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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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di Emanuela Riberti
 


Caro papà, voglio raccontarti qualcosa che non sai.
All’ultimo piano di una casa singola soffocata dai palazzoni cresciuti selvaggiamente nel cuore della piccola città, una donna anziana si agita e si arrabbia con l’ostetrica perché non favorisce la fuoriuscita del nascituro. Si preoccupa che non accada come a lei quando perse il suo primo figlio per il troppo tergiversare. Incurante delle rassicurazioni dell’ostetrica stessa, si attacca al telefono finché non trova un medico disposto a precipitarsi al capezzale della puerpera. Sudore e dolore poi un esserino silenzioso vede la
luce. Il medico si prodiga e per alcuni minuti il gelo attraversa i cuori dei presenti, poi finalmente il pianto di vita.
Ecco, quella anziana era la mia cara nonna, tua madre che ha subito adorato quel frugoletto: ossia io, ma tu, preso dal lavoro non c’eri, e, forse per questo il tuo cuore è rimasto arido.
Non sono il maschio che volevi, anche se l’hai sempre nascosto.
Non sono la figlia che volevi, ma di questo non perdi occasione per rinfacciarmelo, già non sono brava come te.
Quando ti domando a bruciapelo perché mi tratti così male, altro non sai dire che tu sei fatto così e non sai esternare quello che provi.
Per quanto io mi sforzi di capire cosa avrei dovuto fare per compiacerti, mi risulta impossibile risolvere l’arcano.
Mi stupisco della veemenza con cui sferzi ogni cosa che faccio.
Sistematicamente disapprovi tutto di me. Eppure conduco una vita irreprensibile.
Sei una persona burbera, irascibile e con il solo tono di voce hai sempre governato la mia vita.
Non ho mai capito dove stare per salire nella tua scala di valutazione.

Se rispondevo a tono ero maleducata, se stavo zitta ero addormentata, se qualche ragazzo mi telefonava a casa erano guai perché “facevo l’amore per telefono”, se nessuno mi cercava ero introversa. Penso che basti per dare la misura delle contraddizioni con cui hai segnato la mia giovinezza.
Adesso ti stupisci perché la mia vita assomiglia a quella di un naufrago. Tutto il mio mondo volevo fosse la famiglia che mi ero creata per trovare quel calore e amore, che, tu non mi hai mai dato. Era ciò che volevo e ci ho creduto fino all’ultimo. Però si sono materializzati timori e contraddizioni, anche lì.
Mi sono forse innamorata dell’apparenza di mio marito? Certamente sì, dato che laurea, posizione economica e prestanza fisica si sono rivelati un flop: altro che vero uomo, un mero contenitore vuoto di valori e pregno di lussuriosità e adultera bramosia di vita.
Alla fine delle danze con la separazione mi sono ritrovata senza denaro, ma quel che è peggio, odiata da tutti perché mi sono stancata di essere la moglie cui addossare le colpe e non potevo più essere usata come parafulmine contro le pretese delle numerose amanti.
Vedi papà, quello che succede senza amore? Ma tu non hai capito la mia scelta.
Certamente, almeno tu non mi hai fatto mancare il sostegno economico, ma zero su quello morale. Il prezzo che pago mi pare alto, il tuo è un atteggiamento che mi accusa di avere mollato la buona posizione sottolineato con il candido garbo che se non ci fossi stato tu adesso sarei sotto un ponte.
Papà, mi sento un guscio di noce che naviga nel mare in tempesta della vita.
Quando la mia dignità fa capolino sono fiera di me stessa e del coraggio che ho avuto nel ribellarmi ad una vita votata a credere di non vedere ciò che gli occhi guardavano ma la mente non registrava.

Invece, quando odo quel tono sdegnato nella tua voce, papà, mi sento incapace di pensare e reagire.
Allora, mi chiedo chi sono e che senso ha la mia vita. Si trascinano i giorni tra una visita medica e l’altra, anche se mi domando perché ti accompagno tanto tu sai tutto, tu sei bravo in tutto.
Vedo le forze che ti abbandonano, ma non la tua aggressività. Potrei mandarti a quel paese ma il mio amore di figlia non è mai cessato. Ecco ci sono io in queste sale d’attesa per interminabili ore, ascolto io i responsi dei medici, molti dei quali ti trattano come un fastidioso numero e non come una persona che soffre. Oh che novità, anche tu provi cosa vuol dire non essere ascoltati e capiti! Sai, ora che ti ho raccontato quello che non sapevi, sei forse ad un passo dal diventare un essere umano e la mia vita ha più senso, l’ho
sospettato l’altra sera quando mi hai confessato la tua paura della malattia.

(E.R.)



Settembre 2005, mio figlio è triste e chiuso in se stesso. Sono i primi giorni di scuola, ricordo quanto sia faticoso tornare ai banchi dopo le vacanze estive, penso sia questo il motivo, voglio comunque parlargli prima possibile.
E’ stato promosso in seconda superiore con ottimi voti. Nessun patimento nel salto di livello dalle medie inferiori alle superiori, credo anche quest’anno per lui sarà una passeggiata.
Appena il lavoro me lo permette, dedico il mio tempo alla famiglia. Anche domenica prossima dopo la funzione domenicale, ho deciso di portare i miei
fuori a pranzo presso l’agriturismo del mio amico Gianni. Ho ben due cose da festeggiare.
Viviamo in un paesino del profondo Veneto, siamo un po’ scomodi rispetto alla città, in compenso abbiamo ancora l’aria buona del delta del Po.
Mio figlio tutte le mattine prende la corriera delle sette per essere a scuola alle otto e un quarto, per l’inizio delle lezioni.
Io sono il primo ad alzarmi, preparo la colazione per tutti. Mia moglie ha già il suo bel da fare con Sara, la nostra seconda figlia più piccola.
Non abbiamo una casa grande, per cui abbiamo stabilito i turni per il bagno, così nessuno litiga.
Alle sei e mezzo ci sediamo a tavola, diciamo le preghiere del mattino e consumiamo una colazione abbondante.
Alle sette meno un quarto ciascuno comincia il proprio percorso. Mio figlio s’incammina per la scuola, mia moglie prepara la bimba e se la
porta all’asilo dove lei esercita la professione di maestra, infine io sparecchio e rassetto casa. Non mi vergogno, come uomo, a dichiarare che mi piace
tenere la casa in ordine e fare tutte quelle faccende una volta unico appannaggio delle donne.
Sono un uomo che apprezza la divisione dei compiti in casa e nell’educazione dei figli.

Amo soprattutto cucinare: a me piace preparare il pranzo e alle quattordici e trenta quando tutti rientrano sono appagato dagli apprezzamenti e dai piatti
che si svuotano con sorprendente rapidità.
Dopo pranzo, finché la bimba fa il riposino, si invertono i ruoli, mia moglie rassetta e prepara la cena, io mi immergo nei miei programmi, sono analista
programmatore free-lance, ecco spiegato come posso progettare il mio tempo.
Prima di iniziare a cenare, recitiamo le preghiere della sera, quindi consumiamo il pasto a televisione spenta, per poter parlare della giornata
trascorsa o di quella che segue.
Alle venti e trenta ascoltiamo il telegiornale tutti insieme commentando le notizie.
Al termine, mia moglie prepara per la notte la piccolina, mio figlio finisce di ripassare le lezioni e io torno al lavoro.
Questa nostra giornata tipo pare impossibile da vivere in città, è per questo che ho scelto di stabilirmi qui. Sono felicemente fuori dal mondo ma ad esso
collegato con Internet.
Il telelavoro è una splendida opportunità troppo poco praticata purtroppo. Io mi ritengo baciato dalla fortuna per aver trovato la strada giusta.
Gianni, il mio amico, quando gli ho proposto di trasformare il casale ereditato dal nonno in agriturismo, era spaventato non tanto dai costi di ristrutturazione ma da quelli di promozione per attirare i clienti. Gli ho lanciato l’idea di creargli un sito per la promozione e gestione prenotazioni, manco a dirlo la cosa ha funzionato talmente tanto che adesso lo standard del livello prenotazioni è costantemente “overbooking”. Però io e la mia famiglia abbiamo in esclusiva un tavolo per noi ogni volta che vogliamo.
Domenica arriva presto: eccoci seduti al nostro tavolo. Gianni viene a salutarci portando un grosso pacco con un fiocco rosso. Ci strizziamo l’occhio
e lo posa davanti a mio figlio, che, rimane a bocca aperta come fa la sua sorellina che sta scoprendo il mondo. Tutti lo invitiamo ad aprire il pacco.
Spuntano due orecchiucce bianche, un musetto con una macchiolina bionda ed un mezzo codino scodinzolante.
Due lucciconi spuntano negli occhi commossi del mio ragazzo e so di avere fatto centro. Lui è un bravo ragazzino, però la nascita della sorellina lo ha un
po’ spiazzato e adesso ha bisogno di occuparsi di qualcuno che lo ami senza fare domande. Tra poco la piccolina invece comincerà a farne di domande e
tante.
Mio figlio mi guarda e finalmente il sorriso gli arriva agli occhi. Ha scelto “Lilla” come nome del cagnolino e mi piace perché non dice il “mio” cane ma
“nostro”.
Siamo a fine pasto, possiamo festeggiare anche la seconda cosa: comunico che ho finalmente chiuso un contratto pluriennale con una grossa
softwarehouse, ora potremo ampliare la casa, ciascuno potrà avere la sua stanza ed il suo bagno.
Ecco, questa è la mia vita e sono orgoglioso di viverla in grazia di Dio.

(E.R.)

 

Emanuela Riberti

 

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