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NARRARE, NUOVI MONDI POSSIBILI

  di Beniamino Cardines

Tesina finale in vista del conseguimento del  MASTER on-line in EDITORIA - Anno 2019/2020 (Apr.2020)

 

 

Introduzione

Una serie di ricerche e di studi1, evidenzia come la funzione evolutiva cruciale della narrazione sia quella di prepararci alla vita reale; perché le storie ci insegnano a dare forma e significato alla realtà.

 

«I bambini imparano presto a inventare storie, a raccontarle, a viverci dentro, e ci credono per natura, non per cultura. È naturale quanto respirare: è la loro "Isola che Non C'è" [...] Sono circa otto al giorno le ore che trascorriamo ascoltando o raccontando storie: che sia la televisione o i nostri pensieri, un libro o una ricostruzione interiore, la verità è che i racconti riempiono la nostra esistenza anche da svegli e non solo nei sogni. [...] L'attitudine a narrare è una delle poche caratteristiche umane universali, presenti in tutte le culture. [...] Quando un comportamento è presente in tutte le società, la scienza vi riconosce un prodotto dell'evoluzione, ciò significa che nel raccontare storie ci deve essere qualcosa di utile per la nostra specie, qualcosa che ne potenzia le capacità sociali.» (Jonathan Gottschall, docente di Letteratura ed Evoluzione al Washington and Jefferson College di Pennsylvania)2

 

   Raymond Mar (psicologo dell'Università di Toronto), è convinto che le storie abbiano anche un altro ruolo, quello di agire come «simulatori di volo» per la vita reale. «Se le storie hanno un elevato contenuto di relazione e sono mentalmente stimolanti, possono migliorare le abilità sociali degli individui, chi narra o ascolta (o legge) storie, ha poi una vita sociale più ricca.»3

   In base a quanto rilevano queste ricerche scientifiche, possiamo dunque affermare che si può educare attraverso la narrazione, e che l'azione educativa ha sempre una valenza sociale.  «Siamo pronti per fare fronte agli eventi inattesi perché li abbiamo immaginati o ascoltati nei racconti. È questa una delle funzioni evolutive essenziali della narrazione.» (Michael Gazzaniga, padre delle neuroscienze)4

   Tra le tipologie di narrazione, c'è la fiaba, tipico linguaggio scritto, narrato, raccontato che caratterizza la letteratura per l'infanzia e non solo. Grazie al contributo della scienza, della letteratura, della filosofia e ripercorrendo il libro di Ilaria Filograsso "Polisemia della fiaba", ne analizzeremo le principali «istanze funzionali»5.

Polisemia della fiaba

 

«Il testo fiabesco si presenta come un organismo estremamente autonomo, mobile, in continuo adattamento al contesto, un prodotto culturale metatemporale [...]. La fiaba offre al suo fruitore forme e modelli vuoti, silhouettes pronte a essere riempite, colorate, in un processo naturale e spontaneo. [...] Per citare Roland Barthes, la fiaba garantisce a ogni narratore la libertà e la responsabilità di ricapitolarla e dipingerla [...] stimolando nuove significazioni in chi legge o ascolta [...].»6

 

   L'autrice, professore associato alla Cattedra di Storia della Pedagogia presso l'Università "G.D'Annunzio" di Chieti-Pescara, attraverso uno studio sfaccettato, a più strati di comprensione, ci propone un'analisi della fiaba, non solo come genere letterario, ma come contenitore di significati, portatrice di inesauribili potenzialità che hanno il potere di contribuire alla formazione dell'individuo e dunque della società.

   Leggendo il suo testo, ci troviamo immersi in una serie di considerazioni che vanno ben oltre la letteratura per l'infanzia, ridefinendone la portata e la valenza sociale, nonché lo statuto epistemologico; citando Emy Beseghi, prof.ssa ordinaria presso il Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna.

 

«Infatti, il contesto della letteratura per l'infanzia è storico, l'ambito è letterario, le fondamenta sono filosofiche, la specificità del destinatario è pedagogica, i rimandi sono iconografici, i prolungamenti massmediologici.»7

 

   La fiaba, come multistrato culturale, come esplorazione, come uno scrigno che racchiude, forma, custodisce e svela i nostri primi anni di vita, appunto l'infanzia, ma già avviandoci alla composizione di noi adolescenti, poi uomini e donne, adulti abitatori della realtà. È proprio a partire dalla realtà e intercettandola che sembra innescarsi tutto il potenziale narrativo della fiaba, perché la fiaba vera, non la scrive nessuno, non ha altri autori che noi stessi, il nostro ininterrotto confrontarci con gli altri e le loro altre fiabe. «La sua naturale incompiutezza si accompagna alla perpetua collaborazione del lettore, alla possibilità del testo di essere montato e rimontato, attualizzato, riletto, interpretato.»8

 

«[...] Il libro per bambini, soprattutto se non è riflesso di una pedagogia ricattatoria del divieto e della sorveglianza, è un testo sacro, un luogo in cui riposa la promessa di felicità che tanti adulti hanno smarrito, e in cui i bambini sono sé stessi in virtù di un'adesione naturale al racconto e alle illustrazioni, in grado di far proliferare la narrazione e combinarsi in sempre nuove figure, grazie a una grammatica della fantasia imprevista, divergente [...].»9

 

   Il valore polisemico della fiaba, sta proprio nel suo esserci come linguaggio che apre alla possibilità di entrare in forte empatia con il suo destinatario, chiedendogli di cooperare alla narrazione e di portare in essa la propria vita, l'esistenza, la quotidianità, ma anche le condizioni storiche, le tradizioni, le abitudini alimentari.

 

«Il cibo è alla base di meccanismi molto importanti: sul piano sociale rappresenta il denaro, il potere, sul piano etico simboleggia il messaggio di speranza cristiana. [...] La presenza ridondante di un cibo trasmette l'idea, preoccupata o angosciosa, di una possibile assenza di esso: la magia [...] del cibo inesauribile, è il sogno del nutrimento abbondante e sempre pronto, della condizione di sazietà che nelle società arcaiche e contadine, nelle società di sopravvivenza, è autorizzato soltanto come esito di interventi magici o provvedimenti soprannaturali.»10

 

   Un percorso di informazione e di formazione narrativa che si fa strumento di coinvolgimento circolare, e totale. La fiaba è un testo plurale, scritto a partire da una voce che man mano cresce di voci e di vissuti; tutto questo ne fa un congegno letterario e narrativo, mai decontestualizzato, mai lontano dalla vita del suo fruitore. Verrebbe da pensare che la fiaba, c'è, ci aspetta, aspetta il nostro bambino interiore sul varco di una porta fantastica, dalla quale varcare la soglia dell'immaginazione, in un mondo fatto di noi e di oltre noi.

 

«Le fiabe, come si è detto sono un genere narrativo transculturale, universale, sempre attuale, che ci consente pertanto comparazioni tra contesti, luoghi, ambienti anche molto distanti. [...] Tra contaminazioni di generi, forme e logiche narrative molto lontane, il racconto si fa specchio dell'immaginario collettivo, che chiede di prestare attenzione alle questioni essenziali della condizione umana, la morte, la nascita, l'amore, i desideri e le paure. [...] Per rinnovare ogni volta il viaggio incantato nell'immaginario collettivo.»11

 

 

   La fiaba ha dunque la capacità di comporre, ricomporre e narrare l'immaginario collettivo, potremmo dire che gli imprime un marchio, un imprinting. È come se avesse la forza di una propulsione, di un rimbalzo spazio-temporale, di una connessione, la forza delle immagini velocissime che ogni giorno incessantemente scorrono davanti ai nostri occhi. Immagini e rappresentazioni che vorrebbero sostituirsi alla narrazione, alle fiabe... Prodotti visivi che con sempre maggiore sfacciataggine e invadenza, si insinuano nel nostro immaginario narrativo, sostituendosi ai nostri vissuti, alle nostre storie, alle fiabe, alla fantasia, alla libertà di desiderare.

 

«Oggi i mezzi di comunicazione di massa propongono in maniera massiccia l'immagine a sostegno di qualunque testo. Il bambino perciò cresce abituandosi a considerare il narrato come un sottofondo dell'immagine, in quanto gran parte dell'informazione e della comunicazione gli viene trasmessa attraverso di essa. Ciò comporta inevitabilmente una sorta di indebolimento delle sue capacità di elaborare immagini personali.»12

 

 

   Il compito teleologico delle fiabe è proprio quello di permetterci l'espansione di noi, di accompagnarci nell'interpretazione della realtà e di noi stessi e degli altri. Questa funzione non può essere sostituita da immagini e fotogrammi, che già di loro sono delle interpretazioni, quindi prodotto confezionato a priori, con finalità precise in termini di consumismo. In questo senso, dobbiamo restituire libertà all'infanzia e a noi stessi. L'uomo contemporaneo, postmoderno, si va man mano frantumando in mille schegge, come lo specchio della matrigna cattiva di Biancaneve; col rischio di non riuscire più a ritrovare l'integrità, non solo dell'immagine riflessa, ma dell'uomo stesso che vi si riflette. 

 

«Ai tempi delle culture orali, le uniche illustrazioni che prendevano forma a partire da una fiaba o da una filastrocca, erano quelle che si sviluppavano spontaneamente nelle menti degli ascoltatori: bambini ai quali genitori o balie raccontavano vecchie storie sul fare della sera. Oggi le storie portano con sé, già pronte, le immagini che accompagnano, più o meno efficacemente, l'apparato testuale: illustrazione dei libri che leggiamo, copertine, fotogrammi di video Disney che spesso precedono la stessa lettura del testo che ha originato questa "catena multimediale".»13

 

L'era digitale e multimediale porta con sé nuove conoscenze, da cui scaturiscono sfide e nuove letture della realtà. Innovazioni che da una parte possono rivelarsi efficaci conquiste tecnologiche e della comunicazione, capaci di riproiettare il linguaggio narrato nella contemporaneità. Dall'altra, se gestite con superficialità, corrono il rischio di ammutolire definitivamente l'uomo e il suo bisogno di narrazione, di danneggiare irreversibilmente la formazione della creatività e l'educazione alla libertà espressiva.

   Portandoci tutti in un videogioco, scritto da uno, per tutti... da nessuno, e per nessuno allo stesso tempo.   

 

Apporti creativi/Didattica e scuola della narrazione - storyliving

 

   In uno studio14 dell'Università del North Carolina a Chapel Hills, pubblicato nel 2004 dalla psicologa sociale Melanie Green, si dimostra come i racconti che riflettono elementi del nostro vissuto inducano una maggiore partecipazione emotiva e un'immedesimazione importante. E suggerisce agli insegnanti di puntare, per convincere i più giovani ad apprezzare le storie, su libri e racconti che riflettano la loro vita reale. L'opposto di quanto accade nelle scuole, dove la narrazione viene affrontata attraverso i classici, che sono lo specchio di una società ormai obsoleta, con la quale è difficile empatizzare.

   Sarebbe interessante proporre nelle Scuole di ogni ordine e grado, dei laboratori espressivi di scrittura creativa sulle storie e a partire dalle storie.

Osservare per raccontare, che è raccontarsi ovvero fare storyliving. Ma raccontare e raccontarsi hanno bisogno di un progetto sul linguaggio, sulla didattica, sul dare una motivazione nuova al dialogo, all'ascolto, all'incontro vivo e reale tra persone. Dalla riscrittura, a partire dalle tracce che ne scaturirebbero, farsi testimonianza e lascito di questo vissuto, che non è solo produrre letteratura, che non è, come molti credono ancora, solo uno scrivere e trascrivere storie più o meno creative... Piuttosto, si trasforma in comprensione dell'esistenza, nel desiderio di progettare e voler proiettare oltre noi, ciò che ci forma e ci informa al dono straordinario della vita.

   In tempi come i nostri, in cui l'umano sembra perdere spazio di giorno in giorno, di ora in ora, tempi di svalutazione globale di qualsiasi contributo poetico, artistico, spirituale, la possibilità di ritrovarsi attorno ad un fuoco centrale che apra spiragli sull'ascolto, sul dialogo, sul raccontare e raccontarsi, cercando e sperimentando attraverso le storie, potrebbe rivelarsi come un tentativo di ri-educare all'umano.

 

«Le storie sono come fari e proiettori; illuminano parti del palcoscenico lasciandone altre al buio. Se dovessero rischiarare uniformemente tutto il palcoscenico, non sarebbero davvero utili. Il loro compito, in fin dei conti, è di curare il palcoscenico, preparandolo al consumo visivo intellettuale da parte degli spettatori; a partire dal caos anarchico di macchie e di chiazze che non si riescono né a distinguere, né a capire, creare un quadro che si possa assorbire, comprendere e trattenere. [...] Le storie aiutano coloro che cercano comprensione separando il pertinente dall'irrilevante, le azioni dalla loro ambientazione, la trama dallo sfondo, e gli eroi o i cattivi che stanno al centro della trama dalla schiera delle comparse e dei manichini. È compito delle storie selezionare; rientra nella loro natura includere mediante l'esclusione e illuminare gettando ombre. È un grave fraintendimento e una grave ingiustizia accusare le storie di privilegiare una parte del palcoscenico e trascurarne un'altra. Senza selezione non vi sarebbe storia.»15

 

   La società tecnologica ci sta trasformando in un magma globalizzato, in ogni momento sembriamo perdere qualcosa in termini di relazione umana, tra noi e noi, e tra noi e gli altri. La qualità della vita umana e il suo concetto, si trasformano in altro, in possedimento tecnologico. La qualità della vita umana va invece ricentrata sulle relazioni, sull'incontro, sul dialogo, sulla cultura e sulle culture. Raccontare è fare memoria di sé e di ciò che accade tutt'intorno a noi nel tempo e nello spazio. Raccontare è esserci, è presenza, è testimonianza di un vissuto non virtuale, è prassi esistenziale che si tramanda. Scrivere e raccontare, sono un gesto di presenza continuata nel tempo... è comunicare, è condividere, è stare attorno a un luogo comune e comunitario che ci abbraccia tutti in un mondo di senso.

   Chi scrive messaggini, in fondo non lascia niente di sé, non lascia tracce, non lascia emozioni, non lascia storie, non lascia senso.

 

«I testi che leggevo, racconti personali, resoconti, opere storiche, testimonianze, riflessioni, lettere, testi folcloristici anonimi non avevano in comune con le opere letterarie la condizione di essere inventati, perché descrivevano avvenimenti vissuti in prima persona; tuttavia, anche quelli mi facevano scoprire dimensioni sconosciute del mondo, mi emozionavano e mi stimolavano a pensare. In altre parole, per me si è esteso il campo della letteratura, poiché ormai include, accanto a poemi, romanzi, racconti e opere drammatiche, il vasto ambito della narrativa destinata a uso pubblico o personale, il saggio, la riflessione.»16

 

   Recuperare la scrittura e la narrazione, come gesto creativo, come libertà di esprimere sé e gli altri, come sguardo attento al mondo, come bene e patrimonio comune, come diritto di cittadinanza all'umanità, come partecipazione all'esistere individuale e collettivo, mai scontato.

   Chi scrive, chi racconta, non è mai solo, non è mai vuoto... e cerca, osserva, ricostruisce, valorizza, tramanda, intercettando la vita, e connettendosi alla pluralità dell'esistere.

   E infine trova. Ritrova se stesso. Si ritrova come uomo, come donna. Come bambino, come ragazzo, come adulto, come anziano.

   Si ritrova in dialogo con se stesso, con gli altri, con l'esistere plurale universale.

 

Conclusione

 

«Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché mi aiuta a vivere. Non le chiedo più, come negli anni dell'adolescenza, di risparmiarmi le ferite che potevo subire durante gli incontri con persone reali; piuttosto che rimuovere le esperienze vissute, mi fa scoprire mondi che si pongono in continuità con esse e mi permette di comprenderle meglio. Non credo di essere l'unico a pensarla così. Più densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e di organizzarlo. Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all'infinito questa possibilità d'interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. Ci procura sensazioni insostituibili, tali per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello. Al di là dall'essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano.»17

 

   Bisogna dunque avere un progetto che parta da una vocazione umana. Una fiaba raccontata a due bambini, potrebbe essere l'inizio, un inizio che - per diventare, per sedimentare cultura, esistenza, verità, - ha bisogno di costruirsi come legame, non solo di autenticità, ma di continuità nel tempo. Continuità generatrice di libertà, nelle scelte, nella coscienza.

   Anche l'autrice del testo preso in analisi18, più volta sottolinea la valenza esistenziale e liberante della fiaba, del suo essere come un espansore, di noi che cresciamo, e diventiamo grandi, attraverso l'immaginario che ci racconta, attraverso le storie che ci permette di vivere, e in qualche modo di farne esperienza. Inoltre, abbiamo visto come alcune ricerche scientifiche

provino il valore educativo e formativo della letteratura e della narrazione, con sensibili e rilevate ricadute sulla formazione della nostra personalità, e sulla capacità di edificarci come individui in relazione.    

   Noi stessi significato e significanti, come processo di una riflessione metanarrativa che non smette mai di pensarsi grazie al continuo flusso di pensiero e di scritture che fluisce in noi e da noi, e fa di noi un progetto di long life learning, di formazione continua lungo tutto l'arco della nostra vita, formazione mai disattesa se costantemente ri-scritta e ri-letta, dunque ri-narrata e ri-vissuta anche partecipandola ad altri, non come un pubblico sterile, di ascoltatori passivi, ma capaci di interagire con noi e con il nostro racconto, portando a loro volta racconti.

   Racconti come vita, fiabe come altro di noi possibile e nuovo senso di noi che si riscrive in relazione, come concreta interconnessione sociale tra noi e l'altro e gli altri. Ricomposizione di storie, di memoria, di esperienze e di progettazione tesa al domani, come ritrovato e rinarrato luogo possibile e necessario di un futuro ri-umanizzato.

 

«La narrazione può garantire la ricomposizione armonica dello stato frammentario delle nostre identità, fonte di energie rinnovate e consapevoli per costruire nuovi mondi possibili, per liberare uno sguardo creativo, decondizionato e critico sul mondo. La fiaba, per la sua natura altamente combinatoria e potenziale, incarna in massimo grado, pertanto, valori verticali mobili, disponibili, da valorizzare mediante rappresentazioni sempre nuove, aperte anche alla contaminazione con i linguaggi più moderni, alle soluzioni più tecnologiche, nella direzione, però, di una riattualizzazione che ritagli semplici momenti di riflessione, costruisca percorsi e fruizioni in cui si cominci a "ridare senso".»19

 

   In fondo si tratta sempre di prendersi delle responsabilità che solo apparentemente riguardano la nostra vita e basta. In realtà, c'è da assumersi un esistere politico, in cui nulla può e deve essere lasciato al caso e nella modalità dimenticanza.

   Ciò che ci compone è una storia, la nostra storia, ma se questa narrazione di noi non entra in circolarità, non innesca interscambi, finirà per essere una vita sprecata.

   O, solo un'altra vita vissuta senza senso.

 

«Favole sicuro. Ma le favole sono storia, storia vissuta. Nulla è più vero delle favole, reale, storia viva, storia credimi. [...] Favole sì... Ma tutta la vita è una favola... e le favole sono tutta la vita...»20

 

 

Note

1 Daniele Ovadia, Le storie nella mente - Dossier: il potere delle storie, in Mente - il mensile di psicologia e neuroscienze, n. 115 Anno XII (Luglio 2014).

2 Ibid.

3 Ibid.

4 Ibid.

5 Ilaria Filograsso, Polisemia della fiaba, Anicia edizioni, Roma 2005, p. 7.

6 I. Filograsso, op. cit., p. 7.

7 Ibid., p. 13.

8 Ibid., p. 15.

9 Ibid., p. 15.

10 Ibid., pp. 58-59.

11 Ibid., p. 116.

12 Ibid., p. 122.

13 Ibid., pp. 118.

14 Daniele Ovadia, Le storie nella mente - Dossier: il potere delle storie, in Mente - il mensile di psicologia e neuroscienze, n. 115 Anno XII (Luglio 2014).

15 Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Editori Laterza, Roma-Bari 2005, p.23.

16 Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti Elefanti, Milano 2015, p.16.

17 Ibid., pp.16-17.

18 I. Filograsso, op. cit.

19 I. Filograsso, op. cit., pp.106-107.

20 Ibid., pp. 57-58.

Bibliografia citata (in ordine di presentazione nel testo)

 

- Daniele Ovadia, Le storie nella mente - Dossier: il potere delle storie, in Mente - il mensi     le di psicologia e neuroscienze, n. 115 Anno XII (Luglio 2014).

- Ilaria Filograsso, Polisemia della fiaba, Anicia edizioni, Roma 2005.

- Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Editori Laterza, Roma-Bari 2005.

- Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti Elefanti, Milano 2015.

 

Beniamino Cardines

 


 

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