviluppati; rivolgersi ai bisogni speciali degli Stati senza accesso al mare e dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo.

 

Rapporto 2009 sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio

Il rapporto avverte che a meno di sei anni dal 2015, meta fissata per il raggiungimento degli OSM, i progressi sono stati lenti per la maggior parte degli obiettivi che si dovrebbero raggiungere nel 2015 e i principali progressi nella lotta alla povertà e alla fame si stanno riducendo, o addirittura invertendosi a causa della crisi economica e alimentare mondiale. Alcune delle gravi ripercussioni della crisi economica sono:

a) Ci sono tra i 55 e 90 milioni in più di poveri. Nel corso di questo periodo, il numero di persone che vivevano con meno di 1,25 dollari al giorno è sceso da un miliardo e 800 milioni a un miliardo e 400 milioni. Nel 2009, si stima che tra 55 e 90 milioni in più del previsto prima della crisi starà vivendo in condizioni di estrema povertà.

b) Ci sono circa 100 milioni in più di affamati. La prevalenza della fame nelle regioni in via di sviluppo è in aumento, ed è cresciuta dal 16% nel 2006 al 17% nel 2008.

c) Vi è più malnutrizione infantile.

d) Ci sono meno posti di lavoro, soprattutto per le donne. Esistono meno fondi per i programmi per migliorare la salute materna, obiettivo per il quale si sono registrati i progressi minori fino ad oggi.

e) Le risorse interne e le esportazioni diminuiscono.

f) Maggior degrado ambientale.

g) Sono in pericolo gli aiuti dei paesi ricchi. Dato che la maggior parte delle economie dei paesi dell’OCSE sono in recessione, compreso il compimento degli impegni presi (che sono stati espressi come percentuale del reddito nazionale dei paesi donatori) porterebbe a una diminuzione della quantità degli aiuti, significando per molti paesi in via di sviluppo riduzione degli aiuti, e quindi invertendo risultati e progressi già conseguiti.

I successi raggiunti prima della crisi sono stai conseguiti nell’iscrizione alla scuola elementare in tutti i PVS, raggiungendo l’88% nel 2007, un aumento rispetto all’83% registrato nel 2000; sebbene i tassi di mortalità infantile in Africa sub-sahariana rimangano i più alti del mondo, le morti dei bambini al di sotto dei cinque anni sono diminuite ad un tasso costante in tutto il mondo, nonostante la crescita della popolazione, da 12,6 milioni nel 1990 a circa 9 milioni nel 2007. A livello globale, il mondo ha ottenuto una riduzione del 97% del consumo di sostanze che riducono lo strato di ozono che protegge la Terra, fatto che stabilisce un nuovo precedente per la cooperazione internazionale.

 

Capitolo 3

I componenti principali del sistema ambientale

Aria

L’atmosfera terrestre è stata soggetta fin dalle sue origini a cambi della sua composizione, temperatura, autoregolazione. Ma lo sviluppo delle attività umane ha provocato delle alterazioni del ritmo e della natura di questi cambi; la rapida crescita urbana, le attività industriali hanno provocato l’emissione in atmosfera di una enorme quantità di sostanze nocive che ne hanno la sua qualità. Per verificare l’inquinamento atmosferico e la qualità dell’aria, si cercano di individuare tre aspetti su cui poter agire: la causa del problema, cioè a quale o quali sostanze è dovuto l’inquinamento; l’ambiente recettore dove vengono emessi i contaminati, e dove presumibilmente i venti potranno trasportare le sostanze; gli effetti che queste sostanze possono creare sugli elementi e sugli esseri viventi dell’ambiente recettore.

Le principali fonti di inquinamento chimico sono le emissioni e gli scarichi industriali, la gestione dei rifiuti e degli idrocarburi. Altre fonti inquinanti sono le miniere e l’agricoltura, soprattutto la dipendenza dei prodotti agro-chimici. I principali inquinanti atmosferici sono i gas effetto serra che potenziano i cambi climatici (CO2, CH4, NOX, SOX…), gli Idrocarburi Aromatici Policiclici (PAHs) e le particelle (PM10 e PM2.5, secondo il loro diametro in micro). Gli inquinanti più rilevanti dell’acqua e del suolo sono l’azoto e il fosforo, i metalli pesanti, le sostanze organo clorurate e gli idrocarburi.

L’aumento della concentrazione di determinate sostanze sbilancia le condizioni chimiche dell’ambiente, altera gli ecosistemi e degenera nella degradazione della qualità delle risorse naturali. Esistono anche molte sostanze sintetiche che arrivano all’ambiente e alterano le condizioni fisico-chimiche dell’atmosfera, del suolo e dell’acqua. Tra le più dannose vi sono quelle persistenti, con difficoltà a degradarsi in natura; bio-accumulanti, che si possono accumulare nei tessuti degli esseri viventi quando vi entrano in contatto (per inalazione, ingestione, assorbimento cutaneo). La sostanza inquinante entra nella catena trofica e la sua concentrazione viene apportata alla catena alimentare in ciò che viene definita bio-magnificazione; tossiche, il cui inquinamento corrisponde ad un aumento dell’incidenza di determinate malattie, come l’incidenza di molte forme di cancro e alcune malattie del sistema riproduttivo.

Acqua

Il contenuto dell’acqua del pianeta è stimato intorno ai 1300 trilioni di litri; la maggior parte di essi, il 97,4 %, appartiene agli oceani, il resto alle acqua dolci. L’acqua è sempre stata considerata una risorsa rinnovabile, cioè non tendente all’esaurimento, grazie al ciclo dell’acqua, che attraverso l’evaporazione e la pioggia, restituisce l’acqua alle sue fonti e quindi a alimentare i fiumi, i laghi e le falde acquifere sotterranee. Ciò porta ad un equilibrio se l’utilizzo dell’acqua non supera il volume restituito alla fine del ciclo. Ma nell’ultimo secolo il consumo di acqua aumenta sempre di più, principalmente il 70% per uso in agricoltura, soprattutto per un uso inappropriato di tecniche di irrigazione, e si prevede che per uso industriale il suo consumo raddoppierà nel 2050, soprattutto nei paesi emergenti come la Cina e l’India, anche se in proporzione questi paesi consumano di meno rispetto all’Occidente “democratico”, e lo fanno per ispirarsi e competere con il sistema economico capitalista imposto quasi brutalmente in ogni parte del Mondo. Non è escluso, soprattutto nei Paesi più poveri, che possano esserci delle vere e proprie guerra per l’acqua, soprattutto perché c’è carenza di acqua potabile.

Suolo

Nella problematica ambientale relazionata al suolo si distinguono l’inquinamento, l’erosione e l’inutilizzazione produttiva ed ecologica. I fattori contaminanti più gravi sono quelli di origine antropica, provenienti generalmente dall’industria, ma anche da attività agricole e pastorizie, soprattutto per l’uso dei pesticidi. L’eccessivo sfruttamento dei suoli dovuto ad una agricoltura intensiva, con conseguente diminuzione della vegetazione, che apporta materia organica che arricchisce il suolo, favorisce il lavaggio e l’impoverimento del terreno grazie alla capacità di ritenzione dell’acqua corrente, sono una delle cause, dovute all’intensità delle precipitazioni, del dissesto idrogeologico. Nei suoli degradati si origina infatti un deterioramento della loro capacità nel mantenere l’attività biologica, una perdita progressiva di materia organica, la desertificazione. L’erosione impoverisce i suoli, e se è costante e duratura è l’inizio della causa della desertificazione.

Rifiuti

A seconda del loro stato fisico i rifiuti si dividono in solidi, liquidi o gassosi, e a seconda della loro provenienza in industriali, agricoli, sanitari e rifiuti solidi urbani. Nel quadro legislativo si distinguono i rifiuti urbani e i rifiuti pericolosi ( tutti quelli che contengono nella propria composizione una o più sostanze che gli conferiscono caratteristiche pericolose in quantità e concentrazioni pericolose per la salute umana, l’ambiente e le risorse naturali). Per importanza di volume si distinguono i rifiuti agricoli, seguiti da quelli delle attività minerarie e industriali, quelli solidi urbani e infine quelli derivati dalla produzione di energia. La crescente produzione dei rifiuti è uno dei problemi più urgenti delle società moderne, tanto per le sue necessità di gestione, quanto per il suo impatto sull’inquinamento del suolo e dell’acqua, i rischi per la salute, il consumo di risorse naturali e i gas serra. Il modello di vita raggiunto dai paesi sviluppati, la società del benessere e del consumo stanno producendo un notevole incremento del reddito pro capite dei rifiuti rendendo sempre più insostenibile il sistema (il tasso attuale medio in Italia supera l’1,6 kg per abitante al giorno).

Impronta ecologica

L’impronta ecologica della maggior parte dei paesi sviluppati supera enormemente la propria superficie, visto che estraggono risorse e scaricano i loro rifiuti in posti ben lontani dal loro territorio. Da un punto di vista globale è stato stimato a 1,7 ettari la capacità biologica del pianeta per ogni abitante, ovvero se dovessimo dividere il terreno produttivo della Terra in parti uguali, ciascuno degli oltre sei miliardi di abitanti del pianeta avrebbe diritto a 1,7 ettari per soddisfare tutte le sue esigenze di un anno. Ad oggi la media del consumo procapite annuale è di 2,8 ettari. Da ciò si deduce che a livello globale si stanno consumando più risorse di quanto il pianeta possa rigenerare.

Disastri naturali

Negli ultimi venti anni si è riscontrato un aumento della frequenza, dell’impatto e della gravità dei disastri naturali, che hanno causato la morte di centinaia di migliaia di persone e provocato enormi perdite economiche. Dopo lo tsunami che devastò le coste dell’Oceano Indiano il 26/12/2004, la Conferenza Mondiale sulla Riduzione dei Disastri (Kobé, Hyogo, Giappone, 18-22/01/2005) approvò tre documenti sull’attenuazione dei rischi dei disastri naturali, tra cui figura un piano d’azione decennale per il periodo 2005-2015. I 4000 partecipanti, rappresentanti di 168 Stati, 78 organismi dell’ONU, 161 organizzazioni non governative adottarono la Dichiarazione di Hyogo, che esorta a promuovere “una cultura della prevenzione e dei disastri, lo sviluppo sostenibile, le vite delle generazioni presenti e future su tutti i livelli”.

Natura e biodiversità

La grande biodiversità sta retrocedendo in modo allarmante a causa dell’attività umana. Si calcola infatti che la tassa di estinzione annuale, basandosi sui numeri di specie per area e considerando la perdita delle foreste tropicali (approssimativamente 1/3 negli ultimi 40 anni) è di 50000 specie all’anno (solo 7000 quelle conosciute). Ciò corrisponde a 10000 volte la tassa naturale di estinzione, e rappresenta un 5% del totale delle specie ogni 10 anni. Se vengono mantenuti questi ritmi alla fine del XXI secolo saranno già scomparsi i 2/3 delle specie della Terra.

Gli Spazi Naturali Protetti (parchi naturali, riserve naturali, ecc.) occupano attualmente un 11,5% della superficie terrestre e costituiscono una delle iniziative di conservazione più conosciute e più prestigiose, ma se la politica degli spazi naturali protetti non viene accompagnata da misure generali per la conservazione della diversità biologica (le specie e gli ecosistemi) nella totalità del territorio, difficilmente si potranno raggiungere gli obiettivi prefissati. Gli Spazi Naturali Protetti, quindi, non devono essere entità isolate dal resto del territorio, bensì devono far parte di un sistema di conservazione in cui viene contemplata una gradazione naturale, partendo dalle aree naturali, praticamente inalterate, fino ad arrivare alle città, dove i processi naturali vengono controllati attentamente.

 

Capitolo 4

Le risorse principali e il loro impiego

La disponibilità di fonti di energia e di materie prime viene descritta in termini di risorse e di riserve. La risorsa è il quantitativo totale di un bene esistente sulla Terra relativo a un certo materiale, ed è prodotto casualmente dagli eventi geologici e biologici. Le risorse comprendono le fibre naturali, i prodotti agricoli, il legno e tutti gli altri prodotti dei sistemi biologici, come pure l’acqua, i metalli, i combustibili fossili (gas naturali, petrolio, carbone), i fertilizzanti naturali come i fosfati e altri elementi chimici. Per riserva si intende invece la percentuale di risorse che si può sfruttare con i mezzi e le tecnologie disponibili, trasformando la risorsa quindi in un bene merceologico.

Le risorse non rinnovabili

Carbone, petrolio, gas naturale sono derivati da sostanze organiche le quali liberano dalla loro combustione energia immagazzinata milioni di anni fa dagli alberi e dagli arbusti nelle loro strutture molecolari uniti alle sostanze assorbite dal terreno e dalla’aria, con vari composti organici, sotto forma di calore e luce, in combustibili fossili.

I cicli naturali attraverso cui le sostanze organiche vengono immagazzinate come combustibili fossili hanno durate dell’ordine di decine di milioni di anni, e a confronto del ritmo con cui vengono sfruttati, sono da considerarsi non rinnovabili. Un altro campo di indagini è quello delle risorse di combustibili nucleari, come l’uranio che si trova in minima quantità nelle rocce magmatiche intrusive (graniti) e nei filoni che le accompagnano, dove è presente sotto forma di ossido; la formazione di un giacimento di uranio richiede, oltre alla presenza  di grandi batoliti granitici, il processo naturale di arricchimento del materiale attraverso l’alterazione del granito, il trasporto in soluzione dell’uranio e la deposizione in rocce sedimentarie: questi processi richiedono processi molto lunghi e quindi anche i combustibili nucleari rientrano tra le risorse non rinnovabili.

A medio e breve termine le prospettive migliori riguardano la fissione nucleare che produce energia bruciando un isotopo fissile dell’uranio per ottenere plutonio. Bisogna comunque considerare il problema della sicurezza degli impianti nucleari e della vulnerabilità dell’ambiente nei confronti di una fuga incontrollata di materiali radioattivi, così come il problema dello smaltimento delle scorie radioattive, che sono un sottoprodotto di qualsiasi reattore nucleare, e quello della possibili diversione di certi combustibili nucleari verso la fabbricazione di ordigni nucleari; tutto ciò porterebbe ad un rischio ambientale praticamente incontrollabile.

Il tema delle risorse limitate riguarda anche l’agricoltura. Anche se sulla Terra sembra siano presenti vastissime zone da utilizzare per l’agricoltura, altrettanto grandi sono le limitazioni, seppure non sempre insormontabili, dovute a diverse cause, come agenti patogeni tipo la mosca tse-tse, alla oncocercosi, allo scivolamento del suolo e alla perdita di suolo produttivo a causa della erodibilità; all’aridità climatica che provoca un esaurimento delle risorse idriche sotterranee, e all’insufficienza dell’energia luminosa di cui i vegetali necessitano per compiere la fotosintesi.

 

Centrale nucleare

http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2011/07/Nucleare-giappone-atomo.jpg

Fonti di energia alternative e rinnovabili

Molto spesso si confonde il concetto di fonte di energia rinnovabili con quello di energia pulita. L’energia rinnovabile è quella che si cerca di utilizzare vista l’esauribilità delle risorse convenzionali (termoelettriche o nucleari).   L’energia pulita di solito proviene da una fonte primaria rinnovabile, ma non è detto che una fonte rinnovabile debba essere necessariamente pulita. Ad alcune fonti di energia pulita e rinnovabile si fa già ricorso da diverso tempo (come ad esempio l’energia geotermica e quella idroelettrica). Le principali fonti di energia rinnovabile e pulita sono:

a) Energia solare

L’energia solare è la fonte di energia primaria per eccellenza. Ogni anno il sole irradia sulla terra 19000 TEP (Tonnellate Equivalenti Petrolio), mentre la domanda annua di energia è di circa 8 miliardi di TEP. Essa è pertanto la fonte di energia più alternativa, pulita e rinnovabile. Il suo successo è derivato dalla semplicità dell’installazione degli impianti, per cui ogni casa dotata di tali impianti può diventare autonoma per quanto riguarda il soddisfacimento di alcuni bisogni precedentemente assicurato dall’utilizzo di elettricità prodotta convenzionalmente e da combustibili fossili (produzione di acqua calda e riscaldamento). Grazie a dei pannelli scuri che assorbono il calore, l’energia solare riscalda del liquido o dell’aria che si trova al di sotto di essi, che a loro volta riscaldano l’acqua per usi domestici, industriali e agricoli.

Per produrre energia elettrica sempre attraverso impianti a conversione termica, è necessaria una vera e propria centrale termoelettrica (conversione termodinamica). Il calore prodotto dai pannelli trasforma l’acqua in vapore, il quale viene utilizzato per far muovere una turbina collegata a un generatore di corrente. L’energia elettrica così prodotta è detta termodinamica o elioelettrica. Un sistema completamente diverso per produrre elettricità attraverso l’energia solare è quello dei pannelli fotovoltaici, costituiti da semi-conduttori al silicio. Il silicio è un materiale che, se opportunamente trattato, reagisce alla luce solare producendo energia elettrica senza ulteriori passaggi. L’energia elettrica prodotta in questo modo è detta energia fotovoltaica.

https://encrypted-tbn1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQKJBAB6uCH7lmtscdq8kLCjAWRiWxryQ50WH85R7vJP32qGiU4TA       http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/attivitaproduttive/pannelli-fotovoltaici.jpgPannelli fotovoltaici e pannelli solari

b) Energia eolica

L’energia eolica era già utilizzata in passato per la produzione di energia meccanica per muovere le ruote dei mulini; oggi l’energia del vento viene impiegata per produrre energia elettrica attraverso moderni mulini a vento fatti da lunghe eliche (montate su un asse orizzontale o verticale) che fanno girare una turbina che trasforma direttamente l’energia meccanica del vento in energia elettrica. Gli impianti sono di solito localizzate in aree costiere, in zone montuose e collinari e in pianura. L’energia eolica è pulita, non lascia scorie di alcun tipo e non è, se non in minima parte, di ostacolo all’agricoltura; tuttavia possiede anche alcuni inconvenienti, come lo spazio eccessivamente elevato per l’installazione delle turbine, l’incostanza del vento e il costo elevato degli impianti, fanno in modo che la resa di questo tipo di energia non sia ancora conveniente per la sua bassa resa. Gli impianti di produzione di energia eolica, specie se di grossa potenza, hanno un notevole e innegabile impatto paesistico. Le emissioni acustiche, specialmente quando gli impianti sono localizzati in prossimità dei centri abitati, rappresentano certamente uno dei principali fattori di impatto ambientale prodotto dai generatori eolici.

 

http://www.eolenergy.com/tl_files/css/IMMAGINI/turbine%20eoliche%203.jpgAerogeneratori

 

c) Energia da biomassa

La biomassa, usata come combustibile per la produzione di energia, è stata la fonte di energia più diffusa fino all’avvento della rivoluzione industriale. Attualmente nei PVS l’uso della biomassa sotto forma di legna da ardere comporta la deforestazione di vaste aree e conseguenze negative sulla fertilità dei suoli che cadono in rovina, soggetti ad un intenso processo di desertificazione. Nuove potenzialità offerte dall’energia prodotta dalla biomassa risiedono nella trasformazione di legna,  prodotti e scarti agricoli, deiezioni animali e rifiuti urbani. L’energia da biomassa è rinnovabile in quanto è possibile ripiantare alberi abbattuti e coltivare nuovamente i terreni su cui sono stati raccolti i prodotti, ma non è pulita poiché genera emissioni di anidride carbonica (CO2). I principali combustibili ottenuti sono:

-          gas povero, dalla fermentazione di prodotti secchi;

-          metano, dalla fermentazione di prodotti umidi (anche letame);

-          etanolo, un combustibile liquido ottenuto dalla fermentazione di frutta;

-          metanolo, combustibile liquido ottenuto dalla gassificazione di legna e altri scarti agricoli.

L’energia da biomassa è prodotta a basso costo, la gassificazione è infatti un processo altamente standardizzato che consiste nel riscaldare la materia prima in un ambiente controllato per ottenere gas combustibile, successivamente bruciato per ottenere elettricità come in una normale centrale termoelettrica. Dalla fermentazione dei vegetali ricchi di zuccheri, come canna da zucchero, barbabietole e mais, spesso prodotti in quantità superiori al fabbisogno, si può ricavare l’etanolo o alcool etilico che può essere utilizzato come combustibile per i motori a scoppio, in sostituzione della benzina. Oltre ai vegetali coltivati, anche i rifiuti vegetali e liquami di origine animale possono essere sottoposti a fermentazione anaerobica (in assenza di ossigeno). La biomassa viene chiusa in un pozzo digestore nel quale si sviluppano micro-organismi che con la fermentazione dei rifiuti formano il biogas. Questo può essere usato come carburante, combustibile per il riscaldamento e per la produzione di energia elettrica. Gli svantaggi connessi all’utilizzo della biomassa sono di due tipi: ambientale, perché comunque la combustione di rifiuti vegetali ed animali genera CO2, anche se in maniera relativamente modesta; economico, perché gli impianti da biomassa sono di piccole dimensioni, e ingrandendole si aumenterebbe notevolmente l’impatto ambientale, sia nel territorio circostante che nel traffico stradale e ferroviario. L’utilizzo di turbine a gas permetterebbe invece di aggirare il problema.

d) Energia geotermica

L’Italia è stato il primo paese del mondo a sfruttare l’energia geotermica, con gli impianti di Lardarello, in Toscana. L’energia geotermica è rinnovabile e sostanzialmente pulita. Si tratta di acqua calda e vapore prodotti in profondità dal magma che riscalda depositi di acqua contenuti in rocce sedimentarie porose circondati da rocce impermeabili. Questi campi geotermici possono essere sfruttati sia per prelevare acqua calda che per produrre energia elettrica. L’acqua calda fuoriesce ad una temperatura compresa tra i 50 C e i 90° C, e viene usata direttamente per il riscaldamento domestico, il termalismo, il riscaldamento di serre, la piscicoltura e per usi industriali. L’uso di acqua geotermale ha lo svantaggio di essere spesso carica di Sali minerali anche corrosivi che bisogna eliminare prima di poterla utilizzare e per i quali si pone il problema dello smaltimento. Il vapore, che invece fuoriesce a temperature ben più alte dell’acqua, comprese tra 130°C e 300° C, può essere utilizzato con efficacia per la produzione di energia elettrica a basso costo, attraverso una turbina collegata ad un generatore.

 Impianto geotermico di Lardarello (Toscana)

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e) Energia del mare

L’energia derivante dalle correnti marine può essere sfruttata sol nel caso di maree con escursioni di almeno dieci metri. Lo sfruttamento avviene all’interno di stretti golfi o estuari alla cui imboccatura viene posta una diga. Quando la marea arriva al suo massimo le pale poste all’interno della diga vengono sbloccate, l’acqua fluisce attraverso di esse azionando le turbine che mettono in funzione il generatore.

Esattamente il contrario avviene in situazione di abbassamento della marea. Il limite delle centrali di marea sta nell’erosione che esercitano sulle coste e nell’abbondante sedimentazione all’interno del bacino; per questo motivo si sta pensando ad impianti più specializzati in modo da poter modulare la produzione di energia elettrica dividendo la struttura in più bacini. Con opportune griglie di sbarramento, data la non elevata velocità delle turbine di questi impianti può essere salvaguardata anche la flora e la fauna all’esterno dei sistemi.

Si stanno sperimentando anche altri modi per sfruttare l’energia delle correnti marine. Uno è quello di sfruttare l’energia elevata delle onde che si infrangono sulle coste, infatti si è calcolato che l’energia prodotta dal moto ondoso su un tratto di costa lungo 100 km può soddisfare il fabbisogno energetico di circa un milione di abitazioni. Tra i metodi più utilizzati per sfruttare questa energia, è quello di costruire dei galleggianti opportunamente ancorati in mare e collegati con la terra ferma su cui si impatta l’energia dello onde. L’oscillazione dei galleggianti può essere utilizzata per comprimere l’aria contenuta in apposite camere e poi usata per produrre energia tramite turbine.

Un ulteriore impiego energetico del mare è possibile attraverso l’utilizzazione delle differenze di temperatura esistenti tra le acque superficiali e le acque profonde, particolarmente accentuate nelle zone tropicali. Qui infatti le acque più calde raggiungono i 30° C fino a una decina di metri di profondità; a qualche centinaio di metri di profondità invece la temperatura dell’acqua scende a 4,5°C. Le acque superficiali, più calde, consentono di far evaporare sostanze come ammoniaca e fluoro; i vapori ad alta pressione mettono in moto una turbina e un generatore di elettricità, passano in un condensatore e tornano allo stato liquido raffreddati dall’acqua aspirata dal fondo. Una differenza di 20°C basta a garantire la produzione di una quantità di energia economicamente sfruttabile.

Infine l’energia cinetica delle correnti marine è una delle fonti più interessanti ed inesplorate tra le fonti di energia rinnovabile. Con un solo mq di area intercettata in una corrente di acqua che viaggia a 3 m/s (11 km/h), si possono produrre circa 3 kW. Invece una corrente di aria che intercetta 1 mq di area, per produrre gli stessi 3 kW, deve viaggiare a 28 m/s (101 km/h). le turbine per lo sfruttamento delle correnti marine possono essere (come quelle per l’energia eolica) ad asse orizzontale o verticale. Quelle ad asse orizzontale sono più adatte per le correnti costanti (come le correnti presenti nel Mediterraneo), mentre quelle ad asse verticale sono più adatte alle correnti di marea per il fatto che queste cambiano direzione di circa 180° nell’arco della giornata.

 

 Centrale mareomotrice

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f) Energia idraulica

L’energia idraulica è una fonte di energia alternativa e rinnovabile, che sfrutta la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale posseduta da una certa massa d’acqua ad una certa quota altimetrica, in energia cinetica al superamento di un certo dislivello, questa energia cinetica viene poi trasformata in energia elettrica in una centrale idroelettrica grazie ad un alternatore accoppiato ad una turbina. L’utilizzazione dell’energia idraulica è un altro modo di sfruttare l’energia solare per la produzione di elettricità poiché di fatto il ciclo idrogeologico è attivato dall’energia del sole; è un processo non inquinante, a basso rischio e a costi non elevati. L’unico inconveniente è dovuto al fatto che gli impianti di produzione di energia idroelettrica molto spesso hanno un notevole impatto ambientale non per i gas atmosferici, ma per lo spazio che occupano. Si fa quindi molto più spesso ricorso al mini-idraulico, cioè piccoli impianti idroelettrici costruiti spesso lungo il percorso dei corsi d’acqua.

 

Centrale idroelettrica

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g) Idrogeno

Molto spesso si pensa all’idrogeno come a una fonte di energia, ma in realtà l’idrogeno deve essere comunque estratto per elettrolisi dall’acqua, o attraverso vari processi termochimici, da combustibili fossili. Per questo motivo l’idrogeno è considerato un vettore o un accumulatore, un memorizzatore di energia. Sfruttando le sue caratteristiche di “memorizzatore di energia” si potrebbero rendere le fonti rinnovabili, che molto spesso hanno l’inconveniente di esser discontinue (non c’è vento, la portata dei fiumi è variabile, il sole può essere coperto), pienamente sfruttabili, non solo per ottenere energia: se ci fosse idrogeno in eccesso esso potrebbe essere usato per produrre prodotti chimici ed industriali come ammoniaca (oggi si ottiene da idrogeno petrolifero soprattutto per produrre fertilizzanti), metanolo (oggi si ottiene da petrolio) ecc., ottenendo così un risparmio o non utilizzo di combustibili fossili (fonte esauribile ed inquinante nell’utilizzo). Quindi l’idrogeno, allo stato attuale, non è una fonte primaria di energia ma non è neanche un semplice vettore (come lo è ad esempio la benzina); se permette il recupero di energia altrimenti dispersa o non utilizzabile può essere considerato una vera e propria fonte di energia primaria e rinnovabile come tutti i sistemi che permettono il recupero e il risparmio energetico.

 

Lo sfruttamento dei materiali litologici

L’energia non è l’unica risorsa che l’uomo preleva dai depositi della Terra ma anche una quantità di materiali litologici diversi che costituiscono le materie prime per una quantità di prodotti. Infatti l’industria dipende da circa 80 tra minerali e materie prime, alcuni disponibili in gran quantità altri già scarsi. Per alcuni minerali come lo zolfo, lo stagno, lo zinco e il tungsteno il problema delle risorse è particolarmente sentito; anche per la durata delle riserve minerarie il problema non è solo quello della disponibilità dei singoli minerali ma anche un problema economico e politico legato alla distribuzione disomogenea di queste risorse concentrate in alcune zone della crosta terrestre. Un altro importante aspetto dello sfruttamento delle risorse è il risultato dell’interferenza tra processi di sfruttamento su vasta scala e processi di evoluzione naturale della superficie terrestre che va sotto il nome di impatto ambientale. Ultimamente gli interventi dell’uomo nei processi naturali sono così profondi e rapidi da causare effetti diretti e indiretti tali da non poter essere riassorbiti dal sistema senza gravi alterazioni.

E’ spesso l’industria pesante la grande accusata delle alterazioni maggiori prodotte nell’ambiente, ma molte altre volte sono altre le sedi non meno colpevoli di dissesti e danni, come la produzione agricola, la costruzione edilizia o lo stesso consumo finale (inquinamento atmosferico per circolazione di autoveicoli). Allora, dopo aver attuato alcune scelte base, la sfida evolutiva deve essere imperniata sulle tecnologie innovative che devono orientarsi su processi non inquinanti, sulla prevenzione piuttosto che sulla corsa ai ripari e sul risparmio delle risorse piuttosto che sul loro sperpero.

 

Capitolo 5

Ecologia e ambiente naturale

L’ecologia , un termine abbastanza moderno, coniato dal biologo tedesco Ernst Haekel (1834-1919) nel 1866, deriva dalla composizione di due parole di composizione greca : eco (da oikos che letteralmente significa “casa” nell’accezione più generale dell’ambiente dove si vive), e il suffisso logia (da logos, che significa fra l’altro “spiegazione”, “ragionamento”), che compone il nome di molte discipline scientifiche e umanistiche (biologia, geologia, paleontologia, filologia, archeologia ecc.). Essa è la scienza che studia l’organizzazione degli organismi vegetali, animali, umani, analizzando cioè l’ambiente nei suoi rapporti di equilibrio con gli esseri viventi, studiando i fattori e gli elementi che favoriscono ovvero perturbano tale equilibrio. Dunque, l’ecologia è lo studio di tutti gli esseri viventi nella loro interazione con l’ambiente in cui vivono.

Funzionamento dell’ambiente

L’energia solare alimenta, direttamente o indirettamente, tutti i cicli vitali degli organismi terrestri. Essi non sono mai indipendenti l’uno dall’altro, ma si collegano in catene e sistemi, attraverso una serie di rapporti essenziali per la sopravvivenza di ciascuno di essi. L’uomo rappresenta solamente una delle moltissime forme di vita che esistono sulla terra. Tuttavia, la superficie terrestre non presenta, nonostante la sua estensione, situazioni uniformi per la vita: le variazioni delle condizioni climatiche in conseguenza della latitudini, dell’altitudine, della morfologia, della vicinanza o della lontananza di masse d’acqua, della capacità dello rocce di accumulare calore, insieme alle differenti caratteristiche di fertilità dei suoli creano, indipendentemente dalle azioni modificative dell’uomo, una serie diversificata di situazioni ambientali, e dunque di condizioni delle possibilità di vita. E’ pur vero che la presenza di caratteri abbastanza simili permette di identificare ambienti naturali omogenei, nei quali le forme di vita presentano condizioni relativamente uniformi, facilitandone lo studio e la comparazione.

Si tratta di ambienti omogenei, che potrebbero essere identificati e classificati a seconda delle caratteristiche, nell’ambito di una dettagliata analisi del territorio. Così il deserto del Sahara rappresenta un ambiente fisico di grandi dimensioni: ma, al suo interno, si può identificare l’ambiente più umido rappresentato da un’oasi, e all’interno dell’oasi quello costituito dallo stagno che si è formato presso il pozzo al centro dell’oasi. Dunque deserto, oasi acquitrino rappresentano tre ambienti molto differenti l’uno dall’altro, osservati con dettaglio e scala diversi, uno contenuto all’interno dell’altro. Diversa, rispetto alla nozione di ambiente naturale, è quella di sistema ecologico, o ecosistema, che è caratterizzato non tanto dalle sue qualità naturali, quanto dalla presenza di una serie di elementi viventi e dalle relazioni di controllo che si sono create fra essi.

Ciascun ecosistema è ospitato in ambienti naturali tendenzialmente omogenei: gli elementi che lo compongono, e le relazioni che collegano gli stessi, tendono a essere costanti, facendo in modo che ogni ecosistema finisce per caratterizzare durevolmente la porzione di superficie terrestre che lo ospita. Si possono quindi individuare ecosistemi molto differenti, racchiusi uno nell’altro: il deserto del Sahara è un ecosistema di grandi dimensioni, con forme di vita molto rarefatte a causa delle condizioni di aridità, caratterizzato da un certo tipo di vegetazione xerofita e da animali in grado di resistere al calore e alla mancanza d’acqua. Nel deserto si trovano gli ecosistemi delle oasi, dove la biomassa vegetale è molto elevata per la presenza di una falda acquifera più o meno abbondante, e dove possono sopravvivere molti animali che non resisterebbero alle condizioni del deserto. Nel cuore dell’oasi si può identificare un altro piccolo ecosistema nell’ambiente acquitrinoso intorno alla sorgente, con vegetazione e animali ancora diversi. Lo studio degli ecosistemi e delle relazioni fra le diverse forme di vita e fra le stesse e l’ambiente fisico è iniziato in modo scientifico nell’Ottocento, e ha trovato con E. Haekel, che si era ispirato alle teorie di Charles Robert Darwin 81809-1882), la prima sistemazione razionale.

Ogni ecosistema viene considerato come un sistema limitato e confinato nell’ambito di determinate condizioni naturali, presupponendo che abbia scarse relazioni con gli altri ecosistemi. In realtà, sulla superficie terrestre, esiste un unico ecosistema chiuso, quello della biosfera o ecosistema terrestre, dove ciascun elemento è legato tramite relazioni a volte impercettibili a tutti gli altri. Una trasformazione delle condizioni degli ecosistemi. Una trasformazione delle condizioni di un ecosistema finisce alla lunga per trasferirsi in qualche modo anche sugli altri, con conseguenze che l’uomo non riesce sempre a prevedere e a controllare. Ciascun ecosistema esprime una biomassa, cioè una massa di vita vegetale ed animale, proporzionata alle risorse ambientali che ha a disposizione.

Le condizioni di vita sulla Terra sono legate per gran parte a due fattori, calore e acqua, quindi negli ambienti caldi e umidi la biomassa assume forme più vistose, come, per esempio, nell’ecosistema della foresta pluviale amazzonica, mentre essa si riduce progressivamente quando acqua e calore diminuiscono per raggiungere il minimo nei deserti, sulle montagne più alte e nelle regioni polari. Nella biomassa possono prevalere le forme della vita vegetale, come nella foresta pluviale amazzonica, oppure quella della vita animale, come nella savana africana. Ma in ogni caso, tutti gli esseri viventi presenti nell’ecosistema sono collegati uno all’altro in una serie di relazioni reciproche, come quella della catena alimentare, che tendono all’autoregolazione. Il modo in cui si manifestano le relazioni fra i diversi elementi del sistema può variare a seconda del tipo di interdipendenza fra gli stessi, ma in ogni ecosistema tende a creare una dinamica di azione e retrazione (o feedback) positiva o negativa, che finisce per raggiungere un equilibrio fra l’ambiente fisico e l’insieme della biomassa, grazie all’intervento di tutti gli elementi che si controllano l’uno con l’altro. Se la vegetazione erbacea aumenta di quantità per effetto di un aumento delle piogge, anche gli erbivori aumentano di numero e mangiano complessivamente più erba.

Ma, se sono aumentate le gazzelle, le antilopi, le giraffe e le zebre, anche i carnivori crescono di quantità, in quanto hanno più nutrimento a disposizione e possono aumentare di numero fino a quando la vegetazione non comincia a diminuire a causa del pascolo eccessivo, con la conseguenza che anche gli erbivori si riducono e così si diminuiscono le occasioni di cibo per i carnivori. Il risultato finale è che una stagione particolarmente piovosa mette in moto una serie di relazioni fra gli elementi dell’ecosistema della savana in modo da mantenerli tutti sotto controllo: quando le piogge torneranno normali sarà facile riportare tutto l’intero sistema delle condizioni di equilibrio iniziali. In questo modo, con queste continue relazioni di azione e retroazione fra tutti gli elementi, ogni ecosistema si mantiene in un equilibrio che rimane più o meno stabile, pur nelle sue oscillazioni, fino a quando le condizioni generali non vengono modificate stabilmente.

Da quando l’uomo è comparso sulla terra i grandi cambiamenti delle condizioni ambientali sono stati pochi e modifiche drammatiche degli ecosistemi in conseguenza di cause naturali non ce ne sono state o sono state limitate. La capacità degli ecosistemi di rimanere in equilibrio, l’equilibrio naturale, ha permesso una sostanziale stabilità delle forme di vita sulla terra per tempi estremamente lunghi. Anche l’uomo, per lunghissimo tempo, non ha avuto la capacità di sostituire la sua volontà alle leggi naturali, e ha dovuto accettare le condizioni imposte dall’ambiente come tutti gli altri animali, con tutti i rischi e le limitazioni che esso impone a tutte le specie viventi, e pertanto gli ecosistemi che ospitavano l’uomo continuarono a rimanere più o meno statici. Ma la rapida evoluzione dovuta all’homo sapiens ha portato anche a grandi cambiamenti: per milioni di anni la massima velocità è stata quella dell’uomo in corsa (5/20 km/h).

Poi è stata inventata la ruota, addomesticato il cavallo, utilizzato la forza del vento per navigare sull’acqua, raggiungendo una velocità superiore e una maggiore capacità di carico. Nella prima metà dell’Ottocento, con la macchina a vapore, si è riusciti ad aumentare sia la velocità che il carico di molte persone e materiali. Nel 1899, con il motore a scoppio, si sono raggiunti e superati i 100 km/h e, negli ultimi cinquanta anni, col motore a razzo e col motore a reazione, ha superato la velocità del suono.

Tutto ciò ha modificato enormemente il rapporto fra uomo e ambiente naturale; la natura non è più considerata immodificabile. Di conseguenza, l’aggiustamento dell’equilibrio dell’ecosistema tramite i meccanismi di feedback non è più praticabile, poiché l’uomo interviene continuamente, con tutte le sue capacità, per modificare le situazioni negative alterando a suo favore il quadro ambientale.

Per chiarire questo concetto consideriamo come un’alterazione temporanea del quadro ambientale, tipo una siccità prolungata, possa essere affrontata e superata, producendo sì effetti economici anche rilevanti, ma certamente non mortali proprio perché il territorio è stato modificato e organizzato per far fronte a eventi di questo genere. Intervengono bacini artificiali e riserve di acqua, con canali e pompe per il trasporto dell’acqua nell’area colpita. Se manca il cibo, si ricorre alle riserve accumulate nei depositi; se i depositi si svuotano, si ricorre al mercato internazionale. Alla fine del periodo negativo la popolazione è rimasta sempre nella stessa quantità e si è accorta dell’evento solamente perché il prezzo delle derrate alimentari è aumentato più o meno sensibilmente.

Il progresso ha portato certamente dei benefici notevoli in tutti i campi, nell’alimentazione, nella sanità, nell’istruzione, nella sicurezza, nelle esigenze spirituali. Per fare questo però si è dovuto modificare sempre di più l’ambiente naturale. Sono state distrutte foreste che occupavano spazi adatti all’agricoltura, bonificate le paludi, eliminate le aree umide.

Sono state costruite dighe per sbarrare i corsi d’acqua, canali per portare e deviare l’acqua in zone aride. Sono sparite una grandissima quantità di specie vegetali e animali per diffondere quelle poche piante e quei pochi animali che ci sono immediatamente utili. Sono state edificate città, costruite strade, ferrovie, porti, estratti dal sottosuolo enormi quantità di minerali che poi sono stati consumati per costruire strumenti di produzione o ricavare energia, costruite centrali nucleari distribuendo nei mari, nell’atmosfera e sulla terra grandi quantità di residui di vario genere. Da ultimo, sono state prodotte, con ibridazioni genetiche, piante e animali più adatti alle sue esigenze, arrivando fino alla soglia sul patrimonio genetico dell’essere umano.

 

Riflessioni sull’ambiente

A partire dagli anni Settanta, ma soprattutto negli ultimi venticinque anni, è cresciuta gradualmente la preoccupazione di conoscere come le attività umane possono alterare l’atmosfera della Terra. E’ ormai abbastanza condivisa l’opinione che la composizione atmosferica stia cambiando e che sono gravi le conseguenze di questi mutamenti. I grandi problemi dell’impoverimento dell’ozono stratosferico, dell’effetto serra e della diffusione planetaria dell’inquinamento dell’aria sono tra loro collegati in vari modi. La crescita della popolazione mondiale e la conseguente maggiore richiesta di energia, cibo ed acqua ne sono una causa specifica. L’impoverimento dello strato di ozono stratosferico e l’effetto serre sono strettamente connessi in quanto i clorofluorocarburi (CFC), i quali hanno giocato un ruolo importante nell’impoverimento dello strato dell’ ozono (i composti più leggeri contenenti cloro e bromo, i più dannosi per lo strato di ozono, sono ormai stati abbandonati e resi illegali), sono anche dei gas ad effetto serra molto  potenti. Inoltre il raffreddamento della stratosfera causato dall’effetto serra, a sua volta, altera la chimica dell’atmosfera e accelera, di conseguenza, l’impoverimento dell’ozono.

Esistono altre correlazioni causa-effetto tra questi problemi atmosferici su scala globale: ad esempio, l’uso dei combustibili fossili immette nell’atmosfera non solo gas serra ma anche altri inquinanti che, trasportati a lunghe distanze, danno origine all’inquinamento trans frontiera. Anche per quanto riguarda le foreste tropicali grande è stata la sensibilizzazione. Esse contengono la metà delle specie della fauna e della flora mondiali, forniscono materie prime e contribuiscono a mantenere le riserve d’acqua, prevengono l’erosione del suolo, l’interramento dei bacini artificiali e le inondazioni. Il clima globale, regionale e locale è correlato alla salute delle foreste tropicali.

La deforestazione è ritenuta responsabile del mancato assorbimento del 20-25% delle emissioni globali legate ad attività umane di biossido di carbonio e del 10-40% di quelle totali 8naturali e antropiche) di metano; essa contribuisce inoltre alle concentrazioni di ossido nitroso, ozono, monossido di carbonio ed altri gas responsabili del riscaldamento planetario. A livello regionale, la deforestazione può ostacolare il trasferimento di umidità e di calore latente dai tropici alle latitudini più elevate, influenzando il clima delle zone temperate. A livello locale, la totale o parziale rimozione del manto forestale può provocare l’inaridimento del microclima dando luogo ad un aumento degli incendi di origine spontanea che impediscono la naturale rigenerazione della foresta.

http://www.ecosostenibile.org/Immagini/foresta%20pluviale.jpg http://www.inmeteo.net/blog/wp-content/uploads/2012/12/amazzonia.jpeg

Foresta pluviale e foresta amazzonica

 

 

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Immagini di savana africana

 

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http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2d/Picea_glauca_taiga.jpgTaiga siberiana

 

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https://encrypted-tbn1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSvKxkxAC5w410-xW0jtZwO7kUwhdlhdDcoAIGLXu0ZqBPHz6v7

Steppa della Mongolia

 

https://encrypted-tbn1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQ2WXe47ZvRni6YRUYYEOBjAKv6qp3C0K-XdH9j-MNZonXZkKcfDeserto del Sahara

 

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Oasi del deserto del Sahara

 

Considerazioni personali

Avevo iniziato il discorso sullo sviluppo insostenibile, da qui riparto. Quando si dice che c’è inquinamento, che aumenta il dissesto idrogeologico, che l’acqua è sempre di meno e sempre più inquinata si dicono tutte cose vere, ma si sta sempre al punto di partenza: si segnala il problema, ma non se ne dà una possibile soluzione. Per fare degli esempi, come nell’ultimo caso, l’ennesimo per la verità, che si è verificato a Genova, sul dissesto idrogeologico, si attribuiscono colpe ai modelli matematici, alla mancata coordinazione tra autorità politiche e protezione civile, al fatto che era stata data l’allerta ma nessuno l’aveva rispettata.

In realtà tutti sono in parte consapevoli e colpevoli di questi danni, anche quelli che davanti ad una telecamera si presentano come superambientalisti, ma che fino al giorno prima sono stati fautori dello Stato libero da “lacci e lacciuoli” soprattutto nell’allargamento smisurato delle opere edili. Il dire “L’avevo detto, l’avevo previsto, è tutta colpa del dissesto idrogeologico”, è come il discorso sullo sviluppo sostenibile, cioè si sta sempre al punto di partenza di segnalare il problema senza darne una possibile soluzione. Ammettiamo, per assurdo, che io voglia candidarmi alla carica di Sindaco (alla quale non penso minimamente) o a quella di Consigliere (quella si, almeno ho qualche giorno di dispensa dal lavoro) del mio comune, Narni, in provincia di Terni, e che io basassi la mia campagna elettorale sulla prevenzione del dissesto idrogeologico. Andrei in giro per le case nelle varie frazioni dicendo che non si può allargare casa per prevenire il dissesto idrogeologico, che non si possono sbancare terreni, che bisogna fare in modo che non si prendano troppo le macchine perché se no si consuma troppa CO2, che non si devono comperare troppe merci ma solo lo stretto necessario per poter vivere e consumare meno rifiuti, quindi bastano due paglia di scarpe l’anno, due paglia di calzoni, maglioncini, camice e magliette… Avrei tutti contro, costruttori edili, commercianti, semplici cittadini che soprattutto in campagna vogliono poter facilmente aumentare la cubatura di casa. Prenderei pochissimi voti.

Discorso analogo vale per l’acqua, così come per l’energia e per altri beni. Lo sappiamo tutti che la dispersione dell’acqua è dovuta all’incuria delle persone, che magari quando si vanno a fare la barba per tutto il tempo lasciano scorrere il rubinetto aperto quando basterebbe un semplice gesto per aprirlo ogni volta che uno si deve togliere la schiuma; così come sappiamo che la dispersione degli impianti idrici, divenuti ormai obsoleti, è una operazione troppo costosa che nessun privato se ne accollerebbe l’onere, ne lo Stato, prima perché non ha più competenze nel settore, poi perché non ha i mezzi necessari.

Io propongo una questione: se veramente si dice che c’è crisi economica e c’è crisi ambientale, prima di tutto concordo con voi, la prima crisi è quella delle coscienze, che poi genera le altre. Non che non ci siano, ma sicuramente sono enfatizzate dai mezzi di informazione. Dato che certi settori sono indispensabili per la vita, come il lavoro, la scuola, la salute, proviamo per un anno, magari cominciando da autorità più piccole (poi se ci dovesse essere un’emergenza, si riuniscono i grandi della Terra e decidono sul da farsi), non se ne può fare a meno, necessitano di energia, di acqua, di riscaldamento. Proviamo a risparmiare per un anno togliendo settori che non sono indispensabili per la vita di tutti i giorni, come ad esempio lo sport, il cinema o la musica. Non che io sia contro di loro, anzi mi appassionano tutti.

Chiediamoci ad esempio quanto consuma una squadra di terza categoria dopo che finito l’allenamento, gli atleti si vanno a fare una doccia. Moltiplicate questa cifra per tutte le squadre di terza categoria, poi per tutte le serie, fino alla serie A, per tutti gli sport di squadra con tutte le serie, poi per tutti gli sport, poi per tutti gli Stati. Non immagino neanche pensare la cifra che viene fuori. Stesso discorso vale per la musica, per le discoteche, per quei beni insomma cosiddetti ricreativi. Bisogna eliminare lo sport? No, si potrebbero fare dei calcoli per assurdo di quante risorse vengono dedicate a settori non fondamentali per la vita, quelli la cui mancanza non comprometta la nostra esistenza (ammesso appunto che esista questa crisi ambientale). Si tratterà di sostituire alcuni componenti. Così invece di dedicarsi alle partite di calcio o all’automobilismo, ci si dedicherà allo yoga, alle arti marziali o alle passeggiate, ai balletti popolari e ai canti di paese. Come dice il Presidente di Slowfood, Carlo Petrini, dobbiamo tornare ad essere contadini, ad ascoltare l’energia che viene trasmessa a noi dalle piante o dagli animali. Un’altra considerazione che voglio fare, è quella del Presidente rieletto della Bolivia, Evo Morales:

 

« Bisogna pensare a modelli diversi di società rispetto al capitalismo. Non è accettabile che nel XXI secolo alcuni paesi e multinazionali continuino a provocare l'umanità e cerchino di conquistare l'egemonia sul pianeta. Sono arrivato alla conclusione che il capitalismo è il peggior nemico dell'umanità perché crea egoismo, individualismo, guerre mentre è interesse dell'umanità lottare per cambiare la situazione sociale ed ecologica del mondo. »

(Evo Morales)

Solamente così penso, secondo naturalmente il mio punto di vista, cambiare le cose, se veramente questa crisi sembra irreversibile. E concludendo, il mio pensiero sulla natura e sulla Terra cerca di avvicinarsi, anche se non riuscirà ne a me ne a nessuno, al Cantico delle Creature o di Frate Sole di San Francesco d’Assisi:

«Altissimu, onnipotente, bon Signore,

tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

 

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate ».

 

Giulio Tiradritti

 

 


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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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