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		BRITISH STYLE 
		L’incredibile avventura della Mini 
		
		di Roberto Maurelli
 
		  
		 Nel 1956, la 
		crisi petrolifera del Canale di Suez ed il conseguente repentino 
		innalzamento dei prezzi del carburante, spinsero la maggior parte dei 
		costruttori automobilistici a realizzare modelli di piccola cilindrata e 
		ridotte dimensioni. Non sfuggì a questa tendenza nemmeno il gruppo inglese BMC (che 
		raggruppava i noti cantieri Austin e Morris), il quale decise che era 
		venuto il momento di realizzare una piccola utilitaria, leggera ed 
		economica. L’elaborazione del progetto fu affidata al talento 
		dell’ingegnere di origine greca Alec Issigonis.  Questi realizzò una innovativa vetturetta a due volumi e tre porte, 
		dotata di motore anteriore trasversale, cambio sotto il propulsore (con 
		coppa dell’olio unica), trazione sulle ruote davanti, sospensioni a 
		ruote indipendenti con elementi elastici in gomma, piccole ruote da soli 
		10” ai quattro angoli del telaio. Queste soluzioni, oggi diffuse su 
		quasi tutte le auto di questo segmento, consentivano di ricavare spazio 
		sufficiente per quattro persone in una lunghezza di soli 305 cm. Il 
		propulsore era un 848 cc con albero a camme laterale, alimentato a 
		carburatore, e sviluppava la potenza massima di 34 cavalli.  Inizialmente le vendite stentavano a decollare proprio a causa delle 
		numerose innovazioni stilistiche e meccaniche ma, con il passare del 
		tempo, il pubblico cominciò ad apprezzare le sue eccellenti doti 
		stradali (si guidava davvero come un kart!), decretando un successo di 
		tale portata che la Mini, questo il nome del modello, sarebbe rimasta in 
		produzione, seppur con successivi aggiornamenti, per oltre quaranta 
		anni, tra il 1959 e il 2000. Piaceva perfino alle celebrità: fra gli 
		entusiasti possessori figurano nientemeno che Enzo Ferrari, Niki Lauda e 
		Steve McQueen. Nel 1960 venne commercializzata una versione station wagon (forse 
		qualcuno ancora ricorda quella dotata di listelli in legno!), ma questa 
		e altre successive trasformazioni non  riscossero mai il favore degli 
		acquirenti a causa delle loro linee sgraziate. Nel 1961 John Cooper, titolare della nota scuderia di Formula 1, mise 
		le mani sulla Mini tirando fuori dal cilindro un’elaborazione notevole: 
		venivano impiegati due carburatori, i freni anteriori a disco ed un 
		nuovo assetto più rigido. La potenza massima, inizialmente di “soli” 55 
		cavalli, crebbe negli anni, a seguito di continui affinamenti, fino a 76 
		notevoli cavalli. Queste vetture, opportunamente modificate, si 
		aggiudicarono la vittoria del prestigioso Rally di Montecarlo  nel 1963 
		e nel 1964, nonostante gareggiassero con concorrenti ben più dotate 
		sulla carta. Nel 1969 la British Leyland (nuova denominazione della BMC) decise di 
		rendere la Mini un marchio a sé, perdendo così la doppia denominazione 
		Austin/Morris. La gamma venne sdoppiata in due versioni distinte: la 
		Mini Classic, che manteneva le caratteristiche originali (nonostante un 
		lieve restyling) e la Mini Clubman, profondamente rivista nell’estetica 
		e disponibile anche in versione station wagon La Clubman, inoltre, 
		montava un nuovo propulsore da 998 cc per 44 cavalli.  A partir dal 1982 uscirono definitivamente di produzione tutte le 
		versioni Clubman che non incontravano per nulla il favore del pubblico, 
		mentre la Mini classica continuò ad evolversi (nuova calandra, nuovi 
		interni, strumentazione più leggibile, poggiatesta anteriori, 
		carreggiata allargata) e a riscuotere successo, vedendo anche nascere, 
		nel 1993, una versione cabrio. Nel frattempo, nel 1991, il marchio British Leyland si era convertito 
		in Austin Rover. I principali affinamenti meccanici ed estetici, in 
		questa fase, riguardarono gli aspetti della sicurezza e 
		dell’inquinamento. La scocca, dunque, venne rinforzata e il motore fu 
		dotato di iniezione elettronica single point e di marmitta catalitica.
		 La Mini venne prodotta su licenza anche in Italia, dove negli 
		stabilimenti Innocenti di Milano riceveva allestimenti interni più 
		lussuosi degli originali inglesi. Da questa esperienza, fra l’altro, la 
		Innocenti derivò la propria Mini, che era però una vettura completamente 
		diversa. Nel 1997 la BMW acquistò il marchio Austin Rover, aggiornando la 
		gamma con airbag, barre anti-intrusione nelle portiere, radiatore 
		frontale (in passato era spostato sulla sinistra per esigenze di spazio 
		nel vano motore!), nuovi interni. Nel 2001, però, la BMW lanciò col nome Mini un’auto del tutto nuova, 
		che si ispirava solo esteticamente al progetto di Alec Issigonis. 
		Nonostante l’incredibile successo di questo revival, non può tacersi 
		che, ancora oggi, sparsi per il mondo, vi sono orgogliosi proprietari 
		del vecchio modello e competizioni monomarca in cui queste simpatiche 
		vetture sono protagoniste. 
		Roberto Maurelli |