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Anno XIV num.4
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La produzione di energia elettrica in Italia

di Mauro Rocchetti

 

La produzione di energia elettrica in Italia avviene in parte (73,8%) grazie all’utilizzo di fonti non rinnovabili (attraverso centrali termoelettriche che bruciano principalmente combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale, in gran parte importati dall’estero), ed in parte (13,4%) utilizzando fonti rinnovabili (idroelettrica, geotermica, eolica, fotovoltaica e, in piccola parte, tramite combustione di biomasse); il restante fabbisogno (12,8%) viene coperto con l’acquisto di energia dall’estero, trasportata nel paese tramite l’utilizzo di elettrodotti (va comunque menzionato che la stessa ENEL è in alcuni casi anche comproprietaria di alcuni impianti di produzione esteri; tale elettricità sarebbe dunque in questi casi ancora dell'ENEL sebbene prodotta fuori dai confini nazionali).

Secondo le statistiche di Terna, la società che dal 2005 gestisce la rete di trasmissione nazionale, la maggior parte delle centrali termoelettriche italiane sono alimentate a gas naturale (65,2% del totale termoelettrico), carbone (16,6%) e derivati petroliferi (8,6%). Percentuali minori (2,1%) fanno riferimento a gas derivati da altre lavorazioni (acciaierie, altiforni, cokeria e raffineria) e ad “altri combustibili” (7,3%) quali biomasse, rifiuti, coke di petrolio, bitume.

In ogni modo, oggi le centrali sono progettate in modo da poter utilizzare più combustibili, in modo da poter variare in tempi relativamente rapidi la fonte combustibile a seconda della maggior convenienza.

La maggior parte dell’energia elettrica prodotta in Italia con fonti rinnovabili deriva principalmente da centrali idroelettriche (10,7% del fabbisogno energetico lordo, localizzate principalmente nell’arco alpino ed in alcune zone appenniniche) e centrali geotermoelettriche (1,5% del fabbisogno energetico lordo, localizzate principalmente in Toscana). Tra le altre fonti rinnovabili, l’eolico, sebbene in forte crescita, attualmente produce l’1,1% del totale dell’energia richiesta, con parchi eolici diffusi principalmente in Sardegna e nell’Appennino meridionale, mentre con il solare si raggiungono percentuali ancora minori (0,01%).

Infine, negli ultimi anni è cresciuta la quota di energia elettrica prodotta in centrali termoelettriche o termovalorizzatori alimentati con biomasse, rifiuti industriali o urbani, fino a raggiungere il 2% del fabbisogno energetico totale. Di questi, il 60,7% e riconducibile ai rifiuti solidi urbani, mentre la parte restante è riconducibile ad altri rifiuti ed alle biomasse.

Per quel che riguarda l’energia importata (la maggior parte della quale proveniente da Francia e Svizzera), il fabbisogno energetico italiano viene sostenuto da corrente prodotta all’estero per un’aliquota che può oscillare tra meno del 10% nelle ore diurne fino a punte massime del 25% nelle ore notturne. Ciò dipende principalmente dal fatto che buona parte dell’energia importata viene prodotta da centrali nucleari; poiché queste funzionano meglio in regime costante, durante le ore notturne si trovano ad avere un eccesso di produzione di energia rispetto alla richiesta, per cui questo surplus viene venduto a prezzi bassissimi. Ciò consente di fermare in Italia, durante le ore notturne, le centrali meno efficienti e di immagazzinare energia tramite le stazioni pompaggio idriche, che la possono poi rilasciare durante le ore diurne.

In totale, considerando sia l’energia importata direttamente che i combustibili acquistati per la produzione interna, l’Italia dipende dall’estero per circa l’84% dell’energia elettrica. Questo rende il nostro Paese particolarmente esposto a possibili problematiche legate ad un’improvvisa penuria di combustibile o un improvviso aumento dei prezzi dell’energia elettrica estera. Tuttavia, poiché le riserve di combustibili italiane sono molto inferiori al reale fabbisogno, l’unica modalità di produzione che potrebbe realmente considerarsi interna è quella che fa affidamento sulle fonti rinnovabili.

  • Energia idroelettrica

Una centrale idroelettrica generalmente è composta da un bacino artificiale, creato sbarrando con una diga un bacino fluviale, la cui acqua viene convogliata tramite una condotta forzata verso una o più turbine. L’energia cinetica dell’acqua mette in movimento le turbine, ognuna delle quali è accoppiata ad un alternatore che trasforma l’energia di rotazione in energia elettrica.

Spesso le centrali idroelettriche sono dotate di un bacino di raccolta anche a valle. Questo permette di riportare l’acqua utilizzata per produrre energia nel bacino di monte durante le ore di minor richiesta di energia mediante pompaggio. Solitamente questa operazione avviene di notte, utilizzando l’energia in eccesso (e quindi a basso costo) prodotta ad esempio dalle centrali nucleari (che, come si è detto, funzionano a regime costante) e non diversamente accumulabile. Con questo sistema si possono creare centrali idroelettriche dotate soltanto di un bacino di monte ed uno di valle, senza la componente fluviale, chiamate stazioni di pompaggio.

Problemi ambientali connessi alle centrali idroelettriche possono essere ricondotti la fatto che gli sbarramenti artificiali bloccano il trasporto di sedimento dei fiumi, alterando l’equilibrio tra apporto solido ed erosione nel corso d’acqua a valle della diga, con conseguente erosione del letto del fiume  e talvolta taglio dei meandri per la maggiore velocità dell’acqua, fino al mare dove, per il diminuito apporto di materiale sedimentario, si assiste all’erosione delle coste. Grandi bacini idroelettrici possono in alcuni casi avere impatti ambientali e socio-economici di diversa entità o gravità sulle zone circostanti, modificando il paesaggio e distruggendo habitat naturali preesistenti, creando una perdita di aree agricole ed, in alcuni casi, rendendo necessaria l’evacuazione di una parte della popolazione.

In Italia, le centrali idroelettriche totali sono più di due mila, presenti maggiormente nell’arco alpino e appenninico. Gli impianti sono presenti un po’ in tutta Italia, con prevalenza  al Nord (1613), seguita da Centro (277) e Sud (172).

  • Energia geotermoelettrica

L’energia geotermica trova la sua fonte nella produzione naturale di calore terrestre dovuta ai processi di decadimento nucleare di elementi radioattivi quali uranio, torio e potassio contenuti naturalmente all’interno della Terra. Il calore prodotto si trasmette, con modalità diverse, verso la superficie. La Terra è quindi un immenso serbatoio di calore, ma si tratta in genere di energia fortemente dispersa e solo raramente recuperabile in termini economicamente vantaggiosi. A volte, per la presenza di anomalie termiche, può concentrarsi in zone confinate dove raggiunge livelli di temperatura industrialmente sfruttabili. In tali aree l’acqua di falda viene riscaldata dal calore geotermico e resa disponibile (in modo naturale oppure grazie a perforazioni artificiali) sotto forma di fluidi più o meno caldi (raramente anche vapore surriscaldato) i quali, a seconda della temperatura e delle loro caratteristiche, possono essere utilizzabili per la produzione di energia elettrica oppure per scopi termici, quali il riscaldamento, gli usi sanitari e altri usi industriali.

La tipologia degli impianti per la produzione di energia elettrica varia a seconda del sistema idrotermale disponibile:

- sistemi a vapore dominante, nel caso in cui il fluido si trova a temperature particolarmente elevate, è possibile che dalla perforazione del terreno fuoriesca soltanto acqua sottoforma di vapore ad alta temperatura (anche superiore a 250 °C)e pressione, che viene inviata direttamente ad un sistema di turbine, accoppiate ad alternatori, per produrre energia elettrica;

- sistemi ad acqua dominante, nel caso in cui, per le caratteristiche termiche del sottosuolo, si estraggono fluidi in fase liquida o miscele acqua-vapore. A seconda della temperatura del fluido estratto si possono distinguere:

centrali a “singolo o doppio flash”, in cui il fluido estratto, la cui temperatura è superiore a 150 °C, passando rapidamente dalla pressione “di serbatoio” a quella atmosferica si separa (flash) in unamparte di vapore, che viene mandata verso un sistema di turbine, ed una parte liquida che viene reimmessa nel sottosuolo. Se il fluido estratto arriva in superficie a temperature particolarmente elevate, può essere sottoposto per due volte ad un processo di “flash” (doppio flash);

centrali a ciclo binario, in cui il fluido estratto, con temperatura compresa tra 120°C e 170°C, viene utilizzato per vaporizzare, attraverso uno scambiatore di calore, un secondo fluido con temperatura di ebollizione minore;

centrali a ciclo combinato, in cui, dopo il processo di “flash”, la parte liquida prima di essere reimmessa nel sottosuolo passa attraverso uno scambiatore di calore dove vaporizza un fluido a basso punto di ebollizione.

In Italia la maggior parte degli impianti presenti, situati in Toscana, sfruttano il sistema a vapore dominante. Nel complesso i 32 gruppi attivi coprono il 25% del fabbisogno energetico della regione.

  • Energia eolica

Un impianto eolico è normalmente composto da:

- un rotore, consistente in una elica con due o tre pale le cui dimensioni (diametro) dipendono dalla potenza dell’impianto e dalla forza del vento;

- un generatore eolico, che trasforma l’energia cinetica del vento in corrente elettrica;

- la coda a banderuola, meccanismo che serve ad orientare la turbina eolica con l’asse parallelo al flusso del vento ed inoltre, se il vento supera una stabilita velocità (che potrebbe compromettere la struttura dell’impianto), sposta l’asse della turbina verso l’alto facendo rallentare immediatamente il rotore;

- la torre, sulla cui cima è posta la turbina eolica.

I suoi vantaggi sono evidentissimi: a parte il costo iniziale dell’impianto, i successivi costi di gestione sono praticamente nulli, ed il suo impiego per produrre energia elettrica, poiché non presuppone combustione, non produce CO2 e quindi non contribuisce all’effetto serra. D’altra parte l’installazione di torri eoliche, data la loro altezza, crea un notevole impatto visivo ed il movimento di rotazione delle pale è fonte di inquinamento acustico. Inoltre, possono danneggiare le rotte di migrazioni dell’avifauna, che normalmente seguono crinali e passi. Altra accusa a questo tipo di strutture è stata mossa dalla Coldiretti, secondo cui le aree di rispetto delle oltre 3600 torri presenti attualmente in Italia sono responsabili di aver sottratto alla coltivazione ed al pascolo oltre 10.000 km2 di terreno.

Attualmente in Italia sono presenti oltre 3600  torri eoliche con potenza complessiva pari a 3750 MW, che nel 2008 hanno fornito energia elettrica per oltre 6,5 miliardi di kwh (pari ai consumi domestici di oltre 7 milioni di italiani). Per produrre la stessa quantità di energia, occorrerebbero 10 milioni di barili di petrolio, con una produzione di 3,5 milioni di tonnellate di CO2 associata alla combustione.

  • Biomasse

Le biomasse comprendono vari materiali di origine biologica: legname da ardere, residui agricoli e forestali, scarti dell'industria agroalimentare, reflui degli allevamenti, rifiuti urbani, specie vegetali coltivate per lo scopo . Si tratta generalmente di scarti dell'agricoltura, dell'allevamento e dell'industria.

I principali esempi di biocombustibili, cioè combustibili solidi, liquidi o gassosi derivati direttamente dalle biomasse oppure ottenuti mediante trasformazione strutturale del materiale organico, sono il biodiesel, il bioetanolo, il cippato, il pellet e il biogas. Per la produzione di energia elettrica si può ricorrere sia alla combustione di biomasse per produrre vapore che azioneranno turbine accoppiate ad alternatori, che all’uso di oli vegetali e biogas per alimentare gruppi elettrogeni.  

I biocombustibili sono considerati un'energia pulita a tutti gli effetti, in quanto liberano nell'ambiente le sole quantità di carbonio che hanno assimilato le piante durante la loro formazione, ed una quantità di zolfo e di ossidi di azoto che comunque risulta essere nettamente inferiore a quella rilasciata dai combustibili fossili. Per ridurre l'impatto ambientale è comunque necessario che le centrali siano di piccole dimensioni ed utilizzino biomasse locali, evitando in questo modo il trasporto da luoghi lontani. Attualmente le preoccupazioni maggiormente legate all’utilizzo di questo tipo di risorsa sono legate al fatto che molti Paesi, localizzati soprattutto nel Sud-Est asiatico, cercano di trarre beneficio dalla domanda europea di olio di palma, uno dei biocombustibili più richiesti per il suo basso prezzo di acquisto, destinando alla coltivazione di palme aree prima occupate da torbiere e foreste tropicali. In questo modo si assiste globalmente ad una forte immissione di anidride carbonica in atmosfera, in quanto il rilascio del carbonio presente nel terreno è maggiore di quello assorbito dalle nuove coltivazioni.

  • Energia solare

 L’energia solare può essere convertita in energia elettrica principalmente sfruttando due distinte tecnologie: il solare fotovoltaico ed il solare termodinamico.

In un impianto fotovoltaico si ha la conversione diretta dell’energia contenuta nella radiazione solare in energia elettrica.  È costituito principalmente da:

- un campo fotovoltaico, deputato a raccogliere l’energia solare mediante moduli fotovoltaici;

- un inverter, deputato a stabilizzare l’energia raccolta, a convertirla in corrente alternata e ad immetterla in rete;

- una quadristica di protezione e controllo situata tra l’inverter e la rete da questo alimentata.

Tra i materiali utilizzati per la costruzione dei moduli fotovoltaici, quello più utilizzato è il silicio,materiale che però ha un costo elevato, limitando così la diffusione di questa tecnologia. Attualmente è in corso uno studio italiano per la produzione di pannelli fotovoltaici a basso costo, basati sull’utilizzo del tellurio di cadmio in sostituzione del più oneroso silicio.

I moduli fotovoltaici odierni hanno una vita stimata di 80 anni circa, anche se è plausibile ipotizzare che vengano dismessi dopo un ciclo di vita di 35-40 anni, a causa della perdita di potenza dei moduli.

Lo sfruttamento dell’energia solare in un impianto solare termodinamico parte dal riscaldamento di un fluido da parte di una serie di collettori parabolici, dove un collettore parabolico è di fatto costituito da un riflettore di forma parabolica in grado di concentrare i raggi solari su un tubo ricevitore posto nel fuoco della parabola. Il fluido portatore di calore, posto in tale tubo, viene riscaldato fino ad una temperatura compresa tra 390°C e 550°C, ed il calore così prodotto viene poi utilizzato per produrre, tramite uno scambiatore di calore, vapore acqueo utilizzato per produrre energia elettrica. Il fluido portatore di calore, grazie la sua particolare composizione salina, una volta riscaldato è in grado di mantenere la sua altissima temperatura per molto tempo, fino ad alcuni giorni, e questo permette di avere una produzione di energia ininterrotta e costante nel tempo.

Attualmente in Italia sono previsti progetti per la realizzazione di impianti sperimentali di questo tipo in Lazio, Sardegna e Puglia. La tendenza dell’attuale governo comunque, come affermato in una mozione del 6 novembre 2008, non sembra volta a favorire lo sviluppo di questa tecnologia nel nostro Paese. In tale mozione il Governo si impegna a “promuovere lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica, consolidando meccanismi di incentivazione coerenti con le più avanzate esperienze europee; a sostenere, parallelamente con lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, tutte le azioni occorrenti per l’avviamento di programmi coerenti con quelli comunitari in materia di energia nucleare, nonché per l’incentivazione della ricerca sui reattori a fusione”.

  • Il Protocollo di Kyoto e l’Italia

Il Protocollo di Kyoto, con gli impegni di riduzioni delle emissioni di gas serra che coinvolgono i paesi industrializzati nell’ambito della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici è entrato nella sua fase operativa il 1° gennaio 2008. 

Il trattato prevede il vincolo per i Paesi industrializzati di ridurre le emissioni dei gas serra (anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), esafluoruro di zolfo (SF6)) del 5,2% nel periodo 2008 – 2012 rispetto alle emissioni del 1990; il gas di riferimento è considerata la CO2, mentre gli altri gas sono misurati in “equivalente CO2", attraverso un preciso rapporto di cambio. 
Nella Convenzione sono affermati due principi fondamentali: il principio di equità ed il principio di precauzione. Il principio di equità prevede per i vari paesi responsabilità comuni ma differenziate a seconda delle condizioni di sviluppo, di intervento e della capacità di perturbazione del clima; il principio di precauzione afferma che l’incertezza delle conoscenze scientifiche non possa essere utilizzata come ragione per posticipare gli interventi necessari ad evitare la possibilità di danni seri ed irreversibili.
La Convenzione Quadro individua due strategie di intervento: misure di mitigazione, ovvero interventi a monte, tipicamente di riduzione delle emissioni di gas serra, e misure di adattamento, che riguardano invece interventi a valle di adeguamento agli effetti dei cambiamenti climatici.  

L’Italia ha ratificato il Protocollo con la legge n. 120 del 1 giugno 2002, ponendosi così l’obiettivo di ridurre le sue emissioni di gas serra nel periodo 2008 - 2012 del 6,5% rispetto al 1990.

Le emissioni di gas ad effetto serra dipendono da attività come la produzione energetica, processi industriali, agricoltura e gestione dei rifiuti, e gli interventi per operare una riduzione emissiva possono comprendere politiche di risparmio energetico, promozione delle energie rinnovabili, riciclaggio dei rifiuti, ottimizzazione dei processi produttivi, innovazione tecnologica ed assorbimento della CO2 tramite i “carbon sink”. Inoltre, sulla base del principio secondo cui non è importante dove sono attuate le riduzioni di emissioni, in quanto il problema ha carattere globale, il Protocollo ha predisposto tre strumenti particolari denominati meccanismi flessibili:

- Emission Trading (Scambio delle quote di emissione), cioè l’istituzione di un mercato di “permessi di emissione”, in virtù del quale gli Stati possono acquistare “riduzioni virtuali” di emissioni da altri Stati che riescano a ridurre le proprie emissioni ad un livello maggiore di quello richiesto loro dal Protocollo;

- Joint Implementation (Implementazione congiunta), accordi tra Paesi industrializzati e Paesi con economie di transizione in virtù dei quali un paese industrializzato (ospite) realizza un progetto di sviluppo con  un paese a economia di transizione (ospitante). Se il progetto produce minori emissioni rispetto ad un progetto analogo effettuato in assenza del meccanismo il paese industrializzato riceverà un ammontare di crediti pari alla differenza;

- Clean Development Mechanism (Meccanismo per lo sviluppo pulito), che consiste in accordi tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo i virtù dei quali un Paese industrializzato (ospite) realizza un progetto di sviluppo con un Paese in via di sviluppo (ospitante) che produce minori emissioni rispetto a un progetto analogo effettuato in assenza del meccanismo. Il Paese industrializzato riceverà un ammontare di crediti pari a tale differenza.

Nel caso in cui uno Stato risulti inadempiente agli obblighi imposti dal Protocollo, sono previste due tipologie di sanzioni: l’ammontare percentuale in eccesso rispetto agli obiettivi fissati, maggiorato del 30%, va a cumularsi con l’ammontare percentuale di riduzione di emissioni previsto per la seconda fase di attuazione del protocollo (quella in discussione per il periodo successivo al 2012), e lo Stato inadempiente può inoltre essere escluso dalla partecipazione ad uno o più meccanismi flessibili.

A tali sanzioni previste dal Protocollo, vanno aggiunti ulteriori sanzioni stabilite in seno all’Unione Europea. Con la Direttiva UE 2003/87/CE, è stato istituito un mercato di emissioni regionale (area UE) ed imposto agli stati membri l’allestimento di un piano nazionale con l’assegnazione di permessi di emissione ai singoli impianti di alcuni settori produttivi, quali la trasformazione energetica, le lavorazioni minerarie, cementifici, vetrerie, cartiere, produzione ceramica. Gli operatori di questi impianti potranno, a certe condizioni, partecipare al mercato dei certificati di emissione, vendendo o acquistando certificati a seconda delle emissioni emesse; per ogni tonnellata in equivalente CO2 emessa in eccesso dagli operatori, essi dovranno pagare una  multa pari a 40 euro nel periodo 2005 - 2007 ed una multa pari a 100 euro a tonnellata nei periodi successivi.

Il Piano nazionale per l’assegnazione di quote di emissione di gas (NAP) italiano sancisce di fatto l’esclusione del settore energetico da provvedimenti concreti nella riduzione delle emissioni. Lo scenario di riferimento per il 2010, già nella prima bozza di piano, prevedeva un aumento delle emissioni totali rispetto all'anno di riferimento (1990) del 12,3%, che per i settori interessati al sistema di Emission Trading saliva al 17,9 %. Nel Piano attuale la previsione di aumento dell'anidride carbonica è del 22,8%. Dal momento che da questi settori interessati dalla Direttiva sulle Emission Trading deriva il 47,2% delle emissioni totali di gas serra, e che tale percentuale si prevede che salga al 50,1% nel 2010, è evidente che si sia deciso che tali settori, non solo non debbano contribuire al raggiungimento di quella riduzione del 6,5% prevista dal Protocollo di Kyoto, ma al contrario siano autorizzati ad allontanarci ulteriormente e consistentemente dal suddetto obiettivo. L’intenzione del governo italiano sembra quindi quella di colmare questo deficit ricorrendo all’acquisto di certificati di emissione ed altri meccanismi flessibili.

Allo stato attuale tra le industrie sottoposte all’Emission Trading Scheme soltanto quelle che appartengono al settore elettrico ed alla raffinazione del petrolio hanno sforato il tetto emissivo loro assegnato. In linea teorica il prezzo di questo smacco dovrebbe gravare sui singoli operatori indicati nel piano nazionale di emissioni approvato dall'Unione Europea, ovvero i grandi impianti industriali, le aziende elettriche, le grandi imprese private, i cui gestori, con la complicità della politica, sono i responsabili del ritardo italiano; di fatto, i costi saranno scaricati sui consumatori e sui cittadini, attraverso un aumento dei prezzi ed il ricorso alla spesa pubblica.

A partire dal 2005 in Italia sono state messe in atto una serie di misure finalizzate alla riduzione delle emissioni di gas serra, quali misure di incentivazione del fotovoltaico, di promozione dell’efficienza energetica negli edifici, della cogenerazione e dell’utilizzo dei biocombustibili nei trasporti. Nel Documento di Programmazione Economica-Finanziaria per gli anni 2009 - 2013  deliberato dal Consiglio dei Ministri il 18 Giugno 2008 non si fa alcun cenno circa investimenti atti a colmare il gap emissivo italiano, ed a tutt’oggi soltanto alcune voci degli stanziamenti previsti dal governo Prodi a favore delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica restano in piedi. In particolare sono stati tagliati gli incentivi del 55%  per migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni. Inoltre, con il decreto legge n.93 del 27 maggio 2008 che ha portato all’abolizione dell’Ici sulla prima casa sono stati tagliati circa 700 milioni di euro alle voci destinate ad investimenti in campo ambientale, così ripartite: 77 milioni di euro per il potenziamento del trasporto via mare, 15 milioni per il trasporto ferroviario delle merci, 113 milioni per il trasporto pubblico locale, 30 milioni per l'ammodernamento della rete idrica nazionale, 162 milioni (in tre anni) per la ferrovia Roma - Pescara, 36 milioni per il trasporto urbano, 50 milioni per la diffusione della banda larga, 150 milioni per la riforestazione, 45 milioni per la demolizione degli ecomostri, 20 milioni (in tre anni) per le isole minori, 10 milioni per il recupero dei centri storici, 4 milioni per l'istituzione di aree marine protette, 12 milioni per il monitoraggio del rischio sismico, 3,5 milioni per interventi di difesa del suolo nei piccoli Comuni.

Con una mozione del 18/3/2009 il Senato italiano ha negato la relazione tra aumento delle temperature globali e dei gas serra affermando altresì che “il livello dell'acqua negli oceani non sta aumentando a ritmo preoccupante, che i ghiacciai basati su terraferma nelle calotte polari non si stanno sciogliendo, che il numero e l'intensità dei cicloni ed uragani tropicali non sta aumentando, che negli ultimi dieci anni la temperatura media al suolo dell'atmosfera terrestre non risulta aumentata, che secondo gli oceanografi non vi è alcun rischio di blocco della corrente del Golfo, che negli scorsi mesi si è riformata la calotta polare nella stessa estensione di venti o trenta anni fa”. Nello stesso documento si giustificano queste prese di posizione in quanto “una politica energetica finalizzata all'ottenimento di una rilevante riduzione delle emissioni di anidride carbonica … e in particolare nel caso di eccessive ed affrettate forme di incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili, potrebbe produrre un rilevante aumento del costo dell'energia termica e soprattutto dell'energia elettrica, con pesanti conseguenze sulla capacità competitiva internazionale degli Stati membri dell'Unione, in mancanza del coinvolgimento di importanti Paesi industrializzati e in via di sviluppo”.

(Gen. 2010)

Mauro Rocchetti

 

 

 


 

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