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Panorama delle ultime strategie degli stati per diminuire gli stravolgimenti climatici: riflessioni sull’importanza di interventi nel settore auTO

di Stefano Chiari

 

PREMESSA

Il protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici è un accordo internazionale che stabilisce precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, del riscaldamento del pianeta, da parte dei paesi industrializzati. E’ l’unico accordo internazionale che sancisce una limitazione delle emissioni ritenute responsabili dell’effetto serra, dei cambiamenti climatici, del surriscaldamento globale.

Punti chiave sono:

·        Per i paesi più industrializzati l’obbligo è ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990, nel periodo di adempimento che   va dal 2008 al 2012;

·        Gli stessi paesi devono predisporre progetti di protezione dei boschi, foreste, terreni agricolo che assorbono anidride carbonica………………….;

·        I Paesi firmatari andranno incontro a sanzioni se mancheranno di raggiungere gli obiettivi.[1]

L’Unione Europea si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas serra dell’8% entro il 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990. Nel marzo del 2007 i governi europei si sono impegnati a una riduzione dei gas serra del 20-30% entro il 2020.

1.     SETTORE DEI TRASPORTI

1.1 SITUAZIONE EUROPEA

Il settore dei trasporti ha ottenuto risultati peggiori nella riduzione delle emissioni di gas serra e mette in forse la capacità europea di raggiungere gli obiettivi degli accordi di Kyoto. Le emissioni di CO2 del settore dei trasporti invece di diminuire dell’8% sono cresciute del 32% tra il 1990 e il 2005, mentre gli altri settori hanno ridotto le loro emissioni di una media del 9.5%.

Neppure le case automobilistiche sembrano voler rispettare l’obiettivo di 140g/km entro il 2008/9 che si erano impegnate a raggiungere. Il tasso medio di riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture è ancora ben lontano dalla percentuale stabilita.[2]

La lentezza e la disomogeneità nelle politiche di riduzione delle emissioni di CO2 praticate dalle diverse case automobilistiche rende necessario l’intervento del legislatore. La normativa europea avrà il compito di fornire il quadro necessario per una svolta radicale nel settore dei trasporti.

Regolamentare il consumo delle emissioni di CO2 delle auto nuove è la misura singola più efficace per combattere l’effetto serra, la dipendenza dal petrolio e al tempo stesso investire in tecnologie a basso impiego di carbonio.

La scadenza prevista per il conseguimento dell’obiettivo di 120 g/km di emissione di CO2 è stata già rimandata due  volte, prima al 2010 e poi al 2012. Se l’Unione Europea non vuole perdere la credibilità politica, questa scadenza non deve essere più rinviata oltre.

Obiettivi di lungo termine al 2020 e al 2025 sono necessari per fornire all’industria quella prospettiva di lungo periodo necessaria a progettare e mettere in cantiere vetture più efficienti. E’ quindi necessario prevedere e formalizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al di sotto degli 80 g/km entro il 2020 e a 60 g/km entro il 2025. Senza questi obiettivi, l’Unione Europea non sarà in grado di rispettare gli impegni assunti verso una generale riduzione delle emissioni di C=2 del 30% entro il 2020 e del 60-80% entro il 2050. [3]

Non ultimo, se si vuole che una legge sulla riduzione delle emissioni di CO2 funzioni davvero, sarà necessario prevedere penalità per itrasgressori sufficientemente severe da essere dissuasive e incoraggiarli a raggiungere l’obiettivo preposto, piuttosto che adattarsi a pagare qualche penale.

 

1.2 SITUAZIONE ITALIANA

Se da un lato la gravità dell’emergenza climatica e una crescente consapevolezza del problema da parte delle istituzioni europee impone politiche di riduzione delle emissioni di CO2, l’attuale Presidente del Consiglio sembra essere rimasto il solo leader europeo a non aver capito che quello ambientale è un problema molto serio. Ciò si desume da alcuni segnali lanciati dal premier, non ultimo il fatto che, ponendosi in netto contrasto con il Presidente francese Sarkozy, abbia deciso di mettere il veto al pacchetto UE sul clima concernente la riduzione dei gas serra entro il 2020 che chiede all’Italia di tagliare le emissioni di CO2 non inclusi nel sistema di scambio emissioni (rifiuti, trasporti, edilizia) del 13% rispetto ai livelli del 2005. Veto che secondo il Premier sarebbe indispensabile dal momento che le misure da adottare risulterebbero troppo onerose per l’economia italiana, soprattutto alla luce della recente crisi finanziaria.

Tale posizione irresponsabile può compromettere le misure per prevenire la catastrofe climatica data per certa ormai da tutti gli scienziati.

Comunque, anche se il Premier non riuscisse a spuntarla, ben poco cambierebbe in Italia. Basti pensare che anche prima della crisi finanziaria, non è mai stato fatto alcuno sforzo per diminuire le emissioni di CO2; e nonostante l’impegno del nostro Paese preso nell’ambito del protocollo di Kyoto a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 6.5% entro il 2012 abbiamo continuato a marciare in direzione diametralmente opposta a quanto convenuto.

 

2.     SETTORE AUTO 

Dopo il settore della produzione di energia, il settore dei trasporti è la seconda fonte di produzione di gas serra in Europa, con il 22% delle emissioni di CO2. Di questa quota più della metà è dovuta al trasporto automobilistico, uno dei pochi settori in cui le emissioni sono in aumento, vanificando gran parte dei successi raggiunti in altri settori.

Nel 2005 in Italia il trasporto su strada è stato responsabile di un terzo (20.9%) delle emissioni nazionali di gas serra e il 60% di queste deriva dalle autovetture private. Nel nostro paese il numero di autoveicoli in circolazione è aumentato di cinque volte tra il 1951 e il 1961, ed è più che triplicato nel decennio successivo. Negli ultimi anni, la crescita annua del parco auto varia tra il 2.4% e il 3.7%.

In Italia circolano circa 35.300.000 autoveicoli, una media di 58 vetture ogni 100 abitanti; oltre due terzi del traffico merci terrestre avviene su gomma. Il nostro paese è il secondo in Europa per numero di autovetture per abitante (dopo il Lussemburgo). [4]

 

3.     LA ROTTAMAZIONE: INTERVENTO PALLIATIVO O RISOLUTIVO? 

Sul fatto che intervenire in questo momento è necessario ormai è assodato. Alcuni studiosi di settore sono convinti che la rottamazione, intesa come un mero programma di incentivi al rinnovo del parco circolante, rappresenta solo un palliativo contro gli effetti dolorosi della crisi in atto. Questo perché i benefici sull’economia saranno di breve termine mentre le conseguenze sull’ambiente sono piuttosto incerte, come dimostrano alcuni studi effettuati in Europa e negli Stati Uniti. [5]

 Per curare la crisi che stiamo vivendo servono interventi strutturali che riguardino l’intero sistema produttivo del Paese (mercato del lavoro, fiscalità, investimenti e ricerca). Non è un caso che Barack Obama negli Stati Uniti abbia subordinato allo sviluppo di nuove tecnologie pulite da parte dei produttori gli interventi a sostegno dell’auto. Come dire: il governo va in aiuto del sistema imprenditoriale che in cambio, però, deve garantire investimenti in ricerca che possano tradursi in maggiore produttività e nuovi posti di lavoro. Sono passati dodici anni dal primo provvedimento di rottamazione varato in Italia dal governo Prodi nel 1997, l’anno in cui veniva siglato a livello internazionale il famoso protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni globali di gas serra, in particolare l’anidride carbonica. Negli anni successivi sono stati più volte introdotti incentivi di questo tipo. Prima di noi, molti altri paesi hanno varato politiche di incentivazione alla rottamazione delle autovetture, preoccupati per i danni causati dall’inquinamento. Gli Stati Uniti hanno fatto da pionieri: già a partire dal 1990 una piccola impresa americana, la Unocal, iniziò a concedere degli sconti particolari ai consumatori che le consegnavano un autoveicolo più vecchio di 15 anni comprandone uno più recente in sostituzione. [6]
L’interesse per questo tipo di strumento di politica economica e ambientale non tardò ad arrivare anche in Europa. Diversamente da quanto fatto negli Usa, dove la rottamazione fu introdotta con relativa prudenza in molti Stati, preceduta da studi di valutazione ex ante sui risultati conseguibili e dapprima sperimentata con progetti pilota, nei Paesi europei questo strumento fu applicato con grandissima rapidità e su vasta scala.
Non c’è dubbio che la rottamazione aumenti le vendite mentre sono in corso gli incentivi. Alcuni soggetti reagiscono anticipando i loro acquisti per sfruttare i benefici del provvedimento. Ma l’effetto anticipazione abbassa le vendite di auto nel periodo successivo. La crescita di breve periodo della vendita di nuove vetture incrementa i profitti dell’industria dell’auto. Questo aumento potenziale, però, è ridotto da alcuni elementi: la generale diminuzione dei prezzi durante il periodo degli incentivi (dovuta alla concorrenza tra le case automobilistiche); lo slittamento degli acquisti verso modelli più piccoli  su cui sia l’industria dell’auto sia i concessionari hanno margini di profitto minori; e infine l’effetto anticipazione che fa diminuire i profitti nel medio termine (parte dell’incremento dei profitti è da intendersi non come un incremento reale ma come uno spostamento temporale). Anche in Italia, dopo la rottamazione del ’97,  si è verificato l’effetto anticipazione, moderato però dal fatto che negli anni precedenti all’introduzione degli incentivi si era accumulata una domanda potenziale molto elevata causata dalla bassa propensione agli acquisti indotta da una crescente fiscalità e da una situazione economica generale poco favorevole.
[7]
Sui risultati ottenuti dalla rottamazione non c’è unanimità di consensi. Certamente questi provvedimenti, nei paesi che li hanno adottati, hanno conseguito una riduzione delle emissioni dei principali macroinquinanti (monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi, particolato), portando benefici all’ambiente e ancor più alla salute dei cittadini, in particolare per quanto riguarda gli abitanti dei centri urbani. Ma ci sono aspetti più controversi da sottolineare. La rottamazione, come precedentemente riportato, non fa che anticipare delle decisioni che i consumatori prenderebbero comunque, sia pure con qualche anno di distanza. Il vantaggio dato in termini ambientali ha dunque una durata limitata al breve periodo e tende a svanire nel medio-lungo termine, quando le stesse riduzioni di emissioni inquinanti sarebbero comunque conseguite dal naturale ricambio del parco macchine e senza  nessun esborso per le casse dello Stato.
[8]
Inoltre, se si analizzano i dati sul numero di chilometri annuali mediamente percorsi da un’autovettura durante il suo ciclo di vita, si nota che i veicoli più vecchi sono utilizzati molto meno di quelli che hanno pochi anni di vita. La minore affidabilità e il minor comfort dei modelli più datati, infatti, fa sì che essi siano in genere lasciati a un uso marginale, per spostamenti di più breve distanza. Incentivare la loro sostituzione con veicoli nuovi e maggiormente affidabili significa incentivare il trasporto su strada: dunque si hanno veicoli che emettono meno inquinanti per chilometro percorso, ma d’altra parte aumentano i chilometri complessivamente percorsi dal parco macchine di un Paese, riducendo in tal modo i possibili vantaggi ambientali.
La rottamazione del 1997, secondo alcuni calcoli effettuati dall’Enea, ha provocato in Italia una riduzione di molte sostanze inquinanti. Per quanto riguarda l’anidride carbonica (principale responsabile dell’effetto serra) si è verificato invece un vero e proprio fallimento provocato dalla combinazione degli elementi sopra descritti, ma anche da altri fattori più specifici: innanzitutto le auto con marmitta catalitica hanno consumi energetici (e quindi emissioni di anidride carbonica) superiori alle auto  non catalizzate. E poi non va dimenticato che si producono emissioni inquinanti non trascurabili anche nelle fasi di costruzione delle vetture e in quelle di demolizione e smaltimento (e/o riciclaggio) dei rifiuti da esse provenienti: accorciare la vita media delle auto (come è negli scopi di questi incentivi) potrebbe anche andare in senso opposto a ciò che viene richiesto da uno sviluppo sostenibile. Nonostante, dunque, gli incentivi alla rottamazione siano sempre stati presentati entusiasticamente pressoché ovunque, come strumento per ridurre l’impatto ambientale del trasporto su gomma, molti sono ancora i dubbi sulla loro reale efficacia.
[9]

 

4.     NUOVE STRATEGIE CLIMATICHE

Il 22 settembre del corrente anno, il segretario ONU Ban Ki Moon, ha aperto il pre-vertice sul clima al Palazzo di vetro, in vista del mega vertice che si terrà a dicembre a Copenaghen dove i leader mondiali dovrebbero raggiungere, dopo quello di Kyoto, un nuovo accordo per arginare il surriscaldamento del pianeta. Ha rimproverato la comunità internazionale sulla sua lentezza “glaciale”….. Obama, che tra i quattro pilastri fondamentali del futuro delle nazioni mette la conservazione del pianeta, tuona: “o si fanno politiche vere o sarà la catastrofe per il pianeta; una minaccia grave, urgente e crescente: il tempo per correre ai ripari sta per scadere. Se non agiamo al più presto rischiamo di consegnare alle generazioni future una catastrofe irreversibile…. Come Stati Uniti stiamo procedendo ad investimenti per trasformare la nostra politica energetica e investire con enfasi sull’energia pulita e rinnovabile..” Il tono è cambiato dai tempi in cui l’amministrazione Bush negava perfino la realtà del surriscaldamento da CO2 e la Cina scaricava ogni colpa sui paesi più ricchi. Sembra che i due giganti che insieme generano il 40% di tutte le emissioni carboniche della terra ora parlino un linguaggio più simile. [10]

Il Presidente ha poi sottolineato la necessità di arrivare ad un accordo flessibile e pragmatico sulle riduzioni dei gas serra, con l’obiettivo di creare un mondo più sicuro e più pulito. Il pianeta è al collasso; dall’era pre-industriale ad oggi l’incremento di CO2 sfiora il 35%. Per gli esperti la temperatura salirà di almeno tre gradi nei prossimi anni, nei paesi del terzo mondo corre la desertificazione, sull’artico i ghiacci si sciolgono con una velocità terrificante ed entro il 2030 potrebbero sparire del tutto facendo salire alla fine del secolo il livello dei mari di due metri. E’ uno scenario apocalittico quello descritto nel palazzo di vetro; ad ascoltarlo i rappresentanti di tutti i paesi del mondo. Anche Cina ed India, paesi emergenti e forti inquinatori, sono stati chiamati in causa a fare la loro parte. Il premier progressista Yukio Hatoyama ha detto che entro il 2020 Tokyo taglierà le emissioni del 25% praticamente il triplo di quanto promesso dal precedente governo. [11]

Ma saranno vere tutte queste promesse?

VERTICE FAO – ROMA – NOVEMBRE 2009: FALLIMENTO E DELUSIONE; sicurezza alimentare e ambientale che non trovano la strada del cambiamento. Nonostante gli aggiornamenti scientifici sui cambiamenti climatici ci dicono che ogni giorno che passa la situazione si fa più critica, salta l'accordo sul clima e sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Il non possumus dei due leader dei paesi che da soli producono il 40% di emissioni nell'atmosfera (Stati Uniti e Cina) a proposito dell'accordo sul clima migliorativo delle obsolete prescrizioni del trattato di Kyoto, ha colto tutti di sorpresa e ha lasciato tutti delusi. Il rischio di un sogno di salvezza dall'inquinamento globale che si sta infrangendo. Il nuovo trattato che si doveva (dovrebbe?) avrebbe dovuto fissare:

-         una serie di impegni ambiziosi di riduzione delle emissioni da parte dei paesi sviluppati dell’ordine del 25-40 per cento rispetto al 1990 (anno base per gli accordi di Kyoto) entro il 2020;

-         - un’azione adeguata da parte dei paesi in via di sviluppo per ridurre la crescita delle loro emissioni, a circa il 15-30 per cento in meno rispetto ai livelli normali al 2020;

-          un accordo finanziario per aiutare i paesi in via di sviluppo a mitigare le emissioni e ad adattarsi ai cambiamenti climatici, dell’ordine di 100 miliardi di euro l’anno entro il 2020.[12]

Ma la Commissione Europea tiene duro e fa sapere che nonostante il “NO” sino-americano “è fondamentale continuare i negoziati fino all'ultimo momento perché a Copenaghen si trovi un'intesa alta, globale e operativa”. Non si danno per vinte neppure le organizzazioni di difesa per l'ambiente Greenpeace, Wwf e Legambiente che, criticando i due presidenti, fanno sentire la loro voce scendendo in campo congiuntamente appellandosi ai governi di tutto il mondo perché “si impegnino a sottoscrivere a Copenaghen un accordo vincolante per tagliare le emissioni di gas serra”.[13]  

MA ECCO IL COLPO DI SCENA!!!

Giovedì 26 novembre 2009: a poco più di 10 giorni dal vertice di Copenaghen, titolano i giornali: “Svolta di Obama: tagli ai gas serra entro il 2020. Il presidente USA si recherà al vertice in Danimarca con una proposta che permetterebbe di riscrivere un nuovo accordo di Kyoto”. Obama sembra essere tornato a voler cercare una soluzione per la lotta ai gas serra e finalmente arrivano i numeri: un taglio dei gas nocivi del 17% entro il 2020 e del 42% entro il 2030 rispetto alle emissioni del 2005.[14]

La notizia, oltre ad una svolta nella politica ambientalista USA, rappresenta un sostanziale passo avanti nei confronti degli ultimi impegni presi da Obama nel corso del suo recente viaggio in Oriente. I tagli alle emissioni annunciati aprono secondo gli analisti la strada al raggiungimento di un nuovo accordo internazionale che sostituisca il protocollo di Kyoto.

Venerdì 27 novembre 2009: all'indomani dell'annuncio USA, titola La Repubblica: “La Cina rilancia - pronti a tagliare i nostri gas serra. E Wen Jiabao andrà a Copenaghen”.... “Nella difficile partita sul clima anche la Cina ha fatto la sua mossa. Pechino ha comunicato l'obiettivo vincolante di tagliare il biossido di carbonio tra il 40 e il 45% entro lo stesso anno. Il freno va inteso rispetto ai livelli del 2005 e riguarda “l'intensità carbonica” e non il valore assoluto”. L'intensità carbonica è un'unità di misura inventata da Pechino tesa ad agganciare il taglio dei gas serra alla crescita economica, che vuol dire non sacrificare lo sviluppo per tagliare le emissioni di CO2.[15]

Il valore di quest'ultimo annuncio è grande, perché costringe le altre potenze inquinanti a scoprire le carte.

E' proprio vero che la speranza è l'ultima a morire: se una settimana fa quello di Copenaghen sembrava un vertice fallito ancora prima di iniziare, ora, dopo che Washington e Pechino hanno fornito cifre, il quadro cambia. La Cina lega però le sue misure alla reale applicazione di quelle di tutti i 190 Paesi invitati alla Conferenza. Il governo ha precisato che centrerà l'obiettivo ricorrendo a misure finanziarie e fiscali; stanzierà una parte del bilancio per sviluppare energia eolica, solare e atomica, aumenterà la superficie delle foreste di 40 milioni di ettari e riconoscerà sgravi per le industrie pulite.[16]  

Riusciranno questi annunci a far risvegliare la “coscienza ambientalista e pulita” del nostro presidente del Consiglio che sembra ormai sopita?

Lunedì 7 dicembre 2009: Oggi a Copenaghen è il giorno del via ufficiale allo storico vertice sul clima: si apre la 15/a Conferenza ONU sui cambiamenti climatici.

A scaldare la vigilia, le parole di esortazione del Papa sulla necessità di “uno sviluppo solidale” soprattutto a favore delle future generazioni e quelle del Segretario Generale dell'ONU che si è detto ottimista sugli esiti del vertice e sulla possibilità di un accordo sottoscritto da tutti gli stati membri.

Tra i principali problemi sul tappeto, il nodo del valore vincolante degli accordi, che incontra la resistenza di alcuni grandi paesi come Cina, Brasile e India. Ma c'è anche il problema delle risorse: serviranno una decina di miliardi di dollari ogni anno per i prossimi tre anni per rispondere ai bisogni dei paesi più vulnerabili.[17]

Venerdì 11 dicembre 2009: dopo quasi una settimana ancora nulla di concreto dal Summit per il clima. Paesi industrializzati e in via di sviluppo non trovano punti di incontro. Aspettando l’arrivo dei capi di stato…

Siamo ormai al quinto giorno della conferenza ONU sui cambiamenti climatici, ma sembra proprio che non si riesca a trovare un accordo vincolante. Come preventivato il problema resta soprattutto per i Paesi poveri: il finanziamento di sei miliardi che dovrebbero essere destinati per contrastare i cambiamenti climatici e continuare a progredire è ovviamente l’argomento principale. Paesi come Francia, Germania e la stessa Italia, hanno portato avanti diverse perplessità ostacolando la riuscita di un patto economico, pur ribadendo la disponibilità di diminuire le emissioni di gas serra entro il 2020, passando dal 20% al 30% in meno. Sarkozy ha invitato tutti gli stati dell’Ue a cooperare il prima possibile per il raggiungimento di tali risultati.

 

Ma gli altri Paesi industrializzati concorderanno su questo programma? La Gran Bretagna non sembra opporsi, diffondendo un documento firmato da ben 1700 scienziati per dimostrare come il riscaldamento globale sia senza dubbio opera dell’uomo a causa delle eccessive emissioni di CO2 rilasciate in atmosfera.[18]

Dagli Stati Uniti ci si aspettava decisamente di più. L’impegno sulla riduzione si aggira intorno al 17% entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005.

Il portavoce della Casa Bianca, ha definito il presidente Barack Obama “convinto che sia possibile raggiungere un accordo significativo a Copenaghen, incoraggiato dai progressi realizzati nelle recenti discussioni con i leader di Cina e India”.

La piazza intanto non rimane zitta: Greenpeace invade le strade di Oslo con striscioni e poster verso Obama con scritto: “Il Nobel per la pace l'hai vinto, ora meritatelo”; a Roma ha scalato il Colosseo chiedendo che al Summit di Copenhagen sia raggiunto un accordo storico e legalmente vincolante....

I Paesi in via di sviluppo, Cina, India, Brasile, Sudafrica e Sudan rendono le cose ancora più difficili rifiutando qualsiasi imposizione da parte dei Paesi industrializzati e dichiarando la loro volontà di attenersi al protocollo di Kyoto, anche dopo il 2012. Non ci resta che aspettare venerdì 18 dicembre, giorno in cui arriveranno i capi di stato, tra cui Barack Obama e, si spera, qualcun altro.

Si avvicina la conclusione del vertice e il Pontefice, nel messaggio per la giornata mondiale della Pace alza i toni usando un linguaggio non proprio diplomatico: “In un mondo che rischia davvero di autodistruggersi, ogni abuso ambientale può essere paragonato ad un atto di terrorismo. Quel che è più preoccupante, però, è che mentre sono in agguato prospettive agghiaccianti, regna una ^irresponsabile indifferenza, mancano politiche lungimiranti e si perseguono miopi interessi^”.[19]

Domenica 20 dicembre 2009: La Repubblica titola: “Intesa minima sul riscaldamento dopo un giorno di veti incrociati: ci sono i soldi per i paesi poveri ma manca il taglio ai gas serra”.

Quindi niente cifre sui tagli dei gas serra, niente impegni vincolanti, solo un obiettivo teorico: mantenere la temperatura della terra entro i 2 gradi alla fine del secolo.

I punti principali della nuova Bozza dell'Accordo di Copenaghen possono essere così riassunti:

l  Due gradi è il tetto fissato per l'aumento massimo del riscaldamento globale consentito rispetto all'epoca preindustriale;

l  Sono stanziati ai paesi meno industrializzati per il trasferimento delle tecnologie pulite 30 miliardi di dollari dal 2010 al 2012 e 100 miliardi all'anno entro il 2020;

l  Nell'accordo è scomparsa la riduzione dei gas serra del 50% entro il 2050. Non ci sono tetti vincolanti;

l  I Paesi intendono mettere per iscritto gli impegni di riduzione dei gas per il periodo 2015-2020 entro l'1 febbraio 2010.

Una bozza finale al ribasso, resta alto l'allarme per le emissioni.

Dove è stata la difficoltà della riduzione dei gas serra? Le emissioni di CO2 dovrebbero diminuire (per arrivare all'obiettivo dei 2 gradi) del 50% entro il 2050. Per arrivarci, i Paesi industrializzati taglierebbero le emissioni dell'80%. Ma non basta: anche i paesi emergenti dovrebbero tagliare le loro e non solo rallentarle. Per questo Cina e Brasile non vogliono un impegno globale del 50%, che vincolandoli, sia pure a lunga scadenza, a ridurre le emissioni, può compromettere la loro crescita economica. Per accettare il 50%, i Paesi emergenti vogliono che quelli ricchi fissino un obiettivo di riduzione ambizioso già per il 2020. Il risultato è che per il momento, neanche questo obiettivo di riduzione del 50% è fissato sulla carta.

Perché l'obiettivo al 2050 sia credibile, i Paesi industrializzati dovrebbero tagliare già nel 2020 le loro emissioni, secondo gli scienziati, del 25-40%. Gli impegni presi finora arrivano solo al 14-18%: secondo un recente rapporto degli scienziati che lavorano con l'ONU, una riduzione così modesta spingerebbe le temperature ad un aumento di 3 gradi.[20]

 

5.     CONCLUSIONI

Una politica di riduzione delle emissioni di CO2 non è un lusso ma una necessità. I danni che tutta la società pagherà per il mutamento del clima e le sue imprevedibili conseguenze, non sono nemmeno paragonabili ai costi richiesti per una maggiore efficienza energetica.

Le associazioni ambientaliste si stanno muovendo con l’obiettivo di arrivare ad una legge europea che ponga a 120 g/km il limite di emissioni di CO2 per auto di nuova costruzione entro il 2012 e che, parallelamente preveda penalità per i trasgressori sufficientemente severe da essere dissuasive e incoraggianti nel raggiungere l’obiettivo proposto.

Nelle grandi città, i gas di scarico delle automobili, dei riscaldamenti e delle attività industriali provocano un innalzamento dei valori di alcuni gas nocivi alla salute, come monossido di carbonio, idrocarburi, ossidi di zolfo e composti del piombo. Le amministrazioni locali, per ovviare a questo inconveniente, utilizzano misure straordinarie decretando chiusure del traffico o limitazioni nell’uso dei riscaldamenti. Non è compito di questo elaborato prospettare soluzioni, anche perché sono estremamente complesse. Tuttavia vale la pena di riflettere sul fatto che noi stessi possiamo dare un contributo ad un miglioramento della situazione. Potremmo cominciare, nel nostro piccolo, a ridurre il consumo di energia nelle nostre case, per il riscaldamento e non solo, privilegiando il metano o, se possibile, i pannelli solari, ad altre fonti di energia, come il gasolio. Poi potremmo utilizzare meno le automobili, favorendo il trasporto pubblico, o adoperare combustibili a basso contenuto di carbonio (gas gpl).

Da non dimenticare (cosa che purtroppo avviene spesso), l’importanza di una vasta e costante campagna di educazione sanitaria rivolta ai cittadini, affinché facciano propria una cultura del rispetto per l’ambiente, prestando un’attenzione maggiore a consumi e stili di vita.

L’obiettivo deve essere comune: conservare il bene prezioso e insostituibile dell’aria che respiriamo.

“LA STORIA CI GIUDICHERA”


BIBLIOGRAFIA-WEBGRAFIA:

[1]              S. Carnazzi: www.lifegate.it/ambiente

[2]              Gli impegni mancati delle case automobilistiche: www.e-terra.it

[3]              Valutazione nella normativa europea sulle emissioni di CO2…: “www.e-terra.it”

[4]              Pepe M.: “Nessuno stop ai cambiamenti climatici senza interventi nel settore auto”-Periodico Ateneo Roma 3-Anno XI, n.1, 2009

[5]              Lombardo G.: “La rottamazione è un palliativo……….”-www.loccidentale.it”, 2009

[6]              Lombardo G.: “La rottamazione è un palliativo……….”-www.loccidentale.it”, 2009

[7]              Lombardo G.: “La rottamazione è un palliativo……….”-www.loccidentale.it”, 2009

[8]              Lombardo G.: “La rottamazione è un palliativo……….”-www.loccidentale.it”, 2009

[9]              Sito: “www.enea.it/web/pubblicazioni”

                  Lombardo G.: “La rottamazione è un palliativo……….”-www.loccidentale.it”, 2009

[10]            “La Repubblica” – 23 settembre 2009

[11]            “Messaggero”  – 23 settembre 2009

[12]            Sito: “www.geograficamente.wordpress.com”

[13]            Sito: “www.geograficamente.wordpress.com”

[14]            Quotidiano Metro – Roma giovedì 26/11/2009

[15]            Quotidiano La Repubblica – venerdì 27/11/2009

[16]            Quotidiano La Repubblica – venerdì 27/11/2009

[17]            Quotidiano La Repubblica – lunedì 7/12/2009

[18]            Alberto Maria Vedova – www.wakeupnews.eu/public/wordpress

[19]            Quotidiano La Repubblica – sabato 19/12/2009

[20]            Quotidiano La Repubblica – sabato 19/12/2009

(Gen. 2010)

Stefano Chiari

 

 


 

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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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